Alberto Campoleoni
Il contesto è la presentazione dei corsi dell’Istituto superiore di scienze religiose, corso quadriennale di livello universitario, che tra l’altro permette di conseguire il titolo necessario per accedere all’insegnamento scolastico. Si invitano, in buona sostanza, in particolare laiche e laici a considerare l’opportunità di un percorso professionale che da tempo non è più sotto i riflettori.
Si ricorderà, negli anni seguito al Nuovo Concordato (18 febbraio 1984), come siano state innumerevoli le polemiche, anche molto aspre e spesso strumentali, nell’opinione pubblica e anche in Parlamento sui temi dell’insegnamento della religione cattolica. Una materia diventata, con la riforma neoconcordataria pienamente scolastica e curricolare, inserita “nel quadro delle finalità della scuola”, pur con l’anomalia della scelta da parte di famiglie e studenti di avvalersene o meno. Proprio questa anomalia aveva anche fatto pensare che l’insegnamento cattolico (Irc), avrebbe potuto avere vita breve. In realtà, a tanti anni di distanza, la percentuale di quanti se ne avvalgono è ancora molto alta. Ad esempio, nella diocesi da cui proviene l’appello detto prima, si parla di cifre intorno all’80% degli allievi.
Ma chi sono gli insegnanti di religione oggi e perché vale la pena dedicarsi a una professione certamente non facile – come peraltro è quella dei docenti in generale – e talvolta poco apprezzata nell’immaginario collettivo? Una categoria che ha faticato non poco ad affermarsi e stabilizzarsi: si pensi alle “battaglie” per il riconoscimento del ruolo scolastico, con il primo concorso a cattedre all’inizio degli anni Duemila (e l’attesa di un nuovo concorso a breve).
Due le considerazioni da fare, entrambe importanti. Su versante della professionalità scolastica gli insegnanti di religione hanno qualità e caratteristiche come quelle dei colleghi di altre materie. Per insegnare servono preparazione e titoli di studio specifici, riconosciuti da Stato e Chiesa (la normativa concordataria coinvolge entrambi i soggetti, peraltro, ciascuno con la propria autonomia, impegnati e collaboranti “per la promozione dell’uomo e il bene del Paese”).
Una seconda considerazione va fatta invece sul versante ecclesiale. L’insegnante di religione, infatti, pur pienamente “professionista della scuola”, vi opera non a titolo personale, ma “in nome e per conto” della comunità cristiana, come testimonia l’idoneità che gli deve riconoscere il vescovo locale. Fare l’insegnante di religione cattolica è un modo speciale di testimoniare la propria fede cristiana e l’appartenenza alla Chiesa nel servizio leale alla scuola di tutti (alle sue finalità), agli allievi, alle famiglie. Allo Stato.
In quella logica di collaborazione reciproca per il bene dei cittadini e del Paese intero richiamata proprio dal Nuovo Concordato.
Ecco allora che l’appello a dedicarsi all’insegnamento cattolico non è solo una richiesta (importante, peraltro) di non avere “buchi” in cattedra. Ma è insieme – guardando “dal di dentro” della comunità cristiana – la richiesta a una consapevolezza ecclesiale matura, il rimando a una dimensione di Chiesa che si mette a disposizione senza chiedere per sé. Un Chiesa dal profilo conciliare che valorizza la dimensione laicale, riconosce e apprezza l’autonomia delle diverse realtà, anima come lievito la società umana.