Giovanna Pasqualin Traversa
Alberto Pellai è medico, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso il dipartimento di Scienze biomediche dell’Università degli studi di Milano, ma è anche scrittore. “Ragazzo mio. Lettera agli uomini veri di domani” (De Agostini, 2023) è il titolo del suo ultimo volume, appena arrivato in libreria. “Oggi – ci spiega – occorre educare i nostri ragazzi ad essere uomini veri, non veri uomini”. Abbiamo parlato con lui dello stupro di gruppo di Palermo.
Professore, che cosa legge dietro questo tristissimo episodio?
Vedo un autentico deserto educativo, in particolare nei confronti dei nostri figli maschi.
Un deserto che li priva di accompagnamento e sostegno nel percorso di maturazione emotiva, affettiva, sentimentale e sessuale, e di capacità di costruire sane relazioni tra i generi, a fronte di una fortissima adesione ad un modello predatorio nell’ambito della sessualità. Del resto, gran parte dell’educazione sessuale dei nostri ragazzi avviene attraverso la pornografia, terreno nel quale non esiste l’intimità ma solo l’eccitazione che porta alla predatorietà del corpo dell’altro per il proprio esclusivo piacere. Un porno sempre più violento, come dimostrano i video spesso condivisi sulle chat di adolescenti e pre-adolescenti anche di 12-13 anni: scene di violenze, di stupri ed anche pedopornografiche.
Quale pericolo corrono questi giovanissimi?
Quello di addentrarsi in un territorio di cui non conoscono regole, confini, limiti, fattori di rischio e fattori di protezione, e nel quale sono assenti le categorie del bene e del male. Una diseducazione che li lascia confusi e smarriti. Il mondo adulto non può sottovalutare questo allarme:
per i maschi, l’idea di essere dei veri uomini passa attraverso un modello più predatorio che intimo all’interno delle relazioni affettive e sessuali.
E questi episodi, che diventano notizia da prima pagina, sono la punta dell’iceberg di un fenomeno che chiama in causa proprio le loro modalità di crescita.
All’universo del porno possono accedere anche bambini di 8-10 anni…
Su questo tema lavoro molto con i genitori per renderli consapevoli che, mettendo in mano uno smartphone ad un bambino o ad una bambina, non consegnano loro semplicemente uno strumento, ma
un ambiente pieno di tossicità con milioni di porte di accesso a modelli, immagini, suggestioni che colpiscono il bambino senza alcun rispetto dei suoi bisogni evolutivi.
Un territorio privo di supervisione e monitoraggio educativi, del quale, purtroppo, i genitori sottovalutano spesso i pericoli ritenendo che i figli, più smart di loro, lo sappiano gestire da soli.
In questi giorni si è scatenata su Telegram la caccia al video di Palermo…
Qui tocchiamo con mano l’effetto della diseducazione affettiva e sessuale: anziché percepire questa vicenda come qualcosa da cui prendere una giusta distanza, scattano il desiderio e la convinzione di poter vedere e guardare tutto. Una sorta di de-sensibilizzazione nei confronti dell’orrore, una curiosità morbosa che si traduce quasi in desiderio di essere sulla scena del crimine.
Quali, allora, i pilastri sui quali rifondare quella sana educazione affettiva, emotiva e sessuale dei nostri figli maschi, oggetto del suo ultimo libro?
Il mio intento è smontare il falso mito del cosiddetto “vero uomo” che non deve mai avere avere paura o chiedere aiuto, per educare a diventare un uomo vero.
Un percorso che si snoda in cinque punti. Il primo è una buona educazione emotiva che permetta al maschio di avere accesso a tutti gli stati emotivi, senza considerare femminili emozioni che mettono in gioco la dimensione della vulnerabilità come tristezza e paura, che nel maschile non si possono esprimere. Il secondo è un’educazione sentimentale incentrata sul creare relazioni caratterizzate da un attaccamento sano e da una costruzione del noi non come possesso dell’altro, bensì come condivisione di un senso di appartenenza reciproca per una relazione valida e funzionale.
I successivi?
Una buona educazione sessuale che aiuti i ragazzi a cogliere l’enorme differenza tra fare sesso e fare l’amore, ossia ad usare la sessualità anche per costruire un percorso di intimità; un’intimità responsabile, empatica, rispettosa, condivisa.
Un tema delicato: chi può farsene carico?
Deve essere un lavoro di tutta la comunità educante portando testimonianze, narrazioni, storie reali, informazioni per “allenare” i ragazzi a queste competenze.
Gli ultimi due?
Il quarto pilastro è l’avere cura della vita. Spesso nel vissuto del giovane maschio è prevalente il concetto di challenge, sfide folli e insensate che, come ci hanno riportato le cronache estive, hanno provocato lutti che i ragazzi non avrebbero mai immaginato di causare. Ma per educare alla cura della vita occorre saper parlare anche della morte, uno dei tabù in assoluto più rimossi in ambito educativo.
L’ultima parola è rispetto. Imparare che diventare adulti significa coniugare rispetto e responsabilità attraverso il passaggio dall’io al noi. Così l’altro diventa per me qualcuno del quale devo prendermi cura, e la responsabilità si esprime nel sentire che per l’affermazione di me stesso, dei miei bisogni e delle mie libertà entra in gioco l’attenzione anche ai bisogni e alle libertà dell’altro.
Questo è il vero senso del “noi”.