Nicola Salvagnin
Intel, il colosso americano dei microchip, poco tempo fa aveva annunciato l’apertura di alcuni stabilimenti in Europa per sopperire sia alla carenza di prodotto per le industrie del futuro (le auto elettriche ne richiedono migliaia l’una), sia al fatto che la maggior parte dei chip arriva da Taiwan, Estremo Oriente minacciato dalla Cina.
Orbene, un giro tra i Paesi più industrializzati aveva trovato braccia aperte e pure i portafogli. Perché il discorso è semplice: chi finanzia di più l’arrivo della nostra fabbrica strategica che tra l’altro regalerà occupazione qualitativa?
Si era messa in gara pure l’Italia, con una proposta da realizzare nel Veneto. A tagliare la testa al toro è stata la Germania: un pacchetto di 10 miliardi di euro di “aiuti” e la fabbrica più grande si farà appunto lì, in un Land bisognoso di rilancio e vicino alle tante industrie automobilistiche e di elettrodomestici locali.
Sono dinamiche che conosciamo, ma per questioni “interne”: ricordate la Fiat e gli abbondanti aiuti statali per realizzare stabilimenti a Melfi, Pomigliano D’Arco, Termini Imerese insomma in quel Sud affamato di lavoro? Poi ha scelto Polonia, Serbia e Turchia: gli aiutini di Stato non attiravano quanto la delocalizzazione.
Oggi sono le grandi multinazionali – in particolare quelle americane – a dettare le regole di un gioco che vede, ad esempio, l’Irlanda come meta d’elezione: manodopera qualificata, fiscalità bassa, lingua inglese, legislazione molto accomodante. In cambio, l’Irlanda ha avuto decine di migliaia di posti di lavoro, attira giovani qualificati da tutto il mondo e ha una crescita del Pil inimmaginabile nel resto d’Europa. Fino a sorpassare la vicina Gran Bretagna, ora parente povero per la prima volta nella storia.
Ma ormai tutto il mondo è in competizione per attirare capitali, i famosi “investimenti stranieri”. Solo che la storia recente ci ha insegnato a diffidare di Cina ed Estremo Oriente in generale, insomma di ciò che è lontano e poco “controllabile”. Quindi si torna a mete più vicine. Ma c’è un secondo fattore che sta scompaginando le carte.
Il presidente Joe Biden ha messo sul piatto l’Inflation Reduction Act: un pacchetto colossale di dollari per incentivare sia lo sviluppo dell’industria green, sia nuovi posti di lavoro in suolo americano. L’Europa unita non riesce a fare altrettanto, e già alcune grandi industrie europee hanno stabilito che saranno gli Usa la terra promessa per realizzare questo o quello.
Sembra passato un millennio e non un paio di decenni da quando si andava dal sindaco per ottenere l’ampliamento aziendale nella zona industriale del Comune; altrimenti si guardava a quello confinante, già pronto ad accogliere. Oggi, come diceva 007, il mondo non basta. E a comandare sono sempre meno gli Stati e sempre di più le grandi corporation, che fatturano singolarmente quanto il Pil di una ventina di Paesi africani messi insieme. E non i più piccoli.