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Caritas San Bendetto, don Gianni al quartiere: “Vi ringraziamo, aiutateci a denunciare alle istituzioni competenti”

DIOCESI – Dopo i fatti di cronaca di ieri, pubblichiamo la lettera a firma del Direttore della Caritas Diocesana di San Benedetto del Tronto, Don Gianni Croci.

“Agli abitanti del Quartiere Ponterotto.
Carissimi, so bene che la cosa migliore è dialogare guardandosi negli occhi, ma sento il bisogno di rispondere alla vostra lettera che ho conosciuto dai social. In questi anni alla Caritas abbiamo imparato ad apprezzare la sensibilità umana della gente del quartiere Ponterotto ed abbiamo conosciuto anche delle persone che si sono offerte di collaborare come volontari.

Il bene del quartiere è a cuore anche a noi della Caritas e vi ringraziamo di cuore per le vostre sollecitazioni. Anzi, chiediamo per quanto possibile, di aiutarci, denunciando alle istituzioni competenti, come noi cerchiamo sempre di fare, ogni situazione che reca disturbo alla pace e alla serenità della gente che vive nella zona. Ci addolora, quanto voi, l’ultimo fatto successo (l’altro episodio da voi segnalato non mi sembra che riguardi persone che frequentano la Caritas). Per quanto abbiamo potuto capire si è trattato di un regolamento di conti, purtroppo come altri che avvengono anche in centro città, riguardante quel mercato della droga che, insieme all’alcool, ormai dilaga anche tra i nostri ragazzi e i nostri adulti. I soggetti interessati non sono comunque ospiti della struttura, ma qualcuno che nottetempo entra di nascosto per dormire (è diventato sempre più pericoloso dormire all’aperto) e gente esterna che non conosciamo. Per questo motivo abbiamo già previsto da qualche settimana la vigilanza notturna, come anche da voi suggerito, che inizierà ad essere presente proprio in questi giorni. Ci auguriamo che questi fatti non cancellino quel po’ di bene che si cerca di fare nei confronti di chi è veramente nel bisogno. Vi assicuriamo che da parte nostra continuerà ad esserci tutta l’attenzione per evitare connivenze con qualsiasi tipo di delinquenza. A tal proposito sentiamo il bisogno di ringraziare la polizia di stato ed i carabinieri, sempre pronti ad intervenire. Purtroppo a volte si ha la sensazione che le leggi dello stato non sempre aiutano nella prevenzione e nella repressione della attività delinquenziali. Saremmo contenti di accogliervi per prendere un caffè ed ascoltare i vostri suggerimenti.

Vi chiediamo di pregare per noi, con stima”.

Redazione:

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  • Sab 19/08/2023 Pagina: A2
    TRE LEZIONI DA UN PROVVEDIMENTO ESEMPLARE
    Le parole sono pietre (e i discorsi d’odio vanno fermati)
    MAURIZIO
    AMBROSINI
    Tempi duri per gli odiatori, anche quando si ammantano della libertà di espressione garantita agli attori

    politici. La sentenza (n. 24686) della Corte di Cassazione contro la Lega, per i manifesti affissi a Saronno alcuni anni fa contro i richiedenti asilo definiti “clandestini”, fissa un principio che si spera diventi normativo in tutte le sedi: il termine ha assunto «un contenuto spregiativo e una valenza fortemente negativa». I manifesti in questione contrapponevano i profughi, a cui sarebbero stati pagati “vitto, alloggio e vizi”, ai cittadini colpiti da tagli delle pensioni e aumenti delle tasse. Un messaggio del genere è stato

    definito dalla Suprema Corte lesivo della dignità delle persone in cerca di protezione internazionale, e tale da generare intorno a loro un clima «intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo». Non c’è libertà di parola che tenga, quando è in gioco la dignità umana e la lotta contro le discriminazioni basate su origine etnica e nazionalità.
    L’esemplare sentenza comporta almeno tre insegnamenti. Primo, le parole sono pietre. La nefasta semina del razzismo comincia con i discorsi d’odio che etichettano, stigmatizzano e additano al

    pubblico biasimo le minoranze, tanto più se ben identificabili e indifese.
    Secondo, deve crescere il senso di responsabilità nell’uso del linguaggio non solo nell’arena politica, ma anche in quella della comunicazione pubblica, fino a influenzare gli scambi colloquiali.
    La condanna della Lega per i manifesti di Saronno rimarrà senza seguito se non ispirerà un codice di comportamento valido per tutti coloro che si esprimono su temi sensibili come quelli coinvolti dalla

    sentenza. Siamo uno strano Paese, in cui si colpisce (giustamente) il razzismo negli stadi di calcio, ma lo si tollera sui giornali, nei talk show e in politica. In modo particolare, i principi sostenuti da anni dai giornalisti della Carta di Roma dovrebbero diventare la linea di condotta per tutto il sistema della comunicazione.
    Terzo, aver dovuto scomodare la magistratura, in tre gradi di giudizio, per condannare un’espressione così apertamente diffamatoria come quella di “clandestini” usata per le persone in cerca di asilo, con il

    contorno dei toni adottati, è un’anomalia italiana. Manca al nostro paese un’autorità antidiscriminatoria forte, indipendente dal potere politico, dotata di poteri sanzionatori: in un caso come quello di Saronno, sarebbe stata necessaria un’azione immediata di condanna, lasciando semmai agli offensori l’onere del ricorso alla giustizia per tentare di dimostrare la legittimità della loro iniziativa. L’Unar, l’Ufficio nazionale anti-discriminazione, dipendente dalla Presidenza del consiglio, non dispone di questi poteri, e neppure

    della necessaria autorevolezza. I giuristi dell’Asgi (Associazione studi giuridici sull’immigrazione) hanno vinto una nuova battaglia, ma non dovrebbe essere lasciato all’iniziativa (benemerita) degli avvocati volontari un fondamentale compito di uno Stato compiutamente democratico.
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