Di Ana Fron
SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Nel territorio della diocesi di San Benedetto, Ripatransone e Montalto Marche ci sono comunità di immigrati di varie nazionalità. Si può parlare di una collettività dove convivono persone con identità etniche diverse tra di loro.
Tuttavia, nonostante il flusso di ingressi dall’estero sia aumentato, gli stranieri formano la minoranza della società (8,6% della popolazione totale, dati ISTAT). Una minoranza che deve “incastonarsi” bene nella maggioranza. A supporto di una convivenza armoniosa abbiamo, oltre che il buon senso, leggi e dettami che bisogna rispettare.
Ma, se da una parte la minoranza deve adeguarsi al territorio di approdo, la maggioranza ha il dovere di accogliere i nuovi arrivati con uno “spirito conoscitivo”.
Da dove arrivano le persone? Che tipo di cultura possiedono? Quale progetti hanno? Che lavoro fanno? Come è organizzata la loro famiglia? Come è l’Istruzione nel loro paese? Da cosa era costituita la loro dieta? Che clima ha il loro paese, ecc. Sono domande che i locali si devono fare nell’atto dell’accoglienza. E questo perché, la conoscenza dell’altro permette in seguito una comprensione, un’accettazione maggiore su comportamenti e modi di pensare differenti e una progettazione metodica di una eventuale modifica degli atteggiamenti.
Gli immigrati sono portatori delle proprie culture di appartenenza; inscindibili dalla loro presenza fisica e, anche se nel tempo si fanno dei compromessi per adattarsi alla società di arrivo, rimangono sempre delle differenze. Tali differenze, se non nuocciono all’altro, bisogna accettare.
Premettendo che non è coretto generalizzare o pensare che la cultura sia un fatto statico, azzardo a mettere in relazione, a titolo esemplificativo, alcuni aspetti comportamentali in funzione di certi criteri. Il carattere culturale, in senso lato, si forma da una combinazione di variabili: climatici, socio politici, economici e non per gli ultimi, religiosi.
Ci siamo spesso chiesti, perché alcuni africani (subsahariani) di certe realtà rurali, parlano a voce alta per strada, infischiandosene anche de la loro privacy? Il clima caldo dei paesi di appartenenza di queste persone permette la vita all’aperto. Negli spazi aperti ci si rapporta in maniera più chiassosa; le distanze personali sono maggiori dunque, anche il tono di voce si alza nella comunicazione. Questo comportamento è fastidioso qui, in una società come la nostra dove, la densità degli abitanti per Kmq è di 196.
Altre caratteristiche, dovute alla posizione geografica di alcune popolazioni si riferiscono alla capacità di socializzazione. I climi caldi conferiscono alle comunità latino americane: cubani, brasiliani, venezuelani, colombiani, ecc. un carattere socievole, comunicativo ed estroverso; questi popoli tradizionalmente sono abituati alla condivisione e quindi, anche fuori dai confini si comportano allo stesso modo: partecipano volentieri alle feste locali, amano la musica e la danza e non sdegnano fare due chiacchiere, anche con persone sconosciute. Sono solari e sono abituati a focalizzarsi su aspetti positivi.
Ci sono modi di fare e di pensare, determinati da situazioni storiche politiche ed economiche, che hanno inciso sulla cultura dei paesi dell’est Europa. Gli immigrati di una certa età, dei paesi di ex dittatura comunista, sono più diffidenti rispetto alle forze di polizia; sono intransigenti nell’educare allo studio i figli, perché hanno “subito” a loro volta una scolarizzazione forzata. Uno dei pochi vantaggi della dittatura.
Le comunità cinesi, abituate a regimi di rigorosa disciplina comunitaria, invece sono più avvezzi a stili di vita già collaudati, schematizzati in un certo senso. Si fa un progetto per il futuro e lo si rispetta fino in fondo. Le persone vivono in gruppi di appartenenza, senza la necessità di fondersi troppo con altre comunità, e questo perché molti di loro hanno in progetto di tornare in Cina, una volta raggiunto il risultato economico. Inoltre, la non conoscenza della lingua del posto influisce sulla socializzazione.
I cinesi sono ligi al lavoro e a risparmio economico al punto di lavorare, battendo la concorrenza, spesso sottopagati.
Anche la formazione religiosa struttura la personalità, come lo dimostrano le comunità islamiche. I popoli di questa religione hanno precetti rigorosi da rispettare, anche per quanto riguarda la vita sociale, la dieta alimentare, le feste. Alcuni cibi, il vino, sono nell’ordine di divieti religiosi. Anche il rispetto degli anziani e il mutuo soccorso tra membri della comunità sono da considerare obblighi religiosi.
Evidenziare caratteristiche culturali di alcune comunità di immigrati, serve, non per rinforzare luoghi comuni, ma per portare il lettore a ragionare sulle diversità, intrinseche ad ognuno di noi. Siamo fatti in un certo modo e non possiamo liberarci dal “nostro essere” come svestire una maglia.
La nostra cultura è ricchezza e, tanto più è tutelata, quanto maggiore è la paura di perderla. Nella diaspora, per esempio.
Perciò bisogna portare rispetto a chi apertamente desidera conservare e onorare la propria cultura. E, laddove ci sia da “aggiustare il tiro” per qualche abitudine inopportuna, usiamo il tatto, la gentilezza. Meglio: diamo buon esempio!
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