Pubblichiamo la nota giunta in redazione da parte del Vescovo di Macerata, Monsignor Nazzareno Marconi
«Perché il Vescovo va a vedere la Carmen?». Ho un senso alto della mia responsabilità e per questo, se non posso evitare di fare cose sbagliate, come tutti gli esseri umani, cerco almeno di non fare cose inutili e stupide. Perciò non vado a vedere la Carmen perché ci vanno tutti “i pezzi grossi”, sarebbe inutile aumentare l’elenco. Né vado a vederla per “farmi vedere a una Prima”, sarebbe davvero stupido. Vado a vedere la Carmen per indicare alla gente che l’arte, quando è grande, fa pensare e riflettere sulla vita. E un popolo che pensa e riflette sulla vita, dal mio punto di vista, è già sulla buona strada per diventare un popolo più cristiano.
Quest’opera ha conquistato i grandi intellettuali perché affronta temi cruciali e seri: l’amore, la morte, il vero e il falso, la difficile libertà lacerata tra ragione e passione. Ma come diceva un suo grande estimatore, il filosofo Nietzsche, lo fa con bellezza e levità: «quest’opera integra la natura di un uomo. Essa è malvagia, perversa, raffinata, fantastica, eppure avanza con passo leggero e composto… Si sono mai uditi sulla scena accenti più tragici, più dolorosi? E come sono ottenuti? Senza smorfie, senza contraffazioni di alcun genere, in piena libertà dalle bugie del “grande stile”».
La Carmen ci insegna che le cose nella vita vera non sono facili, per cui chi corre subito a giudicare e condannare, sbaglia certamente. La morale, che davvero cerca il bene, non può essere quella del carabiniere, tra l’altro il mestiere di don José. Una morale per cui chi viola la norma va punito, senza se e senza ma, senza valutare situazioni e circostanze, senza cercare una giustizia che guarisca e non semplicemente che “vendichi” con la punizione il male fatto.
La trama di Carmen potrebbe finire subito: se don José lasciasse Carmen in prigione a scontare la sua condanna e sposasse Micaela, che lo ama ed è un porto sicuro per un affetto tenero e senza rischi, l’opera finirebbe al primo atto. Tutti a casa, convinti che la legge e l’ordine fanno vivere sereni e tranquilli, e questo basta per diventare vecchi.
Ma don José lascia fuggire Carmen, perché l’umano non è solo calcolo e quieto vivere, la persona umana, per quanto ci si sforzi di descriverla come un tubo digerente con processi istintivi e logici più complessi di un qualsiasi animale, ma sempre e solo un animale, si rivela invece un mistero. Carmen fugge e molti, se non tutti, sono contenti che fugga, perché il cuore umano cerca un di più di vita e di libertà che supera la materia e il calcolo. La differenza umana, spesso si mostra più chiaramente nel male che nel bene, ma tuttavia si mostra.
Carmen parla del mistero dell’amore, che non è solo sesso, ma non è neppure legame calmo ed ordinato, senza passione.
Un grande intellettuale come era Benedetto XVI presentando la sua prima Lettera da Papa ha scritto: «La parola “amore” oggi è così sciupata, così consumata e abusata che quasi si teme di lasciarla affiorare sulle proprie labbra. Eppure, è una parola primordiale, espressione della realtà primordiale; noi non possiamo semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla sulla retta via». E nel testo della Deus caritas est contro l’ideale di un amore umano disinfettato, asettico, dominato dall’interesse e dal calcolo, dove appare facile giudicare subito chi sta nel bene e chi nel male, osa dire che nel vero amore c’è anche l’eros, la passione. Anche nel modo di amare di Dio c’è eros, una passione tutta buona che parteggia per l’uomo ferito, fragile e solo senza chiedersi subito e prima di tutto, quanto sia così per colpa sua e meriti di starci, ma lasciandosi commuovere dalla passione per il bene. «L’eros di Dio è amore che ha creato l’uomo e si china verso di lui, come si è chinato il Buon Samaritano verso l’uomo ferito e derubato».
È questa passione per l’umano, perché l’umanità viva, si senta libera, provi a cercare la sua strada, anche a rischio di farsi male, che spinge don Josè a liberare Carmen e fa partire davvero la storia dell’opera di Bizet.
Vado a vedere Carmen per ricordarmi che il male distrugge, e Carmen alla fine, con la sua morte e la condanna di don José, non dice nulla di diverso, ma che cercare la via della vita, della libertà e del bene è più complesso che fare un elenco di reati, mettere in galera chi li viola e gettare la chiave.
Forse anche Carmen può servire per scrivere un catechismo della misericordia, di cui avremmo tutti un grande bisogno, cristiani e non.