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Alluvioni in Libia. Milano: “Con eventi estremi sempre più intensi e frequenti, prioritaria è la prevenzione”

(Foto: ANSA/SIR)

Gigliola Alfaro

In Libia la tempesta Daniel ha seminato morte e distruzione, colpendo oltre 880.000 persone, di cui almeno 300.000 bambini. Soprattutto a Derna è stata una catastrofe perché la distruzione di due dighe ha spazzato via un quarto della città. Secondo l’Oms, al 14 settembre sarebbero oltre 5mila i decessi e almeno 10.000 dispersi, ma è probabile che siano cifre sottostimate. Con Giuseppe Milano, segretario generale di Greenaccord, facciamo il punto.

(Foto: Redazione)

La Libia è piegata in ginocchio dalla tempesta Daniel, con un numero impressionante di vittime destinato, purtroppo, a salire, essendo moltissimi anche i dispersi. Migliaia anche gli sfollati. Un evento straordinario che ha colpito luoghi dove le infrastrutture sono fragili?

In Libia la prima fragilità è di natura democratica. Non sono un esperto di questioni geopolitiche, ma è indubbio che l’attuale instabilità, esasperata negli anni anche dalla presenza dell’Isis, stia concorrendo ad aggravare il bilancio delle vittime e dei dispersi e abbia concausato questa immane tragedia.La genesi antropica di questa catastrofe è evidente: da alcuni report internazionali emerge che le dighe crollate negli ultimi 10 anni non sono mai state adeguatamente manutenute e che la gestione del territorio è pratica decisamente sconosciuta.

Queste tragedie sono collegate ai cambiamenti climatici?

Non possiamo ancora dirlo con assoluta certezza, maè assai probabile che questo ciclone mediterraneo (diverso da quello tropicale), colpendo con piogge torrenziali e venti fino a 180 km/h un’area finora mai toccata da eventi meteorologici di tale portata, abbia un’origine climatica,confermando il regime di assoluta vulnerabilità della regione euro-mediterranea, già hotspot dei cambiamenti climatici.

Questi eventi climatici “straordinari” in realtà stanno diventando sempre più frequenti. In qualche modo si possono prevedere e difenderci?

Con eventi estremi sempre più intensi e frequenti, anche alle nostre latitudini,la soluzione principale e prioritaria è la prevenzione che impone sia una continua opera di manutenzione delle infrastrutture più fragili; sia una innovativa strategia di mitigazione e adattamento per evitare che nuove alluvioni producano catastrofi letali,nella consapevolezza, inoltre, che il tempo di ritorno di simili eventi si stia riducendo per la tropicalizzazione delle temperature medie.

Quali le misure da adottare con urgenza per mitigare gli effetti del cambiamento climatico?

In Italia, intanto, continuiamo a non investire le risorse disponibili nel contrasto al dissesto idrogeologico per cui possiamo già prepararci alla ridda di dichiarazioni e promesse che si scatenerà dopo la prossima tragedia. In dettaglio, poi, le città continuano a smantellare gli istituti urbanistici della pianificazione e della gestione territoriale che imporrebbero sia interventi di demolizione di manufatti realizzati in aree a rischio sia interventi di rinaturalizzazione o deimpermeabilizzazione.

Il potere del cemento è ancora troppo più forte di quello del cambiamento.

Come proteggere, in particolare, le popolazioni più fragili – come dimostra il caso della Libia – di fronte a questi cataclismi?

La risposta è nella prevenzione. È nell’educazione al rischio. È nella cultura dell’incertezza.

Dal Nordafrica all’Europa, per scongiurare quella che alcuni studiosi chiamano già con preoccupazione “sesta estinzione di massa”, l’unica via da percorrere, sotto la bandiera della decarbonizzazione, è la prevenzione.

Oggi le tecnologie digitali e il sistema di allerta satellitari ci aiutano moltissimo e stupisce che le città, ancora una volta, siano in fortissimo ritardo nella sperimentazione dei sistemi più moderni di protezione civile. Come se la catastrofe dell’Emilia-Romagna non abbia insegnato niente.

La prossima Cop, la ventottesima, è in programma a Dubai dal 30 novembre al 12 dicembre 2023. Quali i nodi e le sfide da affrontare? Quali risultati possiamo auspicare?

Ci avviciniamo a questo ennesimo vertice internazionale con preoccupazione, forse anche maggiore rispetto all’edizione precedente in ragione degli interessi fossili egemonici del Paese ospitante, ma anche con la certezza che i principali nodi siano ancora tutti da sciogliere: dal fondo Loss&Damage a beneficio dei Paesi e delle popolazioni più esposte agli impatti degli eventi estremi indotti dai cambiamenti climatici su cui hanno meno responsabilità alla scelta di azzerare completamente o ridurre parzialmente i combustibili fossili, nell’evidenza che a 8 anni dall’Accordo di Parigi e a 7 anni dal fatidico 2030 siamo davvero prossimi a raggiungere e a superare la soglia inferiore di sicurezza del grado e mezzo di aumento della temperatura media globale. Sarà un vertice molto importante, ma ad oggi è impossibile fare previsioni sulle conclusioni.

Papa Francesco ha annunciato che il 4 ottobre, nella festa di San Francesco e alla conclusione del Tempo del Creato, firmerà un’esortazione che sarà un aggiornamento dei temi trattati nella Laudato si’. Il direttore della Sala Stampa vaticana Matteo Bruni ha precisato che si tratta di una lettera che vuole affrontare in particolare le recenti crisi climatiche. Quanto è importante quello che possiamo fare come cristiani sul fronte della custodia del Creato?

Per prima cosa, intanto, ringraziamo tutti, sinceramente, Papa Francesco per questo ulteriore preziosissimo documento e per l’attenzione che sta dimostrando nei confronti degli ecosistemi oggi attraversati da crisi inedite e la cui fragilità è inscritta nella nostra cecità morale.Poi, se rileggessimo con fede autentica la Laudato si’, ci accorgeremmo che è ancora, a distanza di anni, di una sconvolgente attualità perché interroga ciascuno di noi sui nostri stili di vita e sulle nostre scelte di consumo, ma anche sull’idea stessa di fraternità che per i cristiani non dovrebbe essere solo un desiderio. Molti cristiani, purtroppo, vivono in un torpore desolante, non cogliendo lo stupore entusiasmante che nasce dalla convivialità delle differenze. Le crisi climatiche, che saranno ancora più intense e frequenti, ci insegnino, perciò, che non è più il tempo di “galleggiare” nel mare dell’ipocrisia e dell’egoismo.

Come dice Papa Francesco, nessuno si salverà da solo.

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