Di Don Vincenzo Carani
In memoria della ennesima tragedia di profughi nel mare Egeo e della avventura di cinque miliardari su un batiscafo alla ricerca del Titanic. Un dialogo immaginario tra due giovani in paradiso.
– Io sono Suleman, mio padre era un famoso uomo d’affari inglese di origini pachistane.
– Anch’io mi chiamo Suleman e anch’io vengo dal Pakistan.
– Io avevo 19 anni e stavo per andare all’università di Oxford.
– Anche io avevo 19 anni e già a 7 anni pascolavo le mie capre in montagna.
– Mio padre era un miliardario.
– Anche mio padre era uno dei miliardi di poveri del mondo.
– Io mi sono imbarcato sul modernissimo Titan, per vivere alcuni giorni d’avventura.
– Anch’io mi sono imbarcato… su una carretta del mare. E pensavo al mio futuro.
– Noi volevamo vedere il famoso Titanic nel fondo dell’oceano.
– Io desideravo invece vedere una qualsiasi terra di approdo.
– Tutta la stampa e i social hanno parlato di noi, perché eravamo famosi.
– Anche di noi hanno parlato, ma non conoscevano alcun nostro nome.
– Noi eravamo in cinque dentro il batiscafo, una meraviglia con tutte le comodità.
– Anche io ero uno dei cinquecento sul piccolo barcone, per cui dovevo stare quasi sempre in piedi.
– Per trovarci hanno usato due sottomarini, dieci navi, tre aerei, tre elicotteri e due robot.
– Anche a noi sono venuti a trovarci. Era una barca di pescatori di passaggio.
– Il mondo ha trattenuto il fiato seguendo ora per ora il nostro dramma.
– Invece per noi il mondo non aveva tempo e si è girato distratto dall’altra parte.
– E adesso che faccio quassù?
– Vieni con me. Ho già conosciuto due braccia che mi hanno accolto e consolato. Ti porto da Lui, che una volta da ricco che era si è fatto povero per amore. Lui è l’unica ricchezza che conta.
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