È vero: la missione ad gentes arriva fino agli estremi confini della terra. Perché la forza del Vangelo non si consuma durante il viaggio e la terra d’approdo è sempre abitata da fratelli con cui condividere la Buona Novella. Ce lo racconta don Michele Morando, classe 1955, fidei donum di Verona in Papua Nuova Guinea dal 2014, nella parrocchia di Kefano nella diocesi di Goroka, e dal 2018 nella diocesi di Rabaul dell’Isola di New Britain, dove è parroco di Kerevat. L’arcidiocesi di Rabaul conta poco più di 174.400 battezzati su 373.740 abitanti.
La parrocchia è articolata in tre comunità: Kerevat Centro, Nari, sulla Costa Nord della penisola (dove sorgono due istituti di ricerca per la coltivazione di palma da cocco e del cacao) e Vudal dove ha sede l’Università di Scienze delle risorse naturali. “Qui in New Britain il caldo mi ricorda il clima del Ciad, dove sono già stato missionario – racconta don Michele -. Il contesto sociale è una mescolanza di etnie, età e professioni, con gli studenti di agronomia dell’università di Vudal; con la scuola secondaria a carattere nazionale; con i lavoratori impegnati a Kerevat. Quest’area è uno snodo e tutti passano sulla strada vicina che attraversa il centro abitato. Percorro in moto il tragitto di una quarantina di chilometri per arrivare a Kokopo: la strada è a due corsie ma la chiamano ‘highway’ perché è l’arteria che congiunge gli estremi Est e Ovest dell’isola. Non potevo permettermi di comprare una macchina e così ho acquistato una moto, che permette di scansare agevolmente le buche dell’asfalto, anche se richiede più attenzione. Il clima lo permette, qualche acquazzone non fa male, anzi”.
La settimana di don Michele è molto impegnata tra il servizio pastorale a vari centri della parrocchia e l’insegnamento di religione alla National High School, tra l’animazione delle comunità di base e l’assistenza ai carcerati e ai malati all’Health Center, tra l’animazione in parrocchia e gli incontri con i catechisti e i catecumeni.
L’unica scuola elementare di Kerevat è quella cattolica, con 220 alunni, che sorge nel terreno della parrocchia. La dinamica cittadina nel cuore della Tolai Land è abitata da famiglie provenienti da svariate province del Paese, appartenenti a molteplici gruppi linguistici e culturali. “La convivenza tra i vari gruppi etnici è pacifica – spiega don Michele -, tuttavia l’integrazione è difficile, nel contesto comunitario si partecipa in gruppi di appartenenza (‘wantok’, identità linguistico-culturale). Chi non è del posto ed è venuto qui per lavoro, anche se poi si è sposato e ha figli, continua a sentirsi anche dopo anni di permanenza, uno ‘di passaggio’. La quantità di relazioni fatica a trovare la qualità in profondità e durata. Il Signore non ci fa mai mancare gesti che significano stima e riconoscenza, ma ce ne sono anche tanti come pure freddezze. Sono sempre uno straniero e non bisogna farsi troppe aspettative. Pazienza e porta sempre aperta. Quella del cuore soprattutto. Poi il Signore bussa e gli incontri veri non mancano”.
In Papua Nuova Guinea, un territorio grande una volta e mezza l’Italia, vivono circa nove milioni di abitanti appartenenti ad una grande varietà di gruppi etnici con più di 800 idiomi, anche se le due lingue ufficiali sono il “tokpigin” e l’inglese. Quest’ultimo fa parte della storia coloniale di Papua Nuova Guinea, Stato indipendente del Commonwealth con a capo Carlo III d’Inghilterra, anche se si tratta di un ruolo puramente formale: infatti oltre al “general governor”, c’è un Parlamento con 111 membri eletti dal popolo e il primo ministro James Marape è in carica per un secondo mandato da giugno 2022.
Tra le tante contraddizioni di quella che è chiamata anche “l’Isola delle orchidee” ci sono l’abbondanza di risorse minerali – gas, petrolio, rame e oro di cui è tra i più grandi produttori mondiali – e la condizione della popolazione (tra le più povere dell’Oceania) che per la maggior parte vive di pesca e agricoltura. In quest’angolo remoto del pianeta, che oggi si colloca al centro di un’area strategica come quella dell’Oceano Pacifico, si stanno vivendo profonde trasformazioni: dalla rapida diffusione dell’uso di internet all’abbandono delle zone rurali per le città; dalla diffusione di stili occidentali ai cambiamenti climatici che hanno già cambiato la geografia umana di alcune zone costiere. Il cristianesimo è la religione più diffusa, con una maggioranza di protestanti (soprattutto luterani) rispetto ai cattolici che si attestano al 26% circa, mentre sono presenti anche minoranze legate a religioni indigene tradizionali.
Oltre alla cura pastorale delle comunità di base, don Michele segue i carcerati. Racconta di alcuni incontri e di “una giovane mamma che compone poesie. Una era rivolta alla sua bambina che cresceva senza di lei al villaggio. Dopo qualche mese, mentre camminavo in fretta a Kokopo mi sono sentito chiamare: era la mamma detenuta delle poesie, che aveva scontato la pena ed era finalmente libera di accudire la figlia. Quando celebro con i detenuti e confesso, mi si stringe il cuore ad ascoltare i giovani in carcere a vita. Purtroppo, qui alcool e droghe sono le prime cause di violenza. Basta veramente poco per perdere libertà e futuro”. Anche per loro il Vangelo è la speranza che apre le porte della vita.
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