For our international readers:  at the end of the article, you can find the English translation of the interview.

GROTTAMMARE – “Carissimi amici, è arrivato il momento di salutarci e voglio farlo esprimendo a ciascuno di voi tutta la mia riconoscenza e il mio affetto. Abbiamo passato insieme molti mesi, quasi due anni, in un periodo della mia vita così difficile, tante volte drammatico: solamente grazie a voi, alla vostra sensibilità, alle vostre capacità e al vostro amore, solo grazie ai vostri sorrisi, ho potuto trovare speranza e forza di vivere. Ora devo camminare da sola, ma non dimenticherò mai tutto quello che avete fatto per me e spero che ci sarà un futuro sereno nella mia vita in cui potrò incontrarvi di nuovo per sapere di voi e raccontarvi cose belle. Grazie di tutto cuore, miei carissimi Massimiliano, Michele, Simone, Giulia S., Michela, Giulia R., Marika, Patrizia, Lucia. Un grande abbraccio e la mia amicizia per sempre”. – Inizia così la chiacchierata con la rifugiata afghana Hosai Andar, cinquant’anni, ex vice governatrice di una delle province afghane, che, dopo aver richiesto asilo politico in Italia, si congeda ora dagli operatori del progetto SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione) di Grottammare che l’hanno accolta e seguita per due anni.

Considerando di dover parlare in inglese, pensavo che avrei avuto una conversazione formale e magari anche un po’ distaccata. Il nostro incontro, invece, inizia con un sorriso cordiale e una stretta di mano che diviene subito un abbraccio, prosegue poi con due occhi ridenti che però a tratti si riempiono di lacrime e termina con una grande consapevolezza: a prescindere dalla razza, dalle circostanze, dall’età, dalla religione, siamo tutti accomunati dall’essere figli di questo mondo, tutti meritevoli di alcuni diritti imprescindibili, fratelli tutti alla ricerca della felicità. Così diverse, eppure così simili, ci siamo sentite vicine. Una prossimità di pensiero e di cuore che custodirò per sempre tra i miei ricordi più belli.

Hosai, che lavoro faceva in Afghanistan?
Dal 2019 fino ad agosto 2021 sono stata la vice governatrice di una provincia dell’Afghanistan. Prima di entrare a far parte del governo, ero una professionista e donna d’affari ed ero membro del Consiglio di Amministrazione della Camera di Commercio e dell’Industria dell’Afghanistan. Per quanto riguarda gli studi, ho conseguito una laura in Scienze Naturali presso l’Università di Kabul e ho ottenuto anche un master in amministrazione pubblica e gestione aziendale. Inoltre, ho combattuto come attivista civile e politica nel mio paese fin da quando ero molto giovane, ma non ho mai avuto affiliazioni a partiti politici. Da sempre sono impegnata per i diritti umani e la democrazia.

Quando e perché ha deciso di entrare in politica?
La politica è il mio cuore, mi scorre nelle vene. Quando avevo 16 o 17 anni, ho lavorato come attivista e volontaria per i diritti sociali, per i diritti delle donne e, in particolare, per il raggiungimento della parità di istruzione. Poi sono cresciuta e, un po’ alla volta, la passione per la politica è aumentata, ma sono rimasta sempre indipendente da partiti politici o associazioni e organizzazioni politicizzate. Sono sempre stata molto attiva nella comunicazione: spesso andavo nei talk show televisivi per parlare di diritti delle donne, diritti umani e democrazia oppure per essere intervistata dai giornalisti nei telegiornali. Finché nel 2019 mi sono resa conto che la distanza tra governo e popolo era divenuta troppo grande e la Repubblica rischiava di cadere. Inoltre nel 2016 avevo perso mio figlio mentre lavorava con  la Nato nel campo francese di Kabul. Era giovane ed aveva un futuro davanti. Con questo peso sul cuore e con la speranza di mantenere viva la democrazia ho deciso di unirmi al governo democratico, perché so che ognuno di noi deve fare la sua parte per migliorare il nostro paese affinché nessun altro cittadino afghano sperimenti il dolore che ho vissuto io.

Cosa è cambiato in Afghanistan con l’ascesa dei Talebani al potere?
In passato noi avevamo già avuto un governo di Talebani e ci eravamo trovati in pessime condizioni, ma, quando il governo è cambiato e si è trasformato nella Repubblica Democratica Islamica, io ho deciso di entrare a far parte del governo. Noi eravamo felici perché avevamo molti diritti e la condizione delle donne era buona. Nel governo avevamo 28 governatrici, 25 vice-ministre e 5 ministre. C’erano inoltre gruppi politici ed associativi di attiviste che promuovevano i diritti delle donne. Quando il governo è cambiato, all’improvviso abbiamo perso tutti i nostri diritti. Io ne sono un esempio. Prima dei Talebani, io ero al governo, avevo una buona posizione, avevo un lavoro ed ero indipendente. Nel mio lavoro non ero soggetta a nessuno: il mio dipartimento era indipendente ed io ero autonoma. E non c’erano quasi mai problemi con il governo, perché le donne in genere sono più precise nel lavoro e soprattutto oneste, quindi non c’erano neanche motivi per discutere! Inoltre potevo fare comunicazione in televisione, potevo andare come ospite nei telegiornali, potevo partecipare a convegni organizzati dalle associazioni civili. Nella vita privata, fuori dal governo, ero anche una donna d’affari e, come imprenditrice, potevo spostarmi autonomamente nella mia città, potevo viaggiare da sola e andare all’estero. Sono stata negli Stati Uniti, in Germania, nel Regno Unito, in Svizzera e in molti altri posti. Dopo l’arrivo dei Talebani, è cambiato tutto. Ora le ragazze non hanno più diritto all’istruzione: alle bambine è permesso di studiare solo per sei anni, quindi da 5 ad 11 anni; dopo possono proseguire gli studi solo i ragazzi. È concesso di lavorare solo a specifiche categorie di donne, in particolare a quelle che provvedono alla cura dei bambini o alla loro istruzione, come, ad esempio, le infermiere e le insegnanti delle scuole elementari. Per uscire tutte le donne devono usare il burqa. Le giornaliste, ad esempio, devono indossare la mascherina e sopra il velo. Inoltre possono uscire solo se accompagnate da un familiare adulto. Io, ad esempio, non potevo più uscire di casa senza essere accompagnata da mio marito o da uno dei miei figli: se entrambi erano al lavoro, io non potevo muovermi, non potevo spostarmi né in auto né a piedi all’interno della città, non potevo più viaggiare, potevo solo andare a trovare mia sorella nella sua casa, ma non potevo essere accompagnata da mio cognato. Le uniche persone da cui una donna può essere accompagnata, infatti, sono il marito, i figli adulti (quindi maggiorenni), il padre, il nonno, lo zio. Tutte le donne devono rispettare “la legge”, la sharia, ovvero un insieme di norme di vita restrittive che regolano i comportamenti e la condotta morale, religiosa e giuridica dei fedeli islamici, in particolare delle donne.

Dunque è stata costretta a fuggire?
Si, la mia provincia è caduta, sono scappata, mi sono nascosta nella periferia della città per due giorni e poi sono stata trasferita a Kabul con l’aiuto dei miei amici. Dopo 5 giorni, i Talebani hanno preso il controllo della capitale. Il mio ufficio era nella zona verde di kabul, quindi mi sentivo abbastanza al sicuro. Mio figlio mi ha suggerito di restare in ufficio perché quella era la zona più sicura. Per due giorni sono stata isolata e non ho avuto alcun contatto con la mia famiglia. Poi finalmente sono riuscita a chiamare telefonicamente mio figlio il quale mi ha raggiunto in ufficio: lì, infatti, non veniva più nessuno a lavorare, un po’ perché erano tutti spaventati, un po’ anche per via della pandemia. In pochi giorni, però, ci siamo resi conto che i Talebani stavano conquistando sempre maggiori aree e mio figlio mi ha pregato di tornare a casa, prendere le mie cose e fuggire. Mi ha detto che sarebbe stato troppo pericoloso per me restare in Afghanistan. Aveva paura che io venissi uccisa: per i Talebani, infatti, una donna come me, indipendente, attivista e anche impegnata in politica, è un bersaglio da abbattere. Così sono tornata in periferia, ma non nella mia casa. Tramite mia sorella, ho contattato alcune organizzazioni umanitarie, oltre alla giornalista Rai Monica Maggioni, chiedendo di fare pressione sul governo italiano affinché mi inserisse nella lista dei passeggeri dell’aereo destinato a raggiungere l’Italia. È stato così che ho deciso di lasciare la mia grande casa con dodici appartamenti per giungere in un paese straniero da povera. Del resto i Talebani mi avevano già tolto il lavoro, la ricchezza, un figlio e la libertà. Ho deciso quindi di conservare almeno la vita e di riscoprire la libertà per me e per i miei figli. Il giorno della partenza, però, c’è stato un grande trambusto. Nella lista dei passeggeri dell’aereo diretto in Italia c’erano anche i miei familiari: dieci persone in tutto. Ma all’improvviso è scoppiata una bomba e sono stata costretta a partire da sola. I primi tempi qui in Italia il mio pensiero era sempre rivolto ai miei cari che erano ancora in Afghanistan con la paura ed il rischio di poter morire in qualsiasi momento. Fortunatamente, grazie all’aiuto del governo italiano e di tanti italiani, sono riuscita dopo molti mesi a far venire qui con me anche i miei familiari. Non auguro a nessuno di vivere nella paura e senza diritti, come è capitato a noi.

Che futuro immagina per l’Afghanistan? Che futuro spera?
Io mi auguro che il governo cambi. Sono desolata per la mia gente e piango spesso, proprio come sto facendo ora con lei, perché non riesco a dimenticare la mia nazione. Ho lottato tanto: sono stata un’attivista; ho anche scelto un lavoro per promuovere l’istruzione delle bambine afghane; mi sono dedicata alla politica per sostenere le donne del mio paese; ho perso un figlio e ho rischiato anche la mia vita per combattere questo sistema. Ora che sono in Italia, sono felice di essere al sicuro e protetta, ma non posso aiutare la gente del mio paese. Vivo perciò una vita a metà: mezzo cuore è qui con la mia famiglia, l’altra metà è rimasta in Afghanistan. Trascorro molte notti insonne, ringraziando Dio per avermi fatto riunire ai miei figli e ai miei nipoti qui in Italia e pregando per la mia gente, affinché possa trovare pace e giustizia al più presto. A me, infatti, l’Italia ha dato questa grande opportunità di vivere qui con la mia famiglia, ma ci sono molte persone che non hanno avuto questa fortuna. Molte persone sono rimaste lì ad affrontare l’inferno. Finché il governo non cambierà, non mi sarà possibile tornare in Afghanistan. Questo governo, infatti, vuole mettere a tacere me e ogni altra persona che gli si oppone. Ma io non posso tacere di fronte a certe ingiustizie, quindi non potrei mai tornare a queste condizioni, perché rischierei la vita. Se invece qualcosa dovesse cambiare, allora potrei pensare anche di tornare nel mio amato paese.

Quale messaggio vuole dare ai lettori?
Prima di tutto voglio dire a tutti i lettori che noi Afghani non vogliamo questa situazione. Noi non riconosciamo i Talebani né il loro governo. Perciò, quando pensate all’Afghanistan, pensate che c’è un grande divario intellettuale tra i Talebani e la gente afghana. Io e i miei compatrioti vogliamo solo che i diritti umani siano riconosciuti nel nostro paese e che le nostre figlie possano avere il diritto al lavoro. Per favore, non lasciate solo il popolo afghano.
Infine voglio ringraziare il governo italiano e il popolo italiano. Siete un grande paese! Qui ho ricevuto una bella accoglienza e in circa due anni ho conosciuto molte persone, brave e solidali, alcune delle quali anche qui a Grottammare. In particolare desidero ringraziare il Sindaco della città e tutti gli operatori del progetto SAI di Grottammare che che mi hanno permesso di riunirmi con i miei familiari e anche la mia buona amica Lucia che mi è stata sempre vicina.

Massimiliano Binari, coordinatore del progetto SAI (Sistema Accoglienza e Integrazione), contattato ed informato dei ringraziamenti della signora Hosai Andar, afferma: “È stato un lavoro di rete tra enti istituzionali ed associazioni del terzo settore. Il Comune di Grottammare, nella persona dell’ex Sindaco Enrico Piergallini, ha scritto una lettera all’ex Ministro Di Maio raccontando l’intera vicenda e chiedendogli di fare qualsiasi cosa in suo potere per far ricongiungere Hosai con la sua famiglia. Anche la Cooperativa Ama Aquilone ha svolto un ruolo importante in questa vicenda, facendo da garante per l’accoglienza dei dieci familiari giunti successivamente. Infine non posso non citare la signora Lucia Mieli e tutti i nostri operatori SAI che hanno preso molto a cuore questa storia e si sono prodigati personalmente per accogliere Hosai con affetto ed amicizia. Quando si incontrano dei cuori generosi, anche i progetti che sembrano impossibili trovano una strada per realizzarsi.”

 

For our international readers:

From Afghanistan to Grottammare, interview with the refugee Hosai Andar: “I thank the Italian people”

GROTTAMMARE – “Dear friends, the time has come to say goodbye and I want to do it by expressing to each of you all my gratitude and affection. We spent many months together, almost two years, in such a difficult period of my life, many times dramatic: only thanks to you, your sensitivity, your skills and your love, only thanks to your smiles, I was able to find hope and strength to live. Now I have to walk alone, but I will never forget everything you did for me and I hope that there will be a serene future in my life in which I will be able to meet you again to learn about you and tell you beautiful things. Thank you with all my heart, my dear Massimiliano, Michele, Simone, Giulia S., Michela, Giulia R., Marika, Patrizia, Lucia. A big hug and my friendship forever”. – It is with these words that the Afghan refugee Hosai Andar, fifty years old, former deputy governor of one of the Afghan provinces, who has requested political asylum in Italy, takes her leave from the operators of the SAI (Reception and Integration System) project in Grottammare who have accepted and followed her up for two years.

For the occasion, I met her to hear her story. Considering I had to speak in English, I thought I would have a formal and maybe even a little detached conversation. Instead of our meeting, I am left with a cordial smile, a handshake that immediately became a hug, two laughing eyes that, however, at times filled with tears and above all a great truth: regardless of race, circumstances, age, religion, we are all united by being children of this world, all deserving of some essential rights, all in search of happiness. So different, yet so similar, we felt close. A closeness of thought and heart that I will cherish forever among my best memories.

What did you do in Afghanistan?
From 2019 until August 2021 I was the deputy governor of a province in Afghanistan. Before joining the government, I was a professional and businesswoman and was a member of the Board of Directors of the Afghanistan Chamber of Commerce and Industry. In regards to education, I obtained a bachelor’s degree in natural sciences from Kabul University and also obtained a master’s degree in public administration and business management. Also, I have been fighting as a civil and political activist in my country since I was very young, but I have never had any political party affiliations. I have always been committed to human rights and democracy.

When and why did you decide to enter politics?
Politics is my heart, it runs through my veins. When I was 16 or 17, I worked as an activist and volunteer for social rights, for women’s rights and, in particular, for achieving equal education. Then I grew up and, little by little, my passion for politics increased, but I always remained independent from political parties or politicized associations and organizations. I have always been very active in communication: I often went on television talk shows to talk about women’s rights, human rights and democracy or to be interviewed by journalists on the news. Until in 2019 I realized that the distance between the government and the people had become too great and the Republic was in danger of falling. Moreover in 2016 I had lost my son while he was working as a NATO employee in the French Kabhul camp. He was young and had a future ahead of him. With this weight on my heart and with the hope of keeping democracy alive, I have decided to join the democratic government, because I know that each of us must do his part to improve our country so that no other Afghan citizen experiences the pain that I have experienced.

What has changed in Afghanistan with the rise of the Taliban to power?
In the past we had already had a Taliban government and we had found ourselves in very bad conditions, but, when the government changed and became the Islamic Democratic Republic, I decided to join the government. We were happy because we had many rights and the condition of women was good. In the government we had 28 female governors, 25 vice-ministers and 5 female ministers. There were also political groups and activist associations promoting women’s rights. When the government changed, we suddenly lost all our rights. I am an example of this. Before the Taliban, I was in government, I had a good position, I had a job and I was independent. In my work I was not subject to anyone: my department was independent and I was autonomous. And there were almost never problems with the government, because women are generally more precise in their work and above all honest, so there weren’t even any reasons to argue! I could also communicate on television, I could be a guest on the news, I could participate in conferences organized by civil associations.In private life, outside the government, I was also a businesswoman and, as an entrepreneur, I could move independently in my city, I could travel alone and go abroad. I have been to the US, Germany, the UK, Switzerland and many other places. After the arrival of the Taliban, everything changed. Now girls no longer have the right to education: girls are only allowed to study for six years, therefore from 5 to 11 years; after that, only boys can continue their studies. Only specific categories of women are allowed to work, in particular those who provide for the care of children or their education, such as, for example, nurses and primary school teachers. All women must wear a burqa to go out. Journalists, for example, must wear a mask and a veil over it. Furthermore, they can only go out if accompanied by an adult family member. For example, I could no longer leave the house without being accompanied by my husband or one of my children: if both were at work, I could not move, I could not move around the city either by car or on foot, I could no longer travel, I could only visit my sister at her home, but I could not be accompanied by my brother-in-law. In fact, the only people a woman can be accompanied by are her husband, adult children (therefore adults), father, grandfather, uncle. All women must respect “the law”, sharia, i.e. a set of restrictive life rules that regulate the behavior and moral, religious and legal conduct of the Islamic faithful, especially women.

So were you forced to flee?
Yes, my province fell, I escaped, I hid in the suburbs of the city for two days and then I was transferred to Kabul with the help of my friends. After 5 days, the Taliban took control of the capital. My office was in kabhul green area so felt quite safe. My son suggested that I stay at the office as that was the safest area. For two days I was isolated and had no contact with my family. Then I finally managed to call my son by phone who joined me in the office: there, in fact, no one came to work anymore, partly because they were all scared, partly also because of the pandemic. In a few days, however, we realized that the Taliban were conquering more and more areas and my son begged me to go home, take my things and flee. He told me it would be too dangerous for me to stay in Afghanistan. She was afraid that I would be killed: for the Taliban, in fact, a woman like me, independent, activist and also involved in politics, is a target to be killed. So I went back to the suburbs, but not to my home. Through my sister, I contacted some humanitarian organizations, as well as the Rai journalist Monica Maggioni, asking to put pressure on the Italian government to put me on the passenger list of the plane destined to reach Italy. That’s how I decided to leave my big house with twelve apartments to arrive in a foreign country as a poor person. After all, the Taliban had already taken away my job, my wealth, a child and my freedom. I therefore decided to at least preserve life and rediscover freedom for myself and for my children. On the day of departure, however, there was a great commotion. My family members were also on the passenger list of the plane bound for Italy: ten people in all. But suddenly a bomb went off and I was forced to leave alone. In the early days here in Italy my thoughts were always directed to my loved ones who were still in Afghanistan with the fear and risk of being able to die at any moment. Fortunately, thanks to the help of the Italian government and many Italians, after many months I managed to get my family members to come here with me. I don’t wish anyone to live in fear and without rights, as happened to us.

What future do you imagine for Afghanistan? What future do you hope for?
I hope the government changes. I feel sorry for my people and I often cry, just as I do now for them, because I can’t forget my nation. I fought a lot: I was an activist; I also chose a job promoting the education of Afghan girls; I dedicated myself to politics to support the women of my country; I lost a son and I also risked my life to fight this system. Now that I’m in Italy, I’m happy to be safe and protected, but I can’t help the people of my country. So I live half a life: half my heart is here with my family, the other half remained in Afghanistan. I spend many sleepless nights thanking God for bringing me together with my children and grandchildren here in Italy and praying for my people that they may find peace and justice as soon as possible. In fact, Italy has given me this great opportunity to live here with my family, but there are many people who haven’t had this fortune. Many people remained there to face hell. Until the government changes, it will not be possible for me to return to Afghanistan. In fact, this government wants to silence me and every other person who opposes it. But I can’t keep silent in the face of certain injustices, so I could never go back to these conditions, because I would risk my life. If, however, something were to change, then I might even think about returning to my beloved country.

What message do you want to give to readers?
First of all I want to tell all readers that we Afghans do not want this situation. We do not recognize the Taliban or their government. So when you think about Afghanistan, think that there is a big intellectual gap between the Taliban and the Afghan people. My compatriots and I just want human rights to be recognized in our country and for our daughters to have the right to work. Please don’t leave the Afghan people alone.
Finally, I want to thank the Italian government and the Italian people. You are a great country! Here I received a warm welcome and in about two years I met many good and supportive people, some of whom are also here in Grottammare. In particular I would like to thank the Mayor of the city and all the operators of the SAI project in Grottammare who allowed me to reunite with my family and also my good friend Lucia who has always been close to me.

Massimiliano Binari, coordinator of the SAI (Reception and Integration System) project, contacted and informed of Mrs. Hosai Andar’s thanks, states: “It was a network work between institutional bodies and third sector associations. The Municipality of Grottammare, in the person of the Mayor Enrico Piergallini, wrote a letter to Minister Di Maio recounting the whole story and asking him to do everything in his power to reunite Hosai with his family. The Ama Aquilone Cooperative also played an important role in this affair, making as guarantor for the reception of the ten family members who arrived later.Finally, I cannot fail to mention Mrs. Lucia Mieli and all our SAI operators who took this story to heart and did their utmost personally to welcome Hosai with affection and friendship. meet generous hearts, even projects that seem impossible find a way to come true.”

 

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