DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
«Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli». Sono le parole di Gesù con le quali si apre il brano evangelico che la liturgia, questa domenica, ci propone. E’ una delle poche preghiere di Gesù riportate parola per parola: se Gesù, infatti, spesso viene descritto in atteggiamento orante, in preghiera appunto, solo di rado il Vangelo riferisce le parole pronunciate. Qui, invece, possiamo leggere ciò che Gesù dice al Padre.
Nonostante tutte le apparenze e l’incredulità delle città che ha attraversato, nonostante l’esito apparentemente deludente della sua predicazione, Gesù loda il Padre perché ha l’intima certezza che la sua opera non è stata vana. Loda il Padre e lo benedice, non principalmente perché ha nascosto il suo Vangelo ai sapienti e agli intelligenti, quanto piuttosto perché lo rivela ai piccoli.
Dio non preclude di certo la rivelazione ai saggi e agli intellettuali di questo mondo; attraverso Gesù. Dio si rivolge a costoro ma essi non accolgono la sua parola perché si sentono già pieni, sazi, appagati dalla loro sapienza. Ma, così facendo, induriscono orecchi e cuore.
Accoglienza, invece, che hanno i piccoli.
Letteralmente, i piccoli sono coloro sprovvisti della capacità di parlare, gli infanti. Sono i senza cultura, umili nei ragionamenti e incapaci di sostenere una discussione, gli sprovveduti, quelle categorie disprezzate che non hanno il sapere, il valore, l’autosufficienza, tutte quelle categorie nelle quali è insito il bisogno. E dove c’è il bisogno lì c’è il desiderio, dove c’è il desiderio lì c’è la domanda, lì dove c’è la domanda c’è il dono. I piccoli hanno, cioè, il cuore e la mente spalancati, liberi da qualsiasi arroganza intellettuale e religiosa.
Su chi viene guardato con disprezzo dai sapienti e dagli intelligenti, su costoro, quindi, si posa lo sguardo di predilezione del Signore.
Anzi, se leggiamo i versetti successivi del Vangelo di Matteo, vediamo che Gesù definisce se stesso «mite e umile di cuore», come miti e umili di cuore sono i piccoli.
Gesù è il primo di questi piccoli e, proprio per questo, conosce perfettamente il Padre. Dall’alto della sua relazione esclusiva con Dio, l’unico titolo che Gesù rivendica è la sua vicinanza/solidarietà con gli ultimi. Non la presunzione e la supponenza dei grandi e dei dotti ma l’umiltà di chi si sente piccolo davanti a Dio.
E in forza di questa relazione unica con il Padre, Gesù può proporsi come maestro che invita a mettersi alla scuola del regno dei cieli: questo significa ritrovare la libertà nel rapporto con Dio, un Dio che preferisce un asino al cavallo dei vincitori, lo scrive il profeta Zaccaria, che sceglie lo scandalo della croce anziché la corona dei potenti, che sceglie di spiegare il Regno con le storie della vita di ogni giorno, piuttosto che con dotti e profondi ragionamenti.
Un Dio che ci rivela che si può cambiare la storia pur essendo piccoli e poveri, anzi, proprio perché siamo piccoli e poveri, e, come tali, ricchi solo dell’amore di Dio.
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