RUBRICA – “La vera trasgressione è fare una famiglia e mettere al mondo dei figli. Ci vogliono impegno e coraggio, soprattutto per le donne”. – Così diceva la celebre rockstar italiana Vasco Rossi già più di dieci anni fa. Vogliamo allora ascoltare dalle dirette interessate, le mamme, se e perché abbia ancora senso oggi puntare sulla famiglia e su una genitorialità fatta di amore, sacrificio e responsabilità.
Inauguriamo dunque questa nuova rubrica dedicata alle mamme con l’intervista a Claudia Lo Guasto che, insieme al marito Francesco Sgariglia, ha messo al mondo quattro figli: Sofia, di 9 anni; Andrea, che ha 6 anni; Miriam, di 4 anni; Matteo, che ha appena cinque mesi.
Quando e come è nato il suo desiderio di maternità?
Mi è sempre piaciuto stare a contatto con i bambini, tanto da aver scelto un indirizzo di studi e una professione che prevedono proprio una costante interazione con loro: sono infatti una pedagogista. Nel 2010 poi ho conosciuto l’uomo che in seguito sarebbe divenuto mio marito, Francesco. Dopo due anni e mezzo di fidanzamento, ci siamo sposati a Grottammare con don Giovanni Flammini. Entrambi attivi all’interno delle nostre rispettive parrocchie, io nella parrocchia San Pio V a Grottammare e lui presso la Sacra Famiglia di Porto San Giorgio ed entrambi membri nel cammino neocatecumenale, ci siamo da subito trovati in sintonia su quello che volevamo dalla vita e anche su come impostarla secondo i nostri valori cristiani. Tanto per fare un esempio, abbiamo deciso di sposarci pur nella totale precarietà lavorativa e quindi anche economica, andando contro quella filosofia imperante nella nostra società del “mi sposo solo dopo che mi sono sistemata professionalmente ed economicamente”. Noi non pensavamo questo: per noi era essenziale stare vicino l’uno all’altra, condividere momenti ed esperienze, anche nell’incertezza degli eventi che la vita ci avrebbe riservato. Se avessimo atteso il momento giusto, forse questo non sarebbe mai arrivato! L’elemento essenziale per noi è sempre stato l’amore, tutto il resto condizioni variabili. Questo concetto è stato alla base anche della nostra genitorialità, un desiderio condiviso fon da subito. Per tale ragione non abbiamo mai usato né strumenti contraccettivi né particolari metodi procreativi: ci siamo sempre rimessi nelle mani di Dio, abbiamo prima atteso e poi accolto quello che il Signore ci avrebbe riservato. È così che il 6 ottobre 2014 è arrivata la nostra prima figlia, Sofia, e il 2 agosto del 2017 è nato il nostro secondo figlio, Andrea: per entrambi ho subito un parto cesareo. Poi inaspettatamente sono rimasta incinta della nostra terza figlia, Miriam, nata il 13 ottobre 2019, di parto naturale, e infine il 30 aprile 2023 è arrivato anche Matteo, il nostro quarto ed ultimo figlio, per il quale ho dovuto fare un cesareo d’urgenza, non programmato. Quando ci chiedono come ci sia venuto in mente di mettere al mondo quattro figli, io e Francesco rispondiamo che è bello essere genitori. Certamente trovarsi alle prese con i primi pianti è difficile e faticoso, ma la gioia dei primi sorrisi, dei primi passi o delle prime parole ripaga di ogni sacrificio! A me e mio marito meraviglia la loro meraviglia nello scoprire il mondo. È bellissimo viverli, constatare che, così come si assomigliano in alcune cose, allo stesso modo per altre sono molto diversi! Perdersi le loro tappe di crescita non è contemplato. Sentiamo proprio la responsabilità di questo e cerchiamo ogni giorno di tirare fuori il meglio da loro. Come genitori, noi ci sentiamo di fare questo e lo facciamo con grande amore. L’educazione è un cammino doppio, verso i figli e verso se stessi. In questa seconda accezione è un mettersi in gioco: io e mio marito, infatti, ci siamo riscoperti come persone, siamo venuti a contatto con i nostri limiti e anche con le nostre emozioni. Ad esempio con la rabbia, quando siamo provati oltre le forze, quando c’è da gestire un capriccio, una fase particolare della loro crescita, una gelosia; ma anche con la gioia, come quando uno dei nostri figli ha iniziato a camminare o a parlare. I figli ci hanno riempito la vita. A volte anche troppa, tanto che ci sentiamo traboccare! Ma poi capiamo subito che non è mai troppo! Quando non riusciamo a trascorrere con loro del tempo, infatti, ci mancano tantissimo.
Quali sono le difficoltà che lei e suo marito avete dovuto affrontare per creare la vostra famiglia?
Le difficoltà principali hanno sempre riguardato il lavoro: da un lato abbiamo sperimentato sulla nostra pelle quanto sia difficile – ma non impossibile – per una donna essere madre e, allo stesso tempo, portare avanti i propri sogni e le proprie ambizioni; dall’altro abbiamo vissuto anche delle difficoltà economiche, legate non solo al fatto di avere quattro figli, ma al particolare periodo di crisi che stiamo vivendo. Tuttavia, come ho detto prima, nulla ci ha mai spaventato più di tanto e non ci siamo fatti prendere dalla paura di non riuscire a farcela. Affidando le nostre vite a Dio, io e mio marito abbiamo sempre pensato che saremmo riusciti ad affrontare ogni situazione. La preghiera, inoltre, mi ha dato la grazia di non farmi intestardire sulle cose: laddove le strade si aprivano, ho pensato di dover procedere in quella direzione; laddove si chiudevano, ho pensato che non fosse la strada giusta da percorrere. Faccio un esempio. Quando Francesco mi ha chiesto di sposarlo, io non avevo un’occupazione, ma ho accettato ugualmente. Dieci giorni dopo la proposta di matrimonio, mi hanno chiamato per un lavoro stabile. Questa è stata la conferma che stessimo andando verso la direzione giusta! Il lavoro è durato per tutta la preparazione del matrimonio. Poi, siccome sapevano che mi sarei sposata, anche in vista di una probabile gravidanza, un mese prima del matrimonio il contratto non mi è stato rinnovato. Ho trovato questo mancato rinnovo una vera ingiustizia. Nonostante ciò, ho provato a non perdermi d’animo. In passato avevo avuto modo di stare a contatto con bambini con disabilità, come sindrome di Down, handicap fisici e deficit a livello cognitivo, e, dopo queste esperienze, avevo indirizzato i miei studi proprio su questi aspetti, scegliendo di divenire pedagogista della disabilità e della marginalità. Ho pensato pertanto di dedicarmi completamente a questo percorso professionale, aprendo la partita iva, con tutto ciò che questo comporta. Quando nel 2014 è arrivata la nostra prima figlia, Sofia, per un periodo ho dovuto assentarmi dal lavoro, ma a pochi mesi dal parto mi sono rimessa in gioco. Nel 2017 è nato il nostro secondo figlio, Andrea. Anche se avevo trovato lavoro in uno studio associato, tuttavia avendo una partita iva e non essendo inquadrata come dipendente, non ho avuto diritto ad alcun tipo di maternità. All’epoca pensavo di aver raggiunto l’apice in ambito professionale, quindi dal punto di vista della gratificazione ero alle stelle. Ma ben presto mi sono resa conto che non volevo lasciare i miei figli ad una baby sitter e che non valeva la pena neanche economicamente fare avanti e indietro con l’auto e far fronte a tutte le spese che ne derivavano: lavorando solo nel pomeridiano, infatti, sarebbe successo che, mentre ero in casa al mattino, Sofia era all’asilo e, quando lei era a casa, io ero al lavoro. Un anno dopo, un po’ per necessità, un po’ perché le famiglie dei bambini che seguivo mi richiamavano, ho ripreso il lavoro e mi sono appoggiata ad un altro centro. Devo dire che in questo l’aiuto dei nonni è stato fondamentale. Ho sempre preso da loro il massimo che potessi: i miei suoceri sono in età più avanzata, quindi hanno più tempo libero, ma chiaramente meno energie; al contrario, i miei genitori sono più giovani, ma in età da lavoro, quindi non sempre disponibili. Da ciascuno di loro, però, abbiamo preso quel che ci è stato offerto, secondo le proprie possibilità. E per noi questo ha contato davvero tanto. Tutti e quattro continuano a farsi quattro per noi e per i nostri figli. Ogni tanto io e mio marito ricorriamo anche a qualche baby sitter, ma cerchiamo di fare in modo che non siano figure totalizzanti. Nel 2019, inaspettatamente, è arrivata la nostra terza figlia, Miriam. Non nascondo che a livello economico avevamo un po’ di paura, ma ci siamo resi conto che, con qualche rinuncia e qualche sacrificio, avremmo potuto vivere questa grande ulteriore gioia. Ed effettivamente così è stato. Anche grazie alle esperienze precedenti che mi avevano insegnato esattamente come avrei dovuto gestire la situazione, ho ripreso a lavorare un mese dopo la gravidanza. Anche in questo caso ho deciso di lasciare il nuovo centro a cui mi ero affidata, perché con l’avvento del Covid tutto è diventato estremamente difficile. Dal 2019 quindi svolgo la mia professione presso il domicilio di Grottammare e presso quello di Porto San Giorgio. Lo scorso aprile, poi, quindi nel 2023, anche qui inaspettatamente, è arrivato Matteo, il nostro quarto ed ultimo figlio. Questa volta ho ripreso a lavorare dopo una settimana! Ormai l’esperienza c’è e so esattamente cosa fare e quando farla. Anche grazie ad un pizzico di fortuna e di Provvidenza, dato che ho quattro figli abbastanza tranquilli! Negli anni, nonostante le ingiustizie, le paure e le difficoltà, sono riuscita a trovare un equilibrio anche nel lavoro e a sentirmi gratificata e realizzata anche nella professione. Pertanto a tutti coloro che spesso mi chiedono come sia riuscita a conciliare la professione con l’essere madre, rispondo che l’importante è avere ben chiare le priorità: certamente a livello professionale mi sono dovuta sacrificare più di mio marito, perché la società non è ancora pronta a sostenere la maternità nel giusto modo; tuttavia ho sempre pensato che i figli vengano prima del lavoro, perciò ho fatto delle scelte in linea con questo principio di vita condiviso con mio marito. Per quanto riguarda l’aspetto economico, certamente mantenere quattro figli non è una passeggiata, ma, con qualche rinuncia, ci si può riuscire.
Com’è il rapporto tra fratelli?
Ogni volta che è arrivato uno nuovo fratello per loro è stata un’esplosione di gioia! E anche per noi genitori, vederli insieme è stato meraviglioso! E lo è tuttora. Dovendo condividere tutto – libri, giochi, tv – ovviamente litigano! Tuttavia, quando si apprezzano tra loro, quando si perdonano, quando ridono a crepapelle, quando si cercano, quando non sanno stare l’uno senza l’altro, ci esplode il cuore dalla gioia. E fungono anche da ricarica batterie, perché – diciamolo e ripetiamolo allo sfinimento – noi genitori facciamo tante rinunce per far nascere un figlio e impieghiamo enormi energie, ma quello che riceviamo è tantissimo: amore; conoscenza dei nostri limiti e delle nostre emozioni; a volte anche risveglio delle emozioni, dato che i bambini sono tutti emotivi e senza razionalità che invece contraddistingue noi adulti. Grazie ai nostri figli, noi diventiamo persone migliori, dandoci l’opportunità di conoscerci meglio e più a fondo. Ed è sempre grazie a loro che sperimentiamo l’amore, quello vero. Dunque, quando mi chiedono perché ho quattro figli, io rispondo con una domanda: come potrei privarmi di un amore così grande? Sin da quando sono piccolissimi, i figli sono un’esplosione d’amore verso noi genitori, che siamo un po’ i loro super eroi, il loro nido, il loro rifugio. Perché una donna ed un uomo dovrebbero privarsi di un amore così puro, così grande, così totalizzante?
Quale messaggio vuole dare ai lettori?
Questa società sta facendo passare il messaggio che una persona debba ritenersi felice, quando tutto sembra perfetto: quindi se svolge un lavoro stabile e ben retribuito, se possiede una casa grande, bella e sempre pulita, se mantiene in forma il proprio fisico, se può uscire spesso per locali a vivere la movida, se può permettersi vacanze in località esclusive, e così via. Potrei continuare con molti altri esempi. La società ci spinge ad essere dei narcisi che vagano alla ricerca del proprio individualismo, della propria realizzazione, rinunciando a fare l’esperienza del sacrificio, che è l’essenza di un amore profondo verso se stessi e verso gli altri.
La felicità è una scelta. Si può essere felici pur dovendo affrontare tanti problemi intorno a sé. Certamente la felicità non arriva all’improvviso e non è una questione di fortuna, bensì va costruita un po’ alla volta, è un cammino fatto di tante tappe e di tanta pazienza. E il matrimonio è una palestra di vita e di pazienza! L’amore, infatti, negli anni cambia. E sinceramente cambiamo anche noi. È dunque importante che gli sposi facciano questo cammino insieme, condividendo lo stesso percorso e magari confrontandosi con altre coppie che possano essere di stimolo e di esempio. Sapere che in questo cammino non siamo soli e che insieme a noi a percorrere questa strada c’è il Signore, ci fa sentire bene, al sicuro e colmi di fiducia. Con tali sentimenti nel cuore, accogliere la vita diventa un’esigenza, una condizione necessaria per raggiungere la felicità.
Auguro quindi a tutti gli uomini e a tutte le donne di avere coraggio, pazienza e fiducia e anche di scoprire la propria missione, la propria vocazione in questa vita, che io ho scoperto nel dare la vita. Penso che, se tutti noi riuscissimo ad avere chiaro quale sia lo scopo della nostra vita, allora nulla potrà fermarci perché, anche quando vivremo esperienze difficili ed inaspettate, avremo comunque chiaro nel cuore cosa siamo, a cosa siamo chiamati e dove stiamo andando. Secondo me, questo è già molto! È la strada per la propria felicità.