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Utero in affitto. Armeni: “Altro che libertà, è sfruttamento”

Giovanna Pasqualin Traversa

Utero in affitto, va dritta al punto la giornalista, scrittrice e conduttrice televisiva Ritanna Armeni. 

Maternità surrogata, gestazione per altri, utero in affitto. Che cosa preferisce?
A questa procedura si possono dare i nomi più disparati secondo il giudizio che si vuole esprimere: io scelgo utero in affitto perché il mio giudizio è totalmente negativo. Chiamiamo le cose con il loro vero nome: si tratta realmente di utero in affitto,

una pratica da combattere con assoluta determinazione.

Ritiene che il ddl in discussione alla Camera possa costituire uno strumento efficace per arginare questa pratica nel nostro Paese?
Tendenzialmente, su questioni come queste credo molto nelle battaglie culturali, nell’importanza di avviare un dibattito, nella capacità di discutere e convincere le persone. Non ho invece fiducia nell’efficacia delle leggi; indicano certamente una propensione e un atteggiamento culturale ma sono facilmente aggirabili.

Secondo lei il principio del “reato universale” è irrealistico?
Sì, ed è facilmente aggirabile. A mio avviso questo tema andrebbe affrontato a monte, dal punto di vista antropologico e culturale. Dietro l’utero in affitto si nasconde un profondo cambiamento sociale rispetto alla maternità, alla paternità, al rapporto tra infanzia il mondo adulto. Definiamolo pure reato universale, ma che cosa cambierebbe nella pratica? Dal mio punto di vista bisognerebbe invece convincere le persone che si può agire, lavorare, pensare ed anche essere felici su altri valori. Mi trovo spesso in contrasto con diverse femministe: pur pensandola allo stesso modo sull’utero in affitto, in loro c’è un’idea di punitività che non mi appartiene.

Che cosa risponderebbe a chi sostiene che si tratta della libera scelta di una donna di disporre del proprio corpo?
È una scusa e un uso sbagliato di vecchi principi che hanno contraddistinto la nascita del movimento femminista. Il sottinteso di questa affermazione è “il corpo è mio e lo gestisco io”, ma noi non sappiamo che cosa farebbe quella donna se non si trovasse in uno stato di bisogno. In questa vicenda mi colpiscono le chiacchiere e le bugie che le persone che decidono di ricorrere a questa pratica si raccontano. Ne ho conosciute diverse: sostengono tutte di avere fatto del bene alla madre surrogata, che questa voleva fare del bene a loro e loro gliene hanno dato l’opportunità, che non c’è stato alcuno sfruttamento perché tutto è avvenuto nel pieno esercizio della libertà da parte di chi ha “prestato” il proprio utero. Sappiamo benissimo, invece, che le donne che decidono per alcune migliaia di euro o di dollari – perché in alcuni paesi i compensi per le madri surrogate sono davvero molto bassi, in Georgia ad esempio circa 2mila euro – di affittare una parte del proprio corpo lo fanno per necessità economica.

Invocare principi di libertà o di autodeterminazione è solo un alibi per lavarsi la coscienza.

Quando si è stretti dal bisogno, non si può parlare di libertà. Per me, vecchia marxista, la libertà è soprattutto libertà dalla necessità.

Un’altra argomentazione utilizzata dai paladini dell’utero in affitto è l’altruismo nei confronti di chi, pur desiderando figli, non riesce ad averne.
E’ esattamente il contrario. Questa pratica non ha nulla di altruistico, anzi. Accentua l’egoismo perché è centrata sull’idea che la maternità sia un fatto esclusivamente biologico: per essere madre devi possedere un corpo, che poi in questo caso non è il tuo. Esalta una forma egoistica di maternità come possesso perché il bambino viene a tutti gli effetti “acquistato”, e la maternità non è questo. Rafforza l’idea che attraverso il denaro si possa ottenere tutto e che ogni desiderio, ancorché umanamente comprensibile, possa diventare un diritto assoluto. Io credo che questo non aiuti le persone che non hanno figli a cercare un altro modo di essere genitori, e non a caso uso il termine “genitori” e non “madre”.

Ripercorrere la strada biologica tradizionale usando il denaro dei ricchi e il bisogno dei poveri è una scorciatoia sbagliata.

Sarebbe preferibile aiutare i primi a scoprire un’idea progressiva, benefica, intelligente della genitorialità. Possibile si pensi solo a “comperare” l’utero di una donna?

Sta pensando all’adozione o a che cosa?
All’adozione, ma anche a qualsiasi forma di accoglienza, alla capacità di esprimere comunque paternage e maternage nella società.

Maternità e genitorialità non dovrebbero essere contrapposte. Che ne pensa?
Non condivido la mistica della maternità sbandierata da gran parte del mondo femminista in questa battaglia.

La mia condanna dell’utero in affitto non è ispirata da una presunta supremazia della madre in quanto tale, ma semplicemente dal fatto che si tratta di puro sfruttamento.

La mistica della maternità nuoce a questa campagna. Se proprio dobbiamo avere una mistica, sia una mistica della genitorialità, ossia della capacità del mondo adulto di affrontare il fenomeno di una società nella quale si fanno pochi figli, la qualità della vita si è abbassata, il dislivello tra il mondo dei poveri e il mondo dei ricchi è tale da portare a inaccettabili forme di sfruttamento come questa.