Andrea Zaghi
Un successo di mercato ma ancora per pochi. Problema di costi e di prezzi. La situazione dell’agricoltura biologica può essere sintetizzata così: un comparto che cresce in valore e quantità, prezioso sotto molti punti di vista ma con notevoli problemi produttivi e di mercato. L’occasione per una fotografia del settore è arrivata con l’assemblea 2023 di Federbio, l’associazione che riunisce gli “operatori biologici e biodinamici”, che non ha mancato di puntare il dito sulla questione principale: i controlli e il loro costo.
Ma cosa significa oggi in Italia agricoltura biologica e biodinamica? Di fatto, un micro-settore comunque miliardario. Stando a Federbio, questa attività in Italia conta quasi 93.000 operatori (+7,7% rispetto al 2021), 2,3 milioni di ettari (+7,5%) pari a quasi il 19% del totale della superficie coltivata. Coldiretti, sempre nel corso della assemblea, ha aggiunto un altro dato importante: i consumi di prodotti alimentari biologici in Italia sono arrivati ad un valore di mercato apri a 3,7 miliardi. Di questi il 45% va all’acquisto di frutto o verdura, il 22% al settore del latte e formaggi e l’11% ai cereali e alla pasta. Il problema sono i costi di produzione e, di conseguenza, i prezzi di mercato decisamente ancora piuttosto alti in molti casi. Il tema difficile da affrontare è quello delle tecniche di coltivazione e di allevamento (più onerose e più complesse), ma anche dei controlli.
Sul binomio costi di produzione e controlli ha puntato il dito proprio Federbio. I produttori, è stato spiegato nel corso dell’assemblea anche attraverso un Manifesto, “chiedono di istituire una Commissione Unica Nazionale per definire i prezzi a partire dai costi reali del biologico che, oltre a essere gravato oggi dalla certificazione che soprattutto nel primo anno è di alcune migliaia di euro, deve supportare il maggior carico di lavoro dovuto alla rinuncia a diserbanti, fitofarmaci e fertilizzanti chimici di sintesi”. Senza dire della burocrazia in generale che, così come per le altre imprese, pesa moltissimo, forse di più della media, anche su quelle biologiche. Basta un dato per capire. “L’83% delle aziende agricole tra quelle che hanno deciso di lasciare negli ultimi anni il settore del biologico imputa questa decisione a eccessivi oneri burocratici e di certificazione. Attualmente, il sistema di certificazione è delegato a organismi privati accreditati, i cui costi gravano sugli operatori e, inevitabilmente, sui consumatori”. Da qui le richieste concrete degli agricoltori: semplificazione burocratica e abbattimento dei costi a carico dei produttori. Ma anche un meccanismo per arrivare a definire un “giusto prezzo” che parta dall’istituzione di un sistema unico nazionale di certificazione, con tariffe uniformi e piani di controllo omogenei per tutti i territori e i produttori. Obiettivo più a lungo termine, è poi quello di “rafforzare il ruolo strategico dei produttori agricoli bio”, come ha sottolineato Maria Grazia Mammuccini, presidente dell’associazione che ha aggiunto: “C’è il rischio che il nostro ruolo nella filiera agricola diminuisca, così come è già successo purtroppo nell’agricoltura convenzionale”.
In altri termini, anche questa nicchia di produzione e di mercato vive (forse più accentuati) gli stessi problemi del resto della filiera agroalimentare. Un tema che, ancora una volta, riguarda tutti. Allargare il mercato dei prodotti alimentari ottenuti con tecniche che fanno a meno dei prodotti chimici di sintesi e in qualche modo più rispettose dei cicli e degli equilibri ambientali, significa dopo tutto offrire ai consumatori alimenti alternativi a quelli più commerciali. Una questione di democrazia e di libertà anche questa.