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San Benedetto, la testimonianza di Bah Mahmadou Lamine: “Adesso mi interessa solo aiutare i miei fratelli. Loro non devono passare quello che ho passato io”

 

Di Ana Fron

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – La Guinea francese è uno stato dell’Africa occidentale, “colonia francese” e poi “territorio francese d’oltremare”, diventata Repubblica indipendente nel 1958 con il nome di Guinea Conakry. Anche se è considerato un paese ricco di risorse come: ferro, oro, diamanti, petrolio, secondo produttore al mondo di bauxite, la maggior parte della popolazione di questo paese non versa in invidiabili condizioni economiche. Pensiamo che l’80% della gente lavora in agricoltura con una percentuale di 15% del territorio sfruttato. (dal Kanaga Africa tour – impegnato culturalmente e socialmente in 54 stati africani).

Dunque, quando un popolo sperimenta condizioni economico sociali precari, emigra. Ed è quello che è successo a Mahmadou Lamine, un ragazzo di sedici anni (all’epoca), che porta il nome del capo della resistenza contro il colonialismo francese, altrettanto temerario e perspicace nel volersi rivalere su un futuro insoddisfacente.

Lamine, sei partito dal tuo paese in giovane età. Ma non avevi un obiettivo di formazione scolastica o professionale in quel periodo?
All’epoca frequentavo una scuola tecnica, con un profilo meccanico ma, vedendo incerta la situazione economica famigliare mi convincevo sempre di più di cercare fortuna altrove, come tanti altri del mio paese.

Quante persone siete in famiglia?
Sono il più grande di quattro fratelli, e vivevamo insieme ai nostri genitori.

I tuoi genitori hanno acconsentito alla tua partenza, data l’età che avevi?
Mio padre ha provato in tutti i modi a farmi cambiare l’idea ma io sono stato determinato.

Sei partito insieme ad altre persone oppure da solo?
Intanto non ho raccontato a mio padre l’intenzione di andare in Europa, perché temeva l’attraversamento del Mediterraneo. Lui pensava che andassi in Libia, dove avevo uno zio che lavorava come saldatore. Io però, avevo in mente l’Europa. Non per forza l’Italia, ovunque sarei capitato in questo continente. Si, sono partito da solo dalla Guinea però nel cammino ho incontrato altre persone come me e abbiamo formato un gruppetto.

Ma conoscevate in partenza i rischi di violenze che si potevano subire in Libia? Sapevate dei tanti morti che miete l’attraversamento del Mediterraneo?
Per essere onesto, si. Da noi era noto che in Libia potevi essere maltrattato e che potevi anche annegare ma speravamo tutti di farcela e scampare da tali pericoli.

Quale tragitto hai fatto per arrivare in Libia e in quanto tempo lo hai percorso?
Mio padre, a metà agosto del 2016, mi ha pagato il biglietto dell’autobus che mi ha portato fino in Mali, poi in Burkina Faso e infine in Niger. Fino in Niger è stato un viaggio normale. Il Niger invece ti impedisce di entrare nel suo territorio; rischi di essere arrestato per aver valicato il confine e noi abbiamo dovuto attraversarlo con grande attenzione. Ci siamo nascosti.

Poi, dal Niger sei passato in Libia.
Si, dopo un mese dalla partenza dalla Guinea, sono arrivato in territorio libico dove ho contattato lo zio. Lo zio è venuto a prendermi e mi ha portato a casa sua dove sono rimasto fino giugno 2017.

Perché hai aspettato tutti questi mesi in Libia, dato che la tua meta finale era l’Europa?
In Libia ho lavorato per guadagnare i 300 euro (600 dinari) che mi servivano per attraversare il Mediterraneo.

Che lavoro hai fatto?
Ho aiutato lo zio nell’attività di saldatore.

A lui avevi raccontato della tua voglia di partire in Europa?
Gli ho detto la verità ma dopo un po’ di tempo. Lui conosceva anche meglio di me i rischi della traversata e quindi si è molto preoccupato ma non ha potuto dissuadermi.

Raccontami come ti sei organizzato con l’attraversamento.
Una volta che ho radunato la somma necessaria sono andato al porto e ho contattato uno “scafista”. Aveva un gommone dove dovevano entrare 160 persone.

Conoscevi lo “scafista”?
No, ma bastava chiedere in giro e ti venivano indicati.

Hai detto che su un gommone dovevano salire 160 persone; ma che dimensioni aveva il gommone? 160 persone sono tante e pesano.
Era grande ma ovviamente non così grande da poter trasportare un tale numero di persone. Noi siamo entrati addirittura lì dentro in 162!!

E come eravate posizionati?
Le persone venivano sistemate come barattolini, in piedi, uno accanto all’altro, a caso. Chi capitava sui bordi del gommone stava a cavallo dello scafo, con una gamba in acqua.

Ma così si rischiava di cadere in acqua e poi, in piedi è molto stancante. Potevate sedervi?
No, perché non c’era spazio per muoverti. Come ti mettevano così rimanevi.

Torniamo un passo indietro; come era organizzata la partenza? Hai consegnato i soldi allo “scafista” e poi?
Succede così: il primo che consegna i soldi deve aspettare sulla spiaggia fino a quando il gommone completa il carico di 160 persone. Tu puoi rimanere lì, sulla spiaggia tanto (fino a 5,6 mesi) o poco, fino al riempimento del gommone. Io sono stato fortunato perché a Tripoli avevo mio zio che mi ospitava, anche se comunque, una settimana sulla spiaggia sono rimasto anche io che mi è sembrata un’eternità. La gente non ha viveri mentre aspetta li. Muore di fame. Poi all’improvviso ci dicono che si parte. Chi c’è c’è. Se tu per caso ti sei allontanato dalla spiaggia vanno via senza di te, tanto i soldi li hai consegnati prima.

Se cambiavi l’idea sulla partenza, potevi richiedere i soldi indietro?
Una volta pagato non avevi i soldi indietro. Potevi rinunciare al viaggio ma non riavevi più i tuoi soldi.

Poi, un giorno il gommone è salpato. Come è andata?
Una giornata del mese di giugno 2017, verso le diciannove, siamo partiti e abbiamo navigato fino alle cinque di mattina quando abbiamo avvistato una nave battente bandiera tedesca, che ci ha fatto salire a bordo. Vedendo tale bandiera, pensavo di finire in Germania ma, quando ci siamo avvicinati a terra c’è stato un cambio di bandiere. Al posto della tedesca si alzata quella italiana.

Come è stato il viaggio in mare? C’è gente che ha perso la vita?
Per fortuna il tempo quella notte è stato favorevole. Nessuno è morto fino al trasferimento dal gommone alla nave. Mentre ci siamo avvicinati alla nave si è creata confusione e il gommone sbilanciandosi si è ribaltato, facendo cadere in acqua molte persone. Io per fortuna non sono caduto.

Ma il salvataggio non è stato completo?
No, non sono stati recuperati tutti coloro che sono caduti in acqua. Due persone sono morte.

Poi, cosa è successo? Siete arrivati presto sulle coste?
Non subito. Abbiamo aspettato 3 giorni, perché c’erano altre barche che necessitavano di aiuto. Solo quando hanno imbarcato tutti sulla nave ci siamo diretti sulle coste della Calabria.

Ti ricordi esattamente dove?
Non ne ho idea. Non ci ho fatto nemmeno caso. Li, sulla spiaggia gli operatori ci hanno divisi: minori da, adulti; donne incinte, da altre donne e poi ci hanno messo su dei pullman che ci hanno portati via. Ogni volta che si fermava il pullman scendevano 5 di noi. Chi voleva.

E tu come sei arrivato nelle Marche?
Il mezzo è partito dalla Calabria per salire fino al nord Italia. Una volta arrivati a Grottammare ci è stato detto “i prossimi cinque” e tra questi cinque sono sceso anche io.

Sapevi che Grottammare è una località turistica bella, di mare?
Non sapevo nulla. Sono stato mandato a Casa Lella, a Grottammare, che mi è piaciuta molto.

Una volta che ti sei stabilito a Grottammare hai chiamato a casa per avvisare?
Si, la prima cosa che ho fatto è stata quella di farmi prestare un telefono e chiamare mio padre, chiedendogli di avvisare anche mio zio, in Libia. Sentendo dove ero arrivato mio padre si è messo a piangere.

Immagino che anche qui per te la vita non sia stata facile, anche se so che sei entrato in un programma per minori non accompagnati.
Non è stato facile ma ho avuto supporto da tante persone per andare avanti. Mi sono iscritto anche a scuola, all’Ipsia, per imparare un mestiere.

Rifaresti il viaggio?
Non lo so. Il viaggio è stato lungo e faticoso ma io sono contento di essere qui. Adesso posso aiutare la mia famiglia e i miei fratelli più piccoli potranno andare a scuola e vivere meglio di quanto ho potuto vivere io.

Hai lasciato il tuo paese e la tua famiglia nel 2016? Hai pensato di tornare a farle visita?
Si, ci ho pensato. L’anno scorso ho anche comprato un biglietto aereo per tornare in Guinea ma purtroppo il mio permesso di soggiorno, nonostante sia per lavoro, ha una durata annuale. Quando è scaduto sono andato a chiedere il rinnovo e per riaverlo mi hanno fatto aspettare per mesi. Quindi, ho perso l’occasione (e anche il biglietto) per andare a casa.

Il tuo racconto è triste ma l’espressione di allegria contradice le tue parole. È una maschera? Sei rassegnato?
Il risultato che ho ottenuto è positivo. Sono stato fortunato in vari momenti del mio viaggio e, per le vicende meno fortunate, preferisco “chiudere con la chiave e buttarla via”. Risolvo così i miei problemi.

Ma tu lo sai che hai, come tutti, il diritto di vivere il presente? Sei fidanzato?
Aspetto di sistemarmi un po’ e poi vedrò. Adesso mi interessa solo aiutare i miei fratelli. Loro non devono passare quello che ho passato io.

La storia di Lamine è la storia di molti giovani, impossibilitati nel proprio paese di costruirsi un avvenire decente. Non c’è niente di nuovo e di annomalo nello spostarsi da una zona ad un’altra; è la condizione della sopravvivenza raccontata da sempre, persino nelle fiabe: l’eroe parte, vive una complicazione, supera le prove e arriva ad un finale lieto. Quello che cambia nei nostri tempi è spesso il finale, ma non per Lamine, il nostro eroe.  Dico eroe con cognizione di causa per la sua resilienza e perché, chi attraversa il Mediterraneo oggi viene considerato tale in Africa, in Asia, per la pericolosità dell’atto.

Adesso Lamine, continua a studiare all’Ipsia e contemporaneamente lavora come aiuto cuoco in un ristorante. Con i soldi che raggranella in futuro vuole tornare in Guinea e aprire un’attività, per sé stesso, per la famiglia e per i suoi concittadini.

“Adesso la saluto! Devo andare perché fra poco inizio il lavoro.”

Vado via anche io con tante domande nella mente; una su tutte “a quando una giustizia sociale?”