SAN BENEDETTO DEL TRONTO – È iniziato da pochi giorni un nuovo anno scolastico per molti studenti e docenti della Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto. Per l’occasione abbiamo incontrato il poeta, scrittore e drammaturgo Davide Rondoni, con il quale abbiamo parlato di scuola, giovani e poesia.
In cosa potrebbe essere migliorata la Scuola italiana?
Da anni la Scuola si è ispirata al principio illuminista secondo il quale la cultura sia enciclopedia; quindi, seguendo questa concezione, avere cultura significa sapere un po’ di matematica, un po’ di geografia, un po’ di fisica, un po’ di letteratura, …. Questo – a mio avviso – è un paradigma erroneo, a cui si oppone un altro tipo di paradigma che – non a caso – negli ultimi anni è stato scimmiottato e reso parte dello show business, tanto che tutti i ragazzi lo guardano con interesse e stupore. Si tratta di un paradigma ben spiegato dalla parabola dei talenti, che indica un metodo educativo secondo il quale a ciascuno è dato un talento. Non scelto, come uno immagina o sogna! Bensì ricevuto, in quanto è il Signore che dà questo dono. Questo talento è diverso per ciascuno di noi e va tirato fuori. Questo significa “educare”, nella sua etimologia originaria: condurre fuori dalla persona questo talento. Questa attitudine, inclinazione, vocazione si dettaglierà in seguito nei saperi, nelle pratiche, nelle competenze che uno esprime. La Scuola italiana, anzi europea, e purtroppo anche quella cattolica, hanno deciso di abbracciare l’idea illuminista e non quella cristiana. Secondo me, al contrario, bisognerebbe passare da Diderot e D’Alembert a Gesù Cristo, perché l’aspetto educativo dei talenti è molto più forte ed interessante, oltre che molto più utile.
Come è possibile materialmente fare questo? Con una Riforma?
Purtroppo le cose non si cambiano all’improvviso e tutte in una volta. Allora ho scritto una proposta al Ministro dell’Istruzione per chiedere di fare almeno una sperimentazione! Sarebbe opportuno prevedere alla Scuole Superiori un biennio formativo comune a tutti gli studenti: questo tempo dovrebbe essere utilizzato per far scoprire a ciascun ragazzo il proprio talento. Gli anni successivi, invece, dovrebbero essere più specialistici, indirizzati ad acquisire saperi e competenze più specifici. Mi piacerebbe che almeno le scuole cattoliche iniziassero a fare così, invece a volte purtroppo ne vedo alcune un po’ dormienti e solo intente a chiedere soldi. Al contrario, le scuole cattoliche dovrebbero essere gli avamposti di questa libertà della Scuola dei talenti. Quella parabola, infatti, dice a ciascun ragazzo che la sua vita sta nel donare il talento che ha. Ma quel ragazzo deve incontrare qualcuno che riconosca il suo talento e che lo faccia riconoscere anche a lui. Qualcuno che educhi quel talento e che aiuti il giovane a trovare gli strumenti per esprimerlo. A partire da quello, ognuno si farà la sua enciclopedia e poi, una volta verificato quel talento, la Scuola si preoccuperà di mettere in contatto lo studente con una bottega, un atelier, uno studio, un ufficio, una fabbrica dove quel talento possa essere espresso al meglio, dove ci sia qualcuno che possa verificare se quel talento sia vero. È chiaro che un ragazzo che dovrà esprimere un talento della cura, si doterà di certe competenze, come la psicologia, la medicina; chi invece esprimerà un altro tipo di talento, si doterà di altri tipi di competenze. Noi invece abbiamo rovesciato il mondo ed infatti otteniamo quello che chiamiamo omologazione, mentre di pensiero critico ne registriamo zero!
Come, nel nostro periodo storico, un utente della Scuola, che sia docente o discente, può esprimere il suo essere cristiano senza intaccare la laicità della stessa?
Intanto la Scuola non è laica, anzi a volte è di cultura illuminista ed anticristiana. Un cristiano questo deve saperlo! Appurato questo, i cristiani devono essere contenti di essere tali ed imparare a trasmettere questa gioia. E mostrare, se possibile, che essere cristiani rende più intelligenti rispetto alle situazioni della vita, nel senso etimologico del termine, ovvero nel senso che fornisce una chiave di lettura degli eventi più ampia e completa. Questo è anche molto affascinante.
Domani, sabato 16, e domenica 17 settembre, sarà a Montalto delle Marche per la prima edizione del “Festival della Poesia” dal titolo “La poesia è giovane (e tosta)”, di cui ha curato la direzione artistica. Cosa ci aspetta?
Io mi aspetto qualcosa che non so, come tutte le volte che si incontra la poesia e si incontrano i poeti! Tra tanti che conosco ho scelto dei poeti giovani che mi sembrano validi, che stanno dando delle buone opere prime o stanno lavorando al primo libro e che si incontreranno con alcuni poeti esperti. Sarà un bel modo per stare insieme in un borgo affascinante come quello di Montalto che io chiamo il “Borgo delle cose alte”, essendo quello che ha dato i natali a Felice Peretti, noto ai più come papa Sisto V, e a Giuseppe Sacconi, l’architetto che ha progettato l’altare della Patria. Ma la cosa alta è anche il cuore che desidera, è la poesia che dà voce a questo cuore. Spero che sia un bell’incontro per tutti. Una cosa piccola ma bella, come le cose più importanti della vita.
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