Chiara Ippolito
È stata celebrata dinanzi il Mediterraneo, sull’isola di Lampedusa, la Giornata nazionale del Mare 2023 organizzata dall’Apostolato del mare della Conferenza episcopale italiana, Fondazione Migrantes e dall’arcidiocesi di Agrigento a dieci anni dalla visita di Papa Francesco nell’isola e che nel titolo – “Chi di noi ha pianto? Il mare luogo di vita” – riprende proprio le parole del Pontefice. Cuore della manifestazione un percorso commemorativo partito da davanti il sagrato della chiesa parrocchiale San Gerlando – davanti a Dio e davanti alla nostra coscienza di credenti -, che ha attraversato il porto – confine reale e concreto dell’isola, ma anche accesso ad essa e collegamento con il resto del mondo – ed è giunto al monumento detto Porta d’Europa – luogo simbolico che richiama la responsabilità dell’intera comunità, anche europea, del farsi carico della questione. Ad accompagnare il cammino tre diversi momenti di riflessione.
Davanti al sagrato, mons. Alessandro Damiano, arcivescovo di Agrigento, ha introdotto l’evento: “Questo decennale non sia solo ‘memoria’, ma ‘memoriale’ biblicamente inteso” ha detto, richiamando la necessità di “far emergere e riemergere nella mente, nel cuore, nella volontà, nelle azioni concrete, tutto quanto Papa Francesco ci ha detto in quell’occasione”. La necessità, insomma, di “rendere attuali ancora oggi, la nostra capacità d’accoglienza, di prontezza nel dare un aiuto concreto, nel mostrare un sorriso sincero a chi approda a questa “porta d’Europa”, quale è divenuta Lampedusa in questi anni. Perché – per mons. Damiano – solamente così le acque salate, salmastre del mare non saranno rese più salate e più amare dalle lacrime di chi v’è morto e di chi, rimasto in vita, piange i suoi cari”.
Davanti al porto il richiamo di don Bruno Bignami, direttore nazionale dell’Apostolato del mare. “Solo l’ascolto del grido del pianeta e dei poveri può renderci più umani ed è condizione imprescindibile dell’essere uomini di fede, per quell’“ero straniero e mi avete accolto” che il Vangelo ci consegna. È tempo di prendersi cura, di custodire la vita”. Per il direttore, “fare memoria e rilanciare il valore del mare come luogo di vita, come vuole fare questa Giornata del Mare, significa abbracciare l’appello del Papa ad accogliere la vita umana e a promuovere una cultura del mare come opportunità di lavoro, di incontro, di reciprocità. Il Mediterraneo – ha aggiunto – smetta di essere cimitero e si trasformi in terra di mezzo, spazio conviviale delle differenze. Il ‘mare nostro’ è un desiderio di vita stampato sui volti di fratelli e sorelle che si affacciano sul Mediterraneo. Gli egoismi non ci abbandonino alla tentazione dell’indifferenza. La sete di trascendenza e di fraternità – ha pregato, poi, con i presenti – ci liberino dal male della morte procurata”.
“Questa porta, così come il molo Favarolo, sono testimoni di una guerra non meno fratricida della guerra in Ucraina e delle altre guerre che insanguinano il mondo, solo che qui gli arsenali sono costituiti non da armi ma dai corpi dei migranti. Corpi che la politica esibisce come numeri, se restano vivi; corpi di reato, che non meritano neppure di essere contati, se muoiono per annegamento nel Mediterraneo o nell’Egeo, di stenti nella rotta balcanica, di sete nel deserto del Niger, di stupri e violenze nei lager della Libia”. Davanti alla Porta d’Europa, tappa ultima dell’andare, l’intervento del card. Francesco Montenegro, arcivescovo emerito di Agrigento, che accolse il Papa dieci anni fa. “Nella triste vicenda delle migrazioni – ha detto – questo nostro porto, da luogo di vita, è diventato approdo di salme, di esseri ‘mezzi vivi’: avamposto delle tumulazioni per i primi, primo luogo di ‘trattenimento’ per i secondi, considerati subito stranieri irregolari. Questo porto – ha aggiunto – è testimone tanto del transito pietoso di numerosi morti, quanto delle vite estratte dalla morsa della morte. Vite salvate, nutrite, curate… da sanitari, forze dell’ordine, volontari, cittadine e cittadini mossi non importa se dalla fede o dal senso del dovere, certamente da compassione e tenerezza, che custodiscono i migranti prima nella pietà e poi nei loculi dei cimiteri”. Per il card. Montenegro “nelle Lampedusa che sono Pythos, Cutro, Lesbo, Lampedusa… naufragano insieme il nome di Dio e i nomi delle sue figlie e dei suoi figli, naufraga la civiltà. In nome di Dio che è Misericordia – ha concluso – , torni il Mediterraneo a essere grembo di scambi fecondi, generatore di cultura, di fedi e di civiltà”.