DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
«Ecco, il seminatore uscì a seminare…». Comincia così la parabola evangelica che Gesù, oggi, ci presenta.
Un seminatore che non si risparmia ma butta abbondantemente il seme che è la Parola di Dio…una semina senza misura!
Certo, se guardiamo ai terreni, c’è poco da stare allegri: tre terreni su quattro impediscono al seme di portare frutto.
Il seme seminato lungo la strada è mangiato dagli uccelli prima ancora che possa germogliare: la strada è il terreno dell’ascolto superficiale, senza interiorizzazione, senza elaborazione profonda della Parola. Una Parola che non trova spazio nel cuore ed è subito sottratta, portata via.
Il seme caduto sul terreno sassoso germoglia ma secca subito, non avendo la possibilità di mettere radici profonde: i sassi sono le convinzioni che ci facciamo a livello personale e su cui non vogliamo che alcuno ponga mano. È il terreno che mi dà apparentemente la certezza di ciò che sono e voglio, un terreno che non offre condizioni perché la Parola possa crescere.
Il seme caduto in mezzo ai rovi soffoca: i rovi sono il terreno delle nostre emozioni, sensazioni, sentimenti, un labirinto di psicologia, affetti da cui non riusciamo a districarci. Su questo terreno siamo incapaci di intraprendere quella necessaria lotta interiore e spirituale per trattenere la Parola e combattere ogni resistenza.
Poi c’è il terreno buono, il terreno della nostra intimità più profonda, quel terreno in cui non possiamo fare a meno di tornare sempre per riposare e trovare ristoro, quel sogno di una pienezza di vita che è andato a finire sotto tutti gli altri strati, sotto la strada, sotto i sassi, sotto i rovi.
Sì…perché, a questo punto, tutti noi siamo tentati di identificarci con l’uno o l’altro terreno ma, a pensarci bene, non possiamo farlo.
Questo perché non siamo solo un terreno ma contemporaneamente tutti e quattro i terreni…o meglio, il terreno, che siamo noi, è formato da tutti gli strati incontrati fino ad ora, uno strato sovrapposto all’altro: il primo strato superficiale, il secondo lo strato delle nostre convinzioni che non siamo disposti a perdere, il terzo strato che è il groviglio dei nostri sentimenti, infine il terreno buono. Per arrivare a questo terreno buono, quindi, abbiamo bisogno che il Signore, quotidianamente, insistentemente, abbondantemente, non smetta mai di seminare, perché la semente fori ogni strato per arrivare al punto vergine della nostra vita.
Perché, come scrive il profeta Isaia, «Così dice il Signore: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare,
perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”».
E la preghiera del salmista ce lo conferma: «Tu visiti la terra e la disseti, la ricolmi delle sue ricchezze. Il fiume di Dio è gonfio di acque […] … i tuoi solchi stillano abbondanza … i prati si coprono di greggi, le valli si ammantano di messi …».