La notizia è rimbalzata un po’ ovunque, nei media cattolici e no: Nel 2022 soltanto il 18,8% degli italiani ha dichiarato di partecipare a un rito religioso, almeno una volta alla settimana. Non è detto che ci si riferisca necessariamente all’eucaristia domenicale. Da molto tempo non si registrava una percentuale così bassa.
In una parrocchia di 7000 anime, il parroco vede poco più di 1300 fedeli alle celebrazioni liturgiche.
Altri vanno in chiesa molto saltuariamente. E il 31% degli Italiani nel 2022 non hanno mai messo piede in un luogo di culto, se non per un evento particolare, come un matrimonio o un funerale.
Nella citata parrocchia 2170 persone non sono praticanti.
In realtà, non si tratta di una notizia così clamorosa, visto che, da un ventennio, la pratica religiosa ha subito un calo costante fino a dimezzarsi, passando dal 36,4% della popolazione a meno del 19%.
La parrocchia di 7000 anime avrebbe perso 1220 parrocchiani, in vent’anni.
Dai dati diffusi da alcune diocesi italiane cala notevolmente la richiesta di celebrare battesimi e matrimoni. E diminuisce drasticamente di oltre il 50% la presenza degli adolescenti (14-17 anni) e dei giovani (18-24 anni).
Ovviamente l’indicazione quantitativa dei partecipanti alle celebrazioni liturgiche non indica necessariamente la vivacità della vita cristiana in Italia. Secondo me, la situazione sarebbe ancora più desolante.
Molti sono stati i commenti a dati così preoccupanti: la colpa è del Covid, dei preti troppo progressisti o troppo tradizionalisti, della società consumistica, della superficialità dei giovani, delle inadempienze delle famiglie, degli anziani che muoiono…
Pochi hanno provato a fare una lettura critica della realtà e della vita ecclesiale. Pochi si sono chiesti: ma in questi vent’anni (o quarant’anni) cosa abbiamo fatto?
Abbiamo continuato a seguire i soliti schemi, anziché lasciarci provocare dai segni dei tempi. Abbiamo creduto di essere potenti e infallibili. Abbiamo peccato di presunzione, di superbia, di indolenza. Abbiamo continuato a idolatrare forme e strutture, che hanno funzionato per decenni e che ora sono del tutto inefficaci. Abbiamo ignorato l’insegnamento del Papa. Abbiamo banalizzato il vangelo. Abbiamo celebrato convegni straordinari e scritto documenti perfetti. Abbiamo ignorato la realtà.
Tirando a campare, come marito e moglie che non si amano più, ma rimangono insieme per dovere o per opportunità, se non per rassegnazione.
Ma già nel 2016 la pubblicazione del Censis “Il Vangelo secondo gli italiani” avrebbe dovuto preoccupare i pastori della Chiesa. Circa l’80% degli italiani non ha dimestichezza col Vangelo, dichiarava Giulio De Rita. Quasi tutte le famiglie possiedono il “libro”, ma più della metà non lo apre mai. Il 20% degli Italiani non legge mai il Vangelo, e la terza parte di questi frequenta la Chiesa. Vorrebbe dire che circa un terzo di coloro che frequentano la Chiesa non conosce il Vangelo. E solo il 20% riesce ad orientarsi nel testo. La metà degli Italiani non è in grado di dire quanti siano gli evangelisti. Figuriamoci se si chiedessero loro anche i nomi.
Anche davanti a questa evidenza, nessuna reazione appropriata. Qualcuno avrà pensato: «Non leggono il Vangelo, ma tanto ascoltano noi».
Se manca il Vangelo, su cosa si fonda la fede e la devozione del nostro popolo? Coloro che dichiarano di essere cristiani, esattamente cosa intendono affermare? E coloro che hanno responsabilità nella Chiesa quale priorità dovrebbero avere in una società praticamente scristianizzata, se non l’annuncio esplicito del Vangelo?
Scriveva Francesco nel 2013:
«Sogno una scelta missionaria capace di trasformare ogni cosa, perché le consuetudini, gli stili, gli orari, il linguaggio e ogni struttura ecclesiale diventino un canale adeguato per l’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione. La riforma delle strutture, che esige la conversione pastorale, si può intendere solo in questo senso: fare in modo che esse diventino tutte più missionarie, che la pastorale ordinaria in tutte le sue istanze sia più espansiva e aperta, che ponga gli agenti pastorali in costante atteggiamento di “uscita” e favorisca così la risposta positiva di tutti coloro ai quali Gesù offre la sua amicizia».
Pare che nulla sia cambiato. Pare che non interessi. «Facciamo finta che… tutto va ben», cantava Ombretta Colli. Qualcuno obietterà: stiamo facendo il Sinodo. Speriamo, dopo vent’anni…
Ma appena si scopre che è crollata anche l’erogazione dell’Otto per mille alla Chiesa cattolica, allora ci si mette subito in allerta e si investono milioni di euro in spot pubblicitari.