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80 anni dal Codice di Camaldoli: conciliare gli ideali della dottrina sociale e la ricostruzione del Paese

Ph. Monastero Camaldoli

Il cosiddetto “Codice di Camaldoli” è un documento di grande importanza nella storia del movimento cattolico italiano del Novecento. Esso cominciò a prendere forma, attraverso un’articolata serie di enunciati, nel luglio 1943, in singolare coincidenza con le drammatiche vicende che, dal bombardamento di Roma, portarono alla destituzione di Mussolini. Proprio in quelle giornate dense di storia, nel Cenobio di Camaldoli si svolse una riunione di teologi e di intellettuali cattolici che era stata preparata a lungo nei mesi precedenti, a partire dal celebre richiamo all’azione di Pio XII nel Radiomessaggio del Natale 1942. Le considerazioni condivise a Camaldoli vennero rielaborate nei mesi successivi da un gruppo di lavoro guidato da Sergio Paronetto, nel plumbeo scenario della Roma occupata, e, pronte nella primavera del 1944, furono infine condensate nel testo Per la comunità cristiana, pubblicato nell’aprile del 1945. Cominciò allora – per così dire – un’altra storia del Codice di Camaldoli.

Dall’oblio in cui fu relegato – sebbene molte delle sue riflessioni e intuizioni si ritrovino nel contributo dei cattolici all’Assemblea costituente – esso riemerse solo a partire dagli anni Ottanta, divenendo oggetto di un’attenzione crescente ma anche di riletture agiografiche e parziali, ispirate più da un nostalgico interesse politico che da autentiche ragioni storiografiche. Nel progressivo declino dell’unità politica dei cattolici, i tentativi di “ritornare” al Codice hanno cercato di rispondere all’esigenza di riprendere un discorso comune sui fondamenti morali dell’impegno politico cristiano.

Oggi si può guardare alla vicenda del luglio 1943 e alla sua lunga e complessa storia successiva con maggiore rigore scientifico. Gli studi offrono infatti un ampio spettro di considerazioni sulla carica progettuale del Codice, sull’originalità di alcuni suoi contenuti, sulla sensibilità dimostrata dagli estensori verso approcci metodologici differenti, dalla sociologia alla spiritualità, all’economia, al diritto. Sono stati chiariti molti aspetti della fase di preparazione del convegno del luglio 1943 e delle successive tappe della redazione romana del testo, pubblicato nell’altrettanto singolare coincidenza della Liberazione.

Si è potuto così meglio comprendere come nelle aspirazioni comuni dei redattori ci sia stata la volontà di conciliare gli ideali della dottrina sociale cristiana e le mete concrete per avviare la ricostruzione del Paese dopo l’immane catastrofe bellica.

Essi si posero con molta serietà il problema della propria autonomia rispetto a impostazioni di carattere politico. Ritenevano infatti che le opzioni politiche dovessero essere effettuate dai singoli senza coinvolgere la Chiesa. Ritenevano urgente contribuire a che i singoli cristiani potessero liberamente e responsabilmente assumere una loro posizione nei confronti dei valori irrinunciabili per la coscienza cristiana. Come ha ricordato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel magistrale discorso tenuto a Cuneo il 25 aprile scorso, 78° anniversario della Liberazione, essi erano mossi dall’intento “di riflettere sul futuro, dando vita a una Carta di principi, nota come ‘Codice di Camaldoli’, che lascerà il segno nella Costituzione. Con la proposta di uno Stato che facesse propria la causa della giustizia sociale come concreta espressione del bene comune, per rimuovere gli ostacoli al pieno sviluppo di ogni persona umana, per rendere sostanziale l’uguaglianza fra i cittadini”. Osservato attraverso la scrupolosa lente degli storici, fuori dal fuoco della controversia politica, lo stile di questa presenza laicale e di questo impegno intellettuale dei cattolici italiani nel riflettere sul futuro resta dunque ancora oggi, a ottant’anni di distanza, esemplare e affascinante.

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