DIOCESI – Pubblichiamo la lettera della Caritas Diocesana.
«Per ogni problema complesso
c’è una soluzione semplice.
Che è sbagliata».
George Bernard Shaw
In questa torrida estate, il vescovo di Napoli, ha scritto una lettera in cui parla di “un’aria strana che si muove nel cielo”. Un’aria che potrebbe preannunciare l’arrivo di uno di quei “minacciosi temporali” che, come succede spesso in questi ultimi tempi, semina morte e distruzione soprattutto tra la povera gente. Si legge nella sua lettera: “L’Italia, il nostro bel Paese, ricco di storia buona e di cultura bella, di paesaggi ineguagliabili e di ricchezze artistiche e culturali incommensurabili, è sotto quel cielo, a respirare quest’aria strana!”
Il riferimento è soprattutto alla situazione post-pandemica che stiamo vivendo, segnata da un forte individualismo e un crescente egoismo che sembra invadere ogni campo, da quello ecclesiale a quello sociale e politico. Attraverso una ricercatezza del linguaggio, come l’espressione “autonomia differenziata”, si propongono separazioni di una parte da tutto il resto, dimenticando l’importanza della partecipazione di tutti alla costruzione di una comunità o di un paese.
E’ un rischio purtroppo che si ravvisa anche nella Chiesa, dove a nome di una certa libertà, si rivendica quell’autonomia che può nascondere il voler fare senza gli altri, favorendo così la costruzioni di muri piuttosto che di ponti. Forse non è un caso che papa Francesco, con forza, continua a proporre alla Chiesa il percorso sinodale per aiutarci a camminare insieme, mai perdendo di vista la comunione, la partecipazione e la missione. Anche la parola ‘differenziata’ richiama, da una parte il nostro essere unici e irrepetibili, che ci porta a fare cose diverse, dall’altra la tentazione di fare da soli e per se stessi, senza dar conto agli altri del proprio operato e senza tener conto della nostra “casa comune”.
Scrive ancora il Vescovo Mimmo Battaglia: “In tanti ancora dimenticano che la bellezza della nostra Costituzione è nella inscindibile unità tra autonomie e solidarietà, tra libertà individuale e azione sociale, tra ricchezza individuale e ricchezza complessiva, tra singoli territori e unità territoriale. Tra regioni e nazione. Tra comuni e Stato, tra pluralismo e compattezza. Dimenticano che al centro di ogni divenire sociale c’è la persona, non l’individuo singolo privo di tutto quel corredo umano che fa l’uomo l’essere speciale che è. L’autonomia differenziata, per quanto la si voglia edulcorare con nuovi innesti terminologici che la gente non comprende, rompe questo concetto di unità, lacera il senso di solidarietà che è proprio della nostra gente, divide il Paese, accresce la povertà già troppo estesa ed estrema per milioni di italiani. Infine, cancella d’un colpo quel bagaglio ricchissimo di conquiste democratiche realizzato dalle lotte popolari dal Risorgimento a oggi”.
Sono frasi forti, che fanno pensare e che evocano parole che abbiamo spesso sentito e condiviso durante la pandemia: “siamo tutti sulla stessa barca… da soli non si va da nessuna parte”. In realtà, si può guardare con speranza al futuro, nella misura in cui saremo capaci di passare dall’io al noi, di trasformare la pianificazione delle guerre, che valorizzano solo il mercato delle armi, nella progettazione della solidarietà, che genera vita dignitosa per tutti.
Nel suo piccolo la Caritas si pone necessariamente in prima fila in questa lotta per la giustizia, schierandosi, secondo lo stile proprio di Dio, dalla parte degli ultimi. Lo fa perché è Chiesa, chiamata ad annunciare il Vangelo attraverso il servizio ai poveri.
Come scrive in un interessante articolo il prof. Mauro Magatti: “Muri e barriere, con l’intento di dividere il destino degli uni da quello degli altri, non sono una soluzione: come si può pensare, in un mondo dove tutto è interconnesso (dalle merci all’energia, dalle informazioni al clima) che ostacoli fisici possano reggere l’urto di milioni di persone che scappano dalla guerra, dalla fame, dalla persecuzione?” (Globalizzazione e migrazioni. Investire dove serve. Avvenire 16.07.2023)
Anche in questo caso vengono utilizzate grandi parole come “ricollocamenti”, ma in fondo si tratta di un termine per definire “deportazioni in paesi terzi (ben pagati)”. Molti cominciano a chiedersi se adottare soluzioni semplici per problemi complessi non sia la cosa più sbagliata. Per fermare il drammatico fenomeno migratorio, come per risolvere tante altre questioni, non basta dare soldi a qualcuno, mentalità che sottende sempre la stessa divisione tra ricchi e poveri, nord e sud. Forse è arrivato il momento, ad ogni livello, di riequilibrare le tantissime risorse di cui il mondo dispone in quanto certe ingiustizie sono intollerabili e, prima o poi, porteranno alla rivolta dei molti nei confronti dei pochissimi che ormai gestiscono tutto. Un esempio evidente di come vanno le cose in questo nostro mondo “sbagliato” è il calcio mercato di questi giorni: assistiamo a qualcosa di tremendamente scandaloso, a stipendi di milioni di euro… eppure nessuno si indigna!
Una pubblicità di qualche anno fa faceva vedere una famiglia che rimirava la bellezza di una mansarda ristrutturata e lussuosa, ma che ad un certo punto crolla: non avevano pensato che era necessario intervenire anche sui piani sottostanti, ormai molto mal messi.
Nella Chiesa o nel nostro paese, in Europa o nel mondo, c’è da arginare questa pericolosa mentalità individualistica ed autoreferenziale, per fare spazio ad una cultura della cura dell’altro che è l’unica strada percorribile per creare veramente un mondo più giusto dove tutti gli uomini e le donne possano vivere dignitosamente. E’ l’unico modo per salvare “anche se stessi”. E questo a tutti i livelli.
Anche nelle nostre comunità cristiane come sarebbe bello riuscire ad aprirsi a tutti, senza distinzioni fra lontani e vicini, per passare dai pochi che fanno tutto, ai molti che fanno poco!