Giovanna Pasqualin Traversa
Gestazione per altri, ossia “vendita di bambini. Una pratica aberrante”. La definisce così Emanuela Lulli, ginecologa e medico di medicina generale a Pesaro. Dopo un primo rinvio di due settimane, e dopo il voto dell’Aula della Camera che il 18 luglio ha respinto le pregiudiziali di costituzionalità del disegno di legge che istituisce il “reato universale” di maternità surrogata e ne estende la perseguibilità nel caso si ricorra a tale pratica all’estero, anche nei Paesi in cui la Gpa è legalizzata, è previsto per oggi l’avvio dell’esame del testo nell’Aula di Montecitorio.
Dottoressa, nell’attuale dibattito il grande assente sembra essere il tema del profondo (e intimo) legame biologico, non solo emotivo e psicologico, tra madre surrogata e figlio. E’ d’accordo?
Sì. Si tratta di
un legame con precise basi biologiche ma sul quale grava un silenzio assordante.
Studi ormai decennali evidenziano il profondo legame di “sensibilità” che unisce fin dall’inizio un embrione alla donna che lo porta in grembo. La psicologia ci dice che i canali emozionali si attivano soprattutto nei primi tre mesi di vita intrauterina, e la ginecologia dimostra che nei nove mesi di gestazione si svolge il cosiddetto “traffico cellulare” tra mamma e bambino.
L’embrione, e poi il feto, produce cellule totipotenti che trasmette alla mamma e che rimangono per tutta la vita nel corpo di quest’ultima.
Queste cellule plastiche, una sorta di “regalo” del figlio alla mamma, si depositeranno lungo il suo canale midollare come dei piccoli “pronto soccorso” nel caso gli organi della mamma vengano aggrediti, anche a distanza di molti anni, da una malattia. Abbiamo registrato negli Stati uniti casi di cellule totipotenti del feto che hanno circoscritto un tumore alla tiroide e uno al fegato della mamma. Studiando questo “scudo protettivo” ci si è accorti che il Dna delle cellule che lo componevano era diverso da quello della donna, in un caso era quello di un feto di sesso maschile abortito in precedenza.
Esiste insomma fin dal concepimento un vero e proprio “dialogo” tra il figlio e la madre…
Sì. Un dialogo che nella fase preimpianto dell’embrione e nel percorso lungo le tube è essenzialmente “chimico”; successivamente è fatto di trasmissione cellulare.
Questa stretta connessione biologica è un dato scientifico incontrovertibile del quale non si può non tenere conto, ma di cui non si parla.
Non si capisce perché in Italia esista questa non-riflessione sulla vita. Ma c’è anche un altro aspetto che andrebbe approfondito.
Quale?
L’impatto psicologico dell’utero in affitto sulle madri surrogate. Disponiamo da anni di studi sulla ricaduta psicologica dell’interruzione volontaria di gravidanza sulle donne che l’hanno praticata; ora bisognerebbe iniziare a studiare anche l’impatto della Gpa sulle mamme surrogate, nel breve e nel lungo periodo.
La mamma, anche se consapevole di doversi separare da lui alla nascita, privata del suo bambino; il neonato privato del contatto fisico con la donna che l’ha portato in grembo nove mesi. Uno strappo lacerante per entrambi?
Assolutamente sì, ma soprattutto per la madre. La capacità plastica della psiche di un piccolo, e ancor più di un neonato, è di gran lunga maggiore rispetto a quella di un adulto, e quindi anche la capacità di recupero, pur con grande fatica in alcuni casi. Quello che mi interroga come donna, come madre e come ginecologa è proprio l’evenienza delle tempeste emotive nelle mamme surrogate, aspetto che la scienza dovrebbe avere l’onestà si approfondire.
Queste donne, oltre ad essere bombardate con fortissime terapie ormonali, vengono anche violentate psicologicamente.
Occorre porsi queste domande. Dal punto di vista medico si tratta di pazienti a tutti gli effetti, da seguire e trattare a 360°.
Emerge il tentativo, attraverso un emendamento dell’opposizione al ddl, di legalizzare la Gpa “solidale”. Ma può esistere una forma solidale?
La solidarietà presuppone il bene dell’altro; che cos’è il bene quando viene distrutta la vita dei due attori principali? L’utero in affitto è una forma di egoismo. Ho l’impressione che vi sia un uso del vocabolario a nostro uso e consumo. In medicina, per alcune donazioni di organi esistono necessariamente dei paletti: non è lecito fare tutto ciò che è tecnicamente possibile. Perciò, a maggior ragione, quando non sussiste neppure il rischio per la vita di un paziente non si può parlare di atto solidale. In medicina si parla al massimo di “donazione del samaritano” riferita, ad esempio, alla donazione di un rene tra padre a figlio, ma non è mai ammissibile un atto dell’uno a discapito dell’altro. E la Gpa è un atto medico vero e proprio.
Il disegno di legge, salutato con enfasi dalla maggior parte del mondo femminista, può costituire un efficace deterrente o sarebbe preferibile una battaglia culturale?
Sono due piani diversi ma l’uno non esclude l’altro. Questa legge, che ha per oggetto un tema bioeticamente sensibile, può essere lo strumento per avviare anche un lavoro di tipo educativo e culturale. Non solo una riflessione su questa pratica aberrante, ma anche sul valore della maternità, della filiazione, della vita in generale fin dal concepimento.
Abbiamo destabilizzato il legame più intoccabile della storia dell’umanità, quello tra madre e figlio, luogo sacrale della vita.
Dobbiamo ripartire da dove siamo venuti, dall’abc.
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