DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
E’ proprio vero quanto il Signore ci dice, attraverso il profeta Isaia, nella prima lettura di questa domenica: «…i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie…quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri». Lo tocchiamo con mano nella parabola che Gesù, oggi, ci racconta.
Il padrone di una vigna «uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. Si accordò per loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna…». Quest’uomo, continua il Vangelo, uscì di nuovo ad ingaggiare altri operai alle nove del mattino, poi a mezzogiorno, alle tre del pomeriggio e alle cinque di sera.
La prima impressione è che la pianificazione del lavoro nella vigna sembra essere eseguita in modo maldestro e disordinato: infatti è insolito che un datore di lavoro contratti con dei possibili lavoranti anche nelle ultime ore della giornata lavorativa. Viene poi menzionato un preciso accordo sul salario solo nel caso delle prime assunzioni, quelle fatte all’alba, un accordo per un denaro al giorno, mentre nel caso di quelle successive non se ne fa più cenno. «…quello che è giusto ve lo darò», sono le uniche parole dette dal padrone della vigna e solamente ai lavoratori chiamati alle nove del mattino.
Ma guardiamo cosa succede al finir della giornata.
«Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. Nel ritirarlo però mormoravano contro il padrone…».
Facciamoci una domanda: cos’è una paga giusta per noi? Personalmente ho risposto: un salario è giusto quando è calcolato in base alle ore di lavoro effettuate.
Ma per quel padrone della vigna? Egli, innanzitutto, ribalta l’ordine della paga: chiama per primi gli ultimi e solo alla fine i lavoratori assunti all’alba. Dà agli ultimi quello che è giusto, cioè una giornata di paga piena, un denaro: giusto secondo la prospettiva di un padre che non fa mancare ai suoi figli, soprattutto a quelli che hanno avuto difficoltà e problemi, quello che è giusto che abbiano secondo le loro necessità. Perché Dio non paga secondo i meriti ma secondo le necessità. Ovvero, c’è un Dio che, alla fine della giornata, ti riempie la vita a prescindere da quanto hai fatto, hai prodotto, hai conquistato.
E questa logica chi manda in crisi? Quelli che sono legati al lavoro e alla vita secondo la “paga sindacale”, non i disgraziati ma i “graziati”, coloro che hanno vissuto la grazia, in questo caso l’aver lavorato tutto il giorno, come disgrazia.
Infatti, si rivolgono al padrone con queste parole: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Aver vissuto la grazia come disgrazia, questo è il peccato. E così facendo trattano il padrone da ingiusto.
Ma ascoltiamo la risposta del padrone ad uno di loro: «Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio?».
Il padrone, cioè Dio, rivendica la sua libertà assoluta. E’ come se ci stesse dicendo: a casa mia la giustizia è oltre la giustizia degli uomini, la giustizia è ricolmare gli uomini, al di là dei loro meriti, di amore, di compiacimento, di misericordia.
Un ricolmare ogni uomo che è fatica per noi accettare, noi che siamo legati alla logica della paga sindacale e a cui l’amore che Gesù dà in abbondanza a tutti sembra essere un insulto al nostro impegno, al nostro servizio, al nostro rispettare le regole, al nostro essere bravi cristiani.
E’ il peccato che nasce dentro il bene, è il bene incapace di sopportare il bene dell’altro, è il bene fatto all’altro che facciamo diventare un furto al nostro bene.
Facciamoci ancora una volta la domanda: cosa significa per noi salario giusto? Ma, questa volta, nel rispondere, lasciamoci accompagnare dalle parole del Salmo: «Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore. Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature. Giusto è il Signore in tutte le sue vie e buono in tutte le sue opere. Il Signore è vicino a chiunque lo invoca, a quanti lo invocano con sincerità».
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