Di Silvia Rossetti
Nei giorni scorsi il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che “revisiona” la valutazione del comportamento a scuola, conferendo maggiore peso alla “condotta”: il sei in comportamento genererà un debito scolastico in educazione civica; l’assegnazione di un cinque configurerà la bocciatura, a prescindere dal profitto scolastico; il comportamento condizionerà anche l’attribuzione dei crediti scolastici. In attesa che la proposta di legge passi al vaglio del Parlamento, abbiamo posto qualche domanda a Daniele Novara, pedagogista, fondatore del Cpp – Centro Psicopedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.
In che modo la scuola può favorire la “cultura del rispetto”?
Personalmente faccio fatica a parlare di “cultura del rispetto”, è un concetto che può prestarsi a equivoci se non ispirato da veri e propri principi pedagogici. Abbiamo bisogno di una scuola che insegni ai giovani a “vivere”, a stare insieme, a comunicare, a collaborare e a cooperare. Anche il legittimo concetto di “merito”, se non applicato con sapienza, può essere travisato e trasformare la scuola in una “gara”. La scuola, istituzione educativa e formativa per antonomasia – come ricorda don Lorenzo Milani – potrebbe trovarsi a tutelare i forti senza occuparsi adeguatamente dei soggetti più deboli. Il rischio è di perdere “pezzi importanti”: ragazzi e ragazze che rappresentano il nostro futuro.
Una didattica più centrata sui diversi ritmi e stili di apprendimento, una metodologia più sensibile agli aspetti socio-emotivi e relazionali, percorsi di comunicazione efficace potrebbero
disinnescare le tensioni all’interno di un gruppo classe?
La storia della pedagogia – quella di Maria Montessori, John Dewey, Mario Lodi, Danilo Dolci, Gianni Rodari, Alberto Manzi, per intenderci – ha sempre proposto ottime soluzioni. Occorre lavorare sulla formazione pedagogica degli insegnanti. Un insegnante di qualità deve sapere come far funzionare la classe in quanto gruppo, come gestire i possibili bulli e i ragazzi difficili. “Litigare bene” (https://www.metododanielenovara.it/metodo-litigare-bene/) è un metodo che ho collaudato negli anni e che propongo come ideatore e formatore ai docenti. Il conflitto, in un percorso educativo, è un’importante occasione di sviluppo di nuove competenze relazionali. Bisogna uscire
dall’archeologia della scuola ottocentesca fondata sulla formula: lezione-studio-ripetizione, dove misure troppo repressive non rappresentano una soluzione ma un’aggravante.
Quali sono, secondo lei, le abitudini, le “assenze” educative e le attività che maggiormente possono minare l’equilibrio emotivo dei nostri adolescenti?
Manca il senso dell’autorità, assistiamo all’eclissi della figura del padre. I genitori “amici”, compagni di giochi con i jeans più strappati dei loro stessi figli sono figure che non rispondono in alcun modo al bisogno di crescita delle nuove generazioni.
Oltre alle sanzioni, quali strategie può applicare la scuola per prevenire comportamenti
inadeguati o devianze?
Le sanzioni non sono di alcuna utilità. La scuola è una comunità di apprendimento, deve quindi rafforzare le strategie che spingono verso la motivazione, il coinvolgimento attivo. Un ragazzo deve fare esperienze e maturare un “senso di appartenenza” all’istituzione scolastica. Nel mio libro “Cambiare la scuola è possibile” propongo di creare situazioni stimolo, usando le discipline come fonte di conoscenza e non in senso nozionistico, incoraggiando l’apprendimento tra pari. Abbiamo bisogno di uscire dal labirinto tortuoso del passato che non è più in grado di dare risposte alle necessità della scuola attuale.
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