- L'Ancora Online - https://www.ancoraonline.it -

Direttore Pompei: “Il cristiano deve trovare nell’ambito economico sociale un luogo privilegiato di impegno”

Di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Da un comunicato stampa apprendo: “ In questo 2023 ricorrono i 120 anni dalla morte di Papa Leone XIII, avvenuta il 20 luglio 1903.
Gli anniversari sono sempre occasione di bilanci. In questo caso il bilancio riguarda il fondatore della dottrina sociale della Chiesa nell’epoca moderna, non solo per la R.N. ma anche per il coro di altre nove encicliche che fanno da cornice a quella sulla questione operaia e che Leone XIII stesso elencò nell’enciclica Annum ingressi nel 1902 ad un anno dalla sua morte”. Ci si chiede se il pensiero di papa Leone sia ancora attuale o dev’essere archiviato.

Lascio agli esperti la risposta a questo interrogativo, noi della diocesi di S.Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto, vogliamo cogliere questa occasione per rileggere e cercare suggerimenti, dopo 35 anni, il libro di Mons. Giuseppe Chiaretti: “Il Movimento Cattolico a San Benedetto del Tronto, Ripatransone e Montalto Marche tra Ottocento e Novecento”; libro che servì per colmare il vuoto che aveva trovato sull’argomento nella nostra diocesi in un convegno, tenutosi nella nostra città il 16 ottobre 1984 e che aveva come argomento: “ Il movimento cattolico marchigiano: protagonisti e figure rappresentative”. Così nella premessa.
Intanto, intendo soffermarmi sul “valore profetico” della R.N. così come è stata accolta dai contemporanei e dai posteri in avvenire. E per fare questo mi appoggio al discorso del Papa San Giovanni Paolo II del primo gennaio 1991 annunciando il nuovo documento (Centesimus Annus) celebrativo di un grande evento di portata mondiale, rivelatosi col passare del tempo non privo di valore profetico: la promulgazione dell’enciclica Rerum novarum ad opera di Papa Leone XIII il 15 maggio 1891.
Questo annuncio ebbe una grande eco nel mondo sindacale, se Franco Marini, segretario della CISL, scrisse: “ Fu un evento di incalcolabile portata e noi stessi ciò che siamo nell’impegno sociale, sindacale e politico dobbiamo molto al solco allora tracciato e lungo un secolo”.

Lo stesso Marini riportava lusinghieri giudizi di Giulio Pastore, il fondatore della CISL, che nel 1925 usò l’espressione di “magna charta” proprio per la R.N. E a conferma di un appassionato riferimento dei giovani cattolici di allora a quel documento, definì la R.N. come “l’atto di nascita, il crisma pontificale del sindacalismo cristiano” e Marini affermava che mai come allora la grande enciclica apparve in tutto il suo valore di documento storico che aveva prevenuto eventi e cose.
De Gasperi scriveva: “La Rerum novarum costituì, da una parte la sanzione ecclesiastica alle elaborazione teorica e all’esperienza organizzativa dei cattolici nei riguardi della questione sociale, dall’altra diede l’avvio a tutta una fioritura di studi e di iniziative sociali che 40 anni dopo troveranno una valutazione critica, assieme a caldo apprezzamento e ad ulteriori direttive nell’ Enciclica di Pio XI “ Quadragesimo anno” del 1931
Di fronte a quanti vorrebbero semplicemente datata la R.N., De Gasperi ci suggerisce il metodo di studio che in fondo è quello storico di ripensamento, di apprezzamento e di insegnamento per il presente e sollecitazione per il futuro

Per ben comprendere il valore di questo documento, è bene rifarsi ad alcuni eventi storici che hanno solcato l’umanità di quel tempo ed all’atteggiamento della Chiesa e dei cattolici di fronte ad essi.
La Restaurazione all’inizio del XIX secolo aveva nuovamente riconosciuto la Chiesa come istituzione di diritto pubblico; ma essa si troverà di contro gli sviluppi radicali delle posizioni spirituali che caratterizzeranno la civiltà moderna e che con grande violenza l’Illuminismo aveva catapultato in Europa attraverso la rivoluzione francese: il soggettivismo che si teorizzerà come relativismo; l’avversione all’autorità esteriore della Chiesa che porterà ad una autonomia di valori morali e sociali, assumendo sempre più in contrapposizione l’impronta laica. Già a partire dal secolo precedente si era venuta attuando il distacco della cultura, della vita individuale, dell’organizzazione economica sociale dalla Chiesa. Si può aggiungere che la Chiesa, con la rivoluzione francese, era stata estromessa non solo dalle posizioni direttive della vita sociale che per secoli aveva tenute, ma addirittura era stata privata del diritto di esistenza.
Tutto questo ci fa meglio comprendere in quale clima politico e sociale operò in quei tempi il papato e ci spiega certe reazioni conservatrici della Chiesa e come nella prima metà dell’Ottocento si affermi nella cultura cattolica una interpretazione complessiva della modernità elaborata dagli ambienti intransigenti che si richiamavano al pensiero reazionario di De Maistre e De Bonald.

Stava prendendo corpo, intanto un nuovo modo di pensare e un nuovo linguaggio sotto la suggestione dei nuovi princìpi politici- sociali che abbiamo visto affiorare nel secolo XVIII in particolare in Inghilterra e in Francia.

Si parla di democrazia e di stato costituzionale, (Rousseau-Montesquieu). Si fa largo l’esigenza nazionale che è un’istanza particolaristica di fronte al sistema vigente delle dinastie ereditarie. Si afferma che il governo deve essere del popolo, si cerca una concretizzazione democratica con i rappresentanti eletti direttamente. Questa esigenza democratica si sviluppa poi in quella più propriamente socialista, che presuppone non solo il controllo dello Stato, come leggi e amministrazione, ma di tutta la struttura sociale, del sistema della produzione e distribuzione dei beni da parte della massa numericamente di gran lunga prevalente, quella dei “proletari”.
A questo punto importante sarebbe trattare il problema dell’industrializzazione contro l’artigianato casalingo, l’ accentramento urbano, i rapporti di lavoro e quindi tutta la dinamica della lotta di classe e il comunismo, ma vi rimando alle vostre conoscenze
Il Secolo XIX si presenta per la Chiesa sostanzialmente con una situazione sfavorevole: la società è dominata dalle idee, forze, problemi che sono in gran parte estranee alla Chiesa e dal suo ideale di vita.
Per la religione e la Chiesa una società così come si presenta, preoccupata della crisi economica presa dalla febbre di guadagno, con masse crescenti in perenne incertezza sul pane e la casa, trova sempre meno tempo e spazio. Le forze dell’economia, della cultura, della politica, non solo sono estranee alla religione, ma spesso sono positivamente e volutamente estranee.
A tutto ciò, vanno aggiunte le peculiari vicende storiche del pontificato di Pio IX che fecero senza dubbio propendere il papato verso le tesi intransigenti: da Gregorio XVI a Pio IX, piovono le condanne. Tuttavia queste investono generalmente le ideologie senza far riferimento alla loro posizione particolare di fronte ai problemi.
Ma è con l’enciclica “Quanta cura 1864” e l’annesso “Sillabo”( cioè la collezione degli errori moderni) che viene assunta dal papato una radicale rottura con il mondo moderno. Con l’elezione a Papa di Leone XIII, si determina una diversa impostazione del rapporto chiesa e società moderna. Non che il nuovo Papa rinneghi l’eredità dei predecessori, egli tuttavia non si ferma alla condanna del mondo moderno, ma, come possiamo leggere anche nelle lettere pastorali quando era arcivescovo di Perugia, si sforza di indicare i modi in cui i cattolici possono attivamente partecipare alla sua correzione in senso cristiano. Alla difesa dei princìpi Leone XIII associa un possibilismo pratico che consente ai fedeli di avvicinarsi alle nuove realtà, conoscerle direttamente e cercare di orientarle verso l’ideale cristiano. Questa posizione provoca nel mondo cattolico un fervore organizzativo ed uno slancio di conquista del tutto sconosciuti nei decenni precedenti. Nel contesto di questo tumultuoso sviluppo del movimento cattolico, matura anche un orientamento che si definisce Democratico Cristiano. Al suo interno si profila una corrente ( in Italia fa capo a R. Murri e in Francia al gruppo Sillon) che comincia a mettere in discussione proprio il rifiuto della modernità da parte della Chiesa e la pretesa di dirigere il consorzio civile come aveva fatto nel Medioevo. Ci fu uno scontro con i cattolici intransigenti e questo nuovo modo di pensare purtroppo, si intrecciò con il più complessivo problema del Modernismo. La condanna di questo e il ritorno della Chiesa al vagheggiamento della medievale società cristiana, stavano rischiando di separarla definitivamente dal divenire storico della modernità.
Si deve all’elaborazione di un filosofo francese J. Maritain l’individuazione dello snodo teorico che consentiva al mondo cattolico di inserirsi di nuovo e a pieno titolo nella costruzione del mondo moderno. Nella sua opera “Umanesimo integrale” 1936, egli sostiene che la rinuncia alla cristianità medievale non implica l’abbandono del progetto di una città cristiana. Occorre però che i credenti si impegnino nella promozione di una cristianità di tipo profano in cui, alla tutela clericale della società ed al ruolo ministeriale dello stato rispetto alla chiesa, ormai inaccettabili alla coscienza contemporanea, si sostituisca l’ispirazione cristiana delle istituzioni democratiche.
Il laicato cattolico doveva, a questo scopo, organizzarsi in associazioni politiche che animando con i valori religiosi la Moderna Società Democratica, realizzassero una città cristiana adeguata al tempo moderno. La filosofia politica del Maritain ha costituito la base teorica dell’operare dei partiti cristiani che, soprattutto nel secondo dopoguerra, hanno contribuito alla vita delle democrazie occidentali.
Tuttavia nella Chiesa si è ben presto percepito il rischio dell’appiattimento che, sia pur in forma indiretta, si realizzava così tra Chiesa e il modello di sviluppo capitalistico. Le inquietudini che variamente percorrevano il mondo cattolico (si pensi ai preti operai e a don Milani, all’elaborazione dei teologi come Chenu e filosofi come Mounier) hanno infine trovato espressione nel magistero di Giovanni XXIII. Dalle sue encicliche e in particolare dal discorso inaugurale del Concilio Vaticano II, emergeva infatti una prospettiva radicalmente diversa. La Chiesa reagì con lentezza e impaccio anche ai nuovi problemi posti dalla rivoluzione industriale.
Si mostravano così in tutta la loro evidenza i limiti della cultura cattolica ad affrontare con successo l’analisi del travolgente processo che stava segnando in tutta Europa il passaggio da una civiltà contadina ad una civiltà industriale. I moti di sdegno di fronte alle sofferenze dei lavoratori si indirizzano per lo più verso iniziative caritativo- assistenziali. ( Vengono così fondate da Ozanam le Conferenze di San Vincenzo, le opere di don Bosco e in Germania si segnalano le iniziative di Kolping verso gli apprendisti).
Abbiamo già detto che con l’inizio del pontificato di Leone XIII si assiste ad un mutamento di sensibilità. Nell’ultimo ventennio dell’Ottocento ha luogo il passaggio da schemi caritativo assistenziale ad interventi consapevoli in cui le masse lavoratrici non svolgono più un ruolo passivo, ma diventano protagoniste in prima persona dell’agire economico e sociale.
A tale proposito va sottolineato lo scarto temporale nello sviluppo di questo processo, tra l’Italia e il resto dell’Europa. Il ritardo italiano va sostanzialmente fatto risalire a due fattori: primo l’arretratezza complessiva del nostro paese nel settore industriale, secondo le conseguenze del moto risorgimentale che con la fine del potere temporale del Papa, la frattura fra nuovo Stato italiano e Chiesa, il divieto per i cattolici di partecipare alla vita pubblica (non expedit ) attardarono di fatto il movimento cattolico italiano. Un segno della presa d’atto dei tempi mutati era venuto dalla Germania con l’attività del vescovo di Magonza. Se in Francia sorgevano i primi circoli cattolici degli operai 1872, in Inghilterra il cardinale Manning interveniva a favore degli operai in sciopero. In Italia, dopo che già nel 1874 aveva preso corpo una sezione della Opera dei Congressi dedicata “alla carità” che in seguito evolverà verso più precisi indirizzi economico e sociali, nel 1885 iniziò a svilupparsi, sotto la guida di Giuseppe Toniolo, l’unione cattolica per gli studi sociali.

Nel 1891 il papato, con Leone XIII e la sua enciclica R.N., offriva alle forze cattoliche impegnate nelle problematiche sociali un documento programmatico, che pur nelle limitazioni e in un’ottica già in parte superata al momento stesso del suo apparire, rappresentava un punto di svolta nell’atteggiamento della Chiesa. L’Enciclica R.N. frutto di una redazione assai complessa e che aveva registrato fino all’ultimo momento, interventi aggiuntivi e correttivi ad opera dello stesso pontefice, ruota sui concetti fondamentali del riconoscimento della proprietà privata, della presa d’atto delle condizioni miserevoli degli operai, per migliorare le quali non è più sufficiente la tradizionale carità. Si sostiene infatti l’esigenza di un giusto salario che superi la soglia della pura è semplice sopravvivenza, ma permetta anche un minimo di risparmio.

Lo Stato, il quale deve abbandonare ogni forma di indifferentismo liberista verso la vita sociale ed economica, deve incaricarsi di cercare e di curare le condizioni di un maggiore benessere sia pubblico sia privato, ma soprattutto si riconosce agli operai, pur nel ripudio della lotta di classe, il diritto di dare vita a proprie organizzazioni rappresentative e di tutela. Va apprezzato del documento pontificio lo sforzo che esso fece di mettere la Chiesa al passo con la storia e soprattutto, il fatto di aver creato le condizioni teoriche che consentirono al Movimento Sociale Cattolico di assumere via via un ruolo sempre più significativo nella grande scena dei conflitti sociali.
Per lo sviluppo del movimento operaio cattolico fu particolarmente importante il superamento della tendenza privilegiata come modello organizzativo, quello corporativo rispetto a quello sindacale. In Italia fu grazie all’opera instancabile di personalità come Giuseppe Toniolo, don Davide Albertario, Romolo Murri, Filippo Meda che l’opzione corporativa e indirizzata alla creazione di associazioni miste di imprenditori ed operai, venne superata e si aprì la strada ad un vero e proprio sindacalismo di ispirazione cristiana.
All’alba della prima guerra mondiale il sindacato cristiano era una realtà in Francia, Belgio, Germania e in Italia.

Un’ ulteriore presa di posizione del magistero pontificio si registra con Pio XI con l’enciclica “Quadrangesimo anno” redatta nel 1931 in occasione del quarantesimo anniversario della R.N. Il documento che risente della situazione di grave crisi della democrazia Europea degli anni ‘30 si segnala soprattutto per l’insistenza sulla categoria della giustizia sociale. La fine della seconda guerra mondiale, la sconfitta dei fascisti, l’avvio della stagione della guerra fredda, la stasi degli ultimi anni del pontificato di Pio XII, portano ad una stagione che per i cristiani impegnati nella vita sociale è, da un lato ricca di tensioni e di ansie innovative e dall’altro contrassegnata da dure sconfitte ed aspre incomprensioni con parte della gerarchia ecclesiastica. L’esempio più eclatante di questa situazione contraddittoria è offerto dall’esperienza compiuta in Francia nei primi anni Cinquanta dai preti operai. Si dovrà attendere il pontificato di Angelo Roncalli, perché, come conseguenza della sua storica decisione di convocare un Concilio Ecumenico, maturi una nuova stagione. Se le encicliche giovannee “Mater et magistra (1961) e “Pacem in terris” (1963) mostrano una riconquistata apertura del magistero pontificio alle grandi questioni del mondo moderno, è la costituzione del Concilio Vaticano II “ Gaudium et spes”( 1965) a segnare un nuovo punto di partenza. In essa viene ribadito il dovere di correggere le disuguaglianze, il diritto per i lavoratori di associarsi liberamente. Il cristiano deve trovare nell’ambito economico sociale un luogo privilegiato di impegno. È nella storia che la Chiesa trova la sua piena realizzazione ed è nello sforzo di comprensione dei “segni dei tempi” che il cristiano affronta la sfida del mondo moderno.
Con il papa San Paolo VI ci si impegna alla realizzazione del messaggio lanciato dal Concilio VaticanoII. Con la “Populorum progressio” (1967) il papa cerca di rendere mondiale il duplice problema della Giustizia e della Pace. Dopo i fatti degli anni ’60, avverte la necessità di un discorso per la “nuova civiltà” e prendendo l’occasione dell’ ottantesimo anniversario della R.N. emana l’enciclica “Octogesima adveniens” in cui l’insegnamento sociale della Chiesa si fa servizio evangelico.
A questo punto mi fermo e torno all’invito lanciatoci dal nostro primo Vescovo della nuova Diocesi che modestamente aveva aggiunto in calce al titolo del libro “appunti per una ricerca”. Ad altri il compito di esplorare con metodo ed organicità gli archivi diocesani, parrocchiali, di associazioni e di istituzioni cattoliche, gli archivi familiari e quelli degli enti pubblici; ed aggiunge: “Fondamentale è anche la ricerca e lo spoglio della stampa d’epoca …”