Ilaria De Bonis
È il generale Abdourahamane Tchiani, leader degli ammutinati, e presidente della Guardia presidenziale, il nuovo uomo forte del Niger. Tchiani si è presentato ieri come Presidente del Conseil national de sauvegarde de la patrie (Cnsp), la Giunta militare che da mercoledì scorso tiene in mano il Paese sotto golpe. Si tratta di un governo di transizione che dovrebbe traghettare il Niger verso un nuovo regime, ed “evitare una graduale ed inevitabile morte del Paese”, così si è espresso Tchiani. Il generale non aveva ancora preso parola pubblicamente fino a questo momento: era stato il colonnello Amadou Abdramane a parlare in tv. E a dar conferma del fatto che “le forze di sicurezza e difesa” avevano deciso, il 27 luglio scorso, di “mettere fine al regime che conoscete” (testuali parole).
Il motivo del golpe lo spiegano gli stessi elementi golpisti poi inglobati nella compagine della Guardia nazionale: il Paese, a loro dire, non godeva di una governance capace di garantire sicurezza e ripresa economica.
Il presidente democraticamente eletto nel 2021, alleato dell’Occidente, Mohamed Bazoum e la sua famiglia, sono dunque ancora ostaggio dei militari, sebbene si garantisca sulla loro incolumità fisica. Tuttavia la Francia non considera “definitivo” questo colpo di Stato: per Emmanuel Macron c’è ancora spazio di negoziazione. Senza spargimenti di sangue. “Un nostro fidei donum di Milano che è a Niamey ci dice che questo golpe è passato nei palazzi, a livello di ‘avvicendamenti non democratici’, ed è ciò che non vorremmo mai vedere, ma quanto meno non è stato violento”, ci racconta da Haiti una laica fidei donum, Maddalena Boschetti, in contatto con un missionario in Niger. L’unica certezza per ora è che il Niger, così come il Mali, il Burkina Faso e tutto il desertico Sahel, sono Paesi fragili e il nuovo Coup d’Etat rende ancora più fragile tutta l’area.
“In bilico tra fragilità ed eternità, la sabbia ben rappresenta la permanente sfida ad ogni pretesa di vana sicurezza”, scrive padre Mauro Armanino, missionario Sma da Niamey. “In questa porzione dell’Africa tutti sono coscienti che è la precarietà a dettare il ritmo e le stagioni del tempo”, aggiunge padre Armanino: “La vita, il lavoro, i raccolti, il cibo, i viaggi, i matrimoni, la salute, la scuola, la politica, tutto sembra condizionato dal sapore dell’insicurezza umana”. Ma il golpe appena avvenuto, che ha sospeso la Costituzione, chiuso le frontiere e “fatto fuori” (fortunatamente solo per metafora) il presidente Mohamed Bazoum, è segno che la “sola militarizzazione di un Paese che avrebbe bisogno di cultura, istruzione, sanità e pane”, non basta. Il popolo deve essere sostenuto affinché ci sia una opposizione politica solida, finalizzata a più democrazia, e non una forza militare attrezzata (anche) per sovvertire gli eletti con le armi. Queste sono le considerazioni dei missionari italiani in Niger.
Quello che tormenta di più chi ha a cuore il futuro dell’Africa è il senso di impotenza della società civile giovane, che continua coraggiosamente a scendere in piazza (come è avvenuto anche in Niger), senza che la sua voce abbia una pur flebile eco.
“Tutte le conquiste ottenute lottando, saranno salvaguardate. Tutti i nigerini innamorati della democrazia e della libertà, sapranno sorvegliarle”. Lo ha scritto in un tweet la Presidenza del Niger: si tratta di un appello, neanche troppo velato al popolo, affinché prenda le difese del presidente Mohamed Bazoum. Circostanza per ora molto improbabile. La parola d’ordine europea rispetto al Sahel è “sicurezza”. Dei confini, delle frontiere e dal terrorismo. La presenza militare internazionale nel Sahel è aumentata: ufficialmente per combattere il jihadismo e garantire la sicurezza locale, come ribadiscono i comunicati stampa della Difesa italiana. In realtà per “esternalizzare le frontiere”, ripete padre Armanino. “Ci sono momenti storici – dice il missionario – nei quali le promesse arroganti e illusorie della sicurezza, la greca hybris, sono smascherate e appaiono nella loro nudità”.
“Tra gli elementi da ricordare, rispetto a questo golpe – ci spiega don Renato Sacco di Pax Christi – ci sono anche i circa 70 milioni di euro di assistenza militare fornita dall’Unione europea al governo nigerino via European Peace facility e gli ultimi 5 milioni sono stanziati per una lethal force, forza letale, dice il testo”. Da luglio 2022 in Niger, oltre alla partecipazione alla missione Ue Eucap Sahel Niger, l’Italia ha potenziato la Missione bilaterale di supporto nella Repubblica del Niger con la costruzione della Base Aérienne 101 di Niamey.
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