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Fa sempre più caldo, ed è (anche) colpa dell’uomo

Maurizio Calipari

Nei giorni appena trascorsi, eventi di calore record in varie aree del nostro pianeta: da Phoenix, in Arizona (temperature superiori ai 43,3°C per 25 giorni consecutivi!), alla città di Sanbao, nella regione cinese dello Xinjiang Uygur (52,2°C, ovvero il record di temperatura massima di tutti i tempi), all’Europa meridionale, con la regione spagnola della Catalogna (45,4°C, la sua temperatura più alta di sempre).
La diffusa evidenza, dunque, – al netto di ogni ottuso negazionismo – dice che eventi del genere stanno rapidamente diventando sempre più di routine, facendo crescere la preoccupazione degli studiosi e di quanti sono consapevoli delle possibili conseguenze del cambio climatico. Inevitabile, quindi, interrogarsi sulle cause di questi fenomeni. Semplici capricci della natura? Attività antropiche sconsiderate? Altri fattori?
Fatto sta che, secondo un recente studio (riassunto in un articolo pubblicato su “Scientific American”), prodotto da un gruppo internazionale di ricercatori, denominato World Weather Attribution (Wwa), senza il calore in eccesso intrappolato dai gas rilasciati dalla combustione dei combustibili fossili, un caldo così estremo si verificherebbe raramente, se non mai. In verità, già un precedente lavoro del gruppo aveva mostrato come il cambiamento climatico abbia reso molto più probabile il verificarsi di vari eventi di caldo estremo. Diventa quindi essenziale che il mondo interrompa il consumo di combustibili fossili il più rapidamente possibile e si adatti a gestire le ondate di calore sempre più intense e frequenti, segno distintivo dell’emergenza climatica. “Il ruolo del cambiamento climatico – denuncia Friederike Otto, climatologa al Grantham Institute-Climate Change and the Environment dell’Imperial College di Londra – è assolutamente schiacciante”.
Per cercare le “impronte digitali” del cambiamento climatico negli eventi meteorologici estremi, gli studiosi del WWA si sono avvalsi di metodi di revisione paritaria, esaminando l’andamento delle temperature nel tempo e usando modelli computerizzati per confrontare il clima odierno con un mondo teorico privo di cambiamenti climatici causati dagli esseri umani.
In questo modo, è stato scoperto ad esempio che l’ondata di calore in Cina aveva 50 volte più probabilità di verificarsi in un mondo che si sta riscaldando e che, senza il cambiamento climatico, quelle in Europa e nel Nord America meridionale sarebbero state “virtualmente impossibili”. Nel clima attuale, eventi di simile portata dovrebbero verificarsi ogni 15 anni in Nord America, ogni 10 anni in Europa e ogni 5 anni in Cina. Peraltro, tali ondate di calore non sono solo più frequenti, ma anche molto più calde. Basti pensare che quella in Europa ha registrato temperature di 2,5°C superiori a quelle che si sarebbero registrate in assenza di cambiamenti climatici, mentre l’evento nord-americano è stato più caldo di 2°C e quello cinese di 1°C.
Purtroppo – avverte Otto – “con le ondate di calore a cui stiamo assistendo ora, dobbiamo assolutamente imparare a conviverci”. In effetti, le rilevazioni effettuate dicono che il pianeta, nel suo complesso, si è riscaldato di circa 1,2°C dall’epoca preindustriale. In base all’accordo sul clima di Parigi, i paesi partecipanti hanno concordato di limitare il riscaldamento globale a 1,5°C (ben meno dei 2°C necessari) rispetto ai livelli preindustriali. Se la temperatura media globale aumenta di 2°C rispetto all’era preindustriale (il che accadrà entro 30 anni, a meno che non si verifichi una rapida diminuzione delle emissioni di gas serra), i ricercatori del Wwa prevedono che simili ondate di calore si verificheranno ogni 2-5 anni circa.
Tra le conseguenze più preoccupanti delle ondate di calore più calde e più frequenti primeggiano quelle per la salute pubblica. Il caldo è il più letale di tutti gli eventi estremi legati al clima negli Stati Uniti e uccide più persone di uragani, tornado e inondazioni messi insieme. Tra i soggetti più a rischio figurano soprattutto i bambini piccoli, gli anziani, le persone asmatiche e quelle con malattie cardiache, coloro che lavorano all’aperto e le persone senza tetto. In effetti, in tutte le aree colpite sono stati segnalati decessi legati al caldo (più di 200 solo in Messico!). Secondo uno studio recente, poi, l’anno scorso le ondate di calore in Europa hanno ucciso circa 60.000 persone. Tuttavia, i numeri attuali di mortalità sono quasi certamente inferiori a quelli reali, dati i tempi necessari per accertare e registrare le cause di morte.

Oltre ai problemi sanitari, questi eventi estremi pongono anche importanti problemi economici. Le recenti ondate di calore hanno provocato una forte riduzione dei raccolti, tra cui le olive in Spagna e il cotone in Cina, oltre alla morte di bovini in Messico. Si teme inoltre che il caldo estivo più intenso possa allontanare i turisti da luoghi come la Spagna e l’Italia.
Pertanto, “abbiamo bisogno di un cambiamento culturale nel modo in cui pensiamo al caldo estremo – spiega Julie Arrighi, uno dei revisori del nuovo studio e direttrice ad interim del Red Cross Red Crescent Climate Center -. È fondamentale scalare i sistemi di allarme, i piani d’azione per il caldo e gli investimenti in misure di adattamento a lungo termine. Questo include la pianificazione urbana e il rafforzamento della resilienza dei sistemi critici come la sanità, l’elettricità, l’acqua e i trasporti”.
E in ogni caso, non va certo dimenticato che l’umanità può ancora – e deve – agire per contenere il cambiamento climatico. “Abbiamo ancora tempo – conclude Otto – per assicurarci un futuro sano e sicuro, ma dobbiamo urgentemente smettere di bruciare combustibili fossili e investire nella riduzione della vulnerabilità. Se non lo facciamo, decine di migliaia di persone continueranno a morire ogni anno per cause legate al calore”.

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