Un tempo la scelta della destinazione del tanto atteso soggiorno estivo era “soltanto” questione di budget e incastri di ferie tra i diversi membri della famiglia. Spesso a essere privilegiate erano mete “no-stress”, lontane dai ritmi serrati della città e anche non eccessivamente “connesse” (tanto per scoraggiare eventuali moleste telefonate o scambi di email di lavoro).
La scelta cadeva su luoghi dove, accanto ai paesaggi mozzafiato, fossero disponibili attività “a portata di famiglia”, magari con un servizio di mini-club per impegnare i figliuoli qualche ora e poter respirare.
L’era del mini-club, repentinamente “archiviata” in un passato non troppo remoto, lascia un vuoto quasi incolmabile in chi si ritrova a dover pianificare le vacanze con i figli non più bambini.
La verità è che i giovani hanno spesso idee diametralmente opposte a quelle dei genitori. Necessitano di compagnia, confusione, musica, emozioni, divertimento e soprattutto wi-fi. Il clima e la bellezza dei luoghi sono per loro trascurabili, la prospettiva dell’isolamento addirittura inammissibile.
Con queste premesse le ferie possono trasformarsi in una sorta di piccola guerra in famiglia.
Come risolvere? L’ideale sarebbe trovare un buon compromesso, ad esempio coinvolgendo i ragazzi nella organizzazione della vacanza, oppure invitandoli a portare con sé qualche coetaneo.
Ma anche queste soluzioni sono destinate a perdere di efficacia in breve tempo. Fin quando, magari l’anno successivo, il nostro teenager sceglierà la strada dell’ammutinamento, incatenandosi ai condizionatori e ai gerani del terrazzo con il gatto, il cane o il pesce rosso in braccio, implorando di poter restare in città a presidiare l’appartamento di famiglia, come d’altronde sta già facendo il suo amico del cuore o compagno di classe.
Dopo i 16-17 anni, poi, per molti ragazzi arriva la richiesta del primo “viaggio” in solitaria con il gruppo degli amici in genere in campeggio o in Interrail.
Ecco qui il momento che segna la fine della fase genitoriale “simbiotica” e in cui si aprono i cancelli alle paure più profonde. Alle mamme, soprattutto, tremano i polsi.
“Prima o poi doveva accadere”… Sicuro. Ma era meglio “poi”.
Quando i ragazzi vanno via da soli, a parte il discorso delle responsabilità e dell’organizzazione, scattano decine di paranoie nella testa dei genitori che devono accontentarsi di qualche messaggio whatsapp o laconica telefonata serale.
Difficile lasciarli partire con spensieratezza. Come si fa a esser certi che sapranno comportarsi? Che eviteranno gli eccessi dello sballo, le cattive compagnie e i presunti pericoli dei luoghi?
Ci si chiede se, nel profondo del loro cuore, sapranno attingere e si faranno guidare da quel patrimonio di insegnamenti impartito con fatica e costanza negli anni precedenti…
Si tratta di una tappa in un certo senso “obbligata”, ma come tutte le esperienze “formative” dei figli – quelle cioè che segnano il passaggio nell’età adulta – determinano nei genitori sentimenti spesso ambivalenti.
Poi, come negarlo, l’assenza seppur temporanea di un figlio genera un senso di vuoto e una tempesta di pensieri malinconici. Improvvisamente i genitori tornano a sperimentare una dimensione della coppia accantonata per anni e le nuove dinamiche devono essere calibrate e rigenerate. Il cambiamento apre le porte a una età diversa, meno “giovane”. Ci si scopre non più indispensabili per i propri figli.
“I figli crescono, i genitori invecchiano”, dice un vecchio adagio e le prove da affrontare nella genitorialità sono sempre tante e, spesso, non preventivate. L’estate apparentemente ferma il corso delle cose, ma in realtà è una stagione foriera di cambiamenti e di trasformazioni.
A volte, allontanandosi, ci si avvicina e si riesce a sgombrare la strada del ritorno dalle naturali incomprensioni di questa difficile età.
I genitori sono chiamati ad aprire l’animo alla fiducia, in sé stessi e nei loro figli.
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