Di Marco Testi
Leggere d’estate significa tante cose: tornare a libri comprati chissà perché e poi lasciati sul tavolo in attesa di chissà cosa -di un rimorso forse?-, entrare in una libreria e scommettere su una copertina intrigante, su un titolo che colpisce, incontrare un amico lettore che ti lascia con un “e ringraziami per il consiglio” per la dritta su un libro da leggere costi quel che costi. O cedere alle sirene dei critici dei giornali. E poi la questione che torna ad ogni estate: leggere leggero? O sfruttare i tempi più lunghi di pausa -e qualche volta, diciamocelo, di noia- per dedicarci ad approfondire la storia, quella con la maiuscola, o la scienza, o la psicologia, o l’inquietante affacciarsi dell’intelligenza artificiale?
Se si vogliono fare conti estivi con una grande letteratura che ci porta nella storia, con le sue inquiete domande sul perché della violenza senza apparente ragione, mascherata dal ritorno ad antichi riti pagani, allora dovremmo leggere lo splendido romanzo di uno dei più importanti scrittori del Novecento, Hermann Broch: “Sortilegio” (scritto nel 1936, ora riedito da Elliot, 440 pagine, 20 euro). È il lungo ma affascinante racconto di un medico che decide di lasciare gli agi della città accettando una condotta in un paesino delle alpi austriache. Racconto anche dell’ascesa di uno strano vagabondo che piano piano sobilla la popolazione contro la modernità, gli stranieri che non lavorano la terra, proponendo un ritorno alle origini pagane, attraverso il sacrificio cruento. Il riferimento al consenso popolare di Hitler è evidente (lo stesso Broch venne imprigionato dai nazisti), come è evidente vedere in un cristianesimo che veda nella natura un dono di Dio e un richiamo al Giardino, uno dei pochi rimedi contro il ritorno alla barbarie. Un libro che raccomandiamo soprattutto a chi ama passare le vacanze in montagna, consapevole del suo fascino, della sua voce che parla, a chi sa udirla.
Se invece vogliamo goderci una scrittura che tenga insieme poesia e narrativa, allora si potrebbe leggere la recente opera dello scrittore Eugenio De Signoribus, “Un manoscritto domestico” (Portatori d’acqua, 135 pagine, 14 euro), dove memorie personali, incontri nel qui e nell’ora in cui qualcosa rimanda a più lontani e profondi legami, destini di unione e separazione che sfiorano e poi disperdono, come petali, le vite in gioco, domande sul senso si sfiorano, lasciano esili tracce che però, direbbe il filosofo Bergson, diventano parte della nostra durata. Qui il verso tende alla visione, diviene anch’esso traccia d’altro, ma nello stesso tempo si compenetra con una prosa rapida, tesa a sua volta ad una inquieta domanda sul perché. E con il sospetto che la parola non sia una semplice meccanismo corporeo, ma “l’altra nascita a me”, come nella poesia-ancella che fa da accoglienza alla prosa. Un altro tra gli altri cui l’amore ci lega non nella retorica di certa letteratura, ma nel dolore e nella prima apparizione della morte: “io la respiravo profondamente, con gli occhi tra i suoi capelli” come nell’ultimo addio di un bambino alla madre.
L’incontro tra poesia e narrazione è presente anche in un singolare, costruttivo libro che ci può aiutare a passare una vacanza in cui la gioia della lettura si unisce a una vera e propria, utilissima lezione di vita: si tratta di “Lo spazzino e la rosa” (AnimaMundi, 160 pagine, 15 euro), dello scrittore svizzero Michel Simonet. Libro autobiografico di un uomo che ha deciso di piantare lo zaloniano impiego sedentario per andare a fare il netturbino per le strade di Friburgo. Studi di teologia, ufficio, famiglia -sette figli- non sono riusciti a far tacere l’inquieta ricerca di Michel. La strada è il suo posto, non esattamente quella dei cavalieri-trovatori medioevali, che pure qui vengono rammentati, ma quella delle deiezioni, dei dopo-party nel parco, delle zone malfamate. Non una romantica passeggiata, anche se molti leggerebbero come romantico il vezzo di nobilitare con una rosa il suo carretto e che invece contiene, oltre al riferimento al Piccolo Principe, l’evangelico richiamo all’amore per la semplicità, per il giorno dopo giorno, per la mitezza di una Parola che permea tutto questo affascinante e nuovo racconto. Che ci invita ad affrontare il nostro oggi senza la contaminazione dei miti dell’efficienza e dell’immagine, ma disarmati di fronte alla bellezza di un mattino che inizia a fare luce, pure in mezzo a bottiglie rotte e a rifiuti.
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