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Mons. Baturi (Cei): “Salvare vite umane vuol dire anche libertà di non migrare”

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

M.Michela Nicolais

Al rientro da Marsiglia, e dopo l’omaggio del Papa, durante l’Angelus di domenica, alla Chiesa italiana per come accoglie i migranti, mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, traccia un bilancio e indica una prospettiva: collaborare con le autorità civili per offrire ai migranti un futuro felice, a partire dalla libertà di scelta tra migrare o restare.

Dopo Bari e Firenze, qual è il messaggio che Papa Francesco ha voluto lanciare da Marsiglia?
Dopo Bari e Firenze, da Marsiglia il Santo Padre ha ribadito l’importanza e la centralità della questione del Mediterraneo, attorno alle cui sponde vivono popoli, culture e religioni diverse, eppure si scaricano le tensioni di tutto il mondo: basti pensare alla questione migratoria, energetica, climatica ed etnica.

Quella indicateci da Papa Francesco a Marsiglia è una vocazione stimolante: rendere questo crocevia di popoli, religioni e culture un luogo in cui nasca una vocazione di bene, di pace, per il Mediterraneo e per il mondo.

Del resto è questa la vocazione inscritta nella condizione geografica e storica del Mediterraneo. La questione delle migrazioni, in particolare, interroga profondamente anzitutto il nostro livello di attenzione alle persone e alle loro condizioni di vita. Ognuno di noi dovrebbe chiedersi, a tutti i livelli, cosa possa fare per accogliere, proteggere, promuovere ed proteggere  e integrare questi nostri fratelli.

Uno dei temi su cui ha più insistito il Papa è quello del soccorso in mare,  dovere a cui adempiere per scongiurare quelli che si configurano come veri e propri crimini contro l’umanità. L’Italia è in prima linea con Lampedusa, e non solo…
Anche da Marsiglia il Santo Padre ha voluto attirare l’attenzione sulla necessità dell’accoglienza, per salvare vite umane: non a caso Papa Francesco parla dei nostri fratelli e sorelle migranti, che sulle sponde del mare Nostrum cercano vita.

Salvare vite umane vuol dire anche libertà di non migrare, collaborare con i Paesi di origine e dare il nostro fattivo contributo per evitare le crisi climatiche, le guerre e la crisi alimentare. Per questo è urgente legalizzare i tragitti, incentivare i canali e i legami comunitari, favorire l’integrazione che – come non si stanca di ripetere il Papa – non è mai assimilazione, ma fare in modo che non vengano mai meno le peculiarità culturali e identitarie dei Paesi da cui provengono i migranti, che vanno aiutati ad essere protagonisti del proprio riscatto per poter dare il proprio fattivo contributo al futuro della nostra nazione.

Al Palais du Pharo e all’Angelus di ieri il Papa ha parlato delle migrazioni come diritto umano, che comprende sia il diritto di emigrare che quello  di restare nella propria terra. La Cei è stata una antesignana con la campagna “Liberi di partire, liberi di restare”. Qual è la situazione nel nostro Paese, e quali passi avanti sono possibili?
Il Messaggio per la 109ma Giornata mondiale del Migrante e del rifugiato è centrato proprio sulla libertà di scelta, per i migranti, se partire o restare, ed è questa la volontà che la Cei ha espresso con l’iniziativa “Liberi di partire, liberi di restare”. Libertà significa scegliere il proprio destino partendo da una necessità di vita: ai migranti devono poter essere garantiti luoghi e relazioni per un loro possibile sviluppo. Offrire speranza per il futuro comporta infatti non solo un investimento economico, ma in termini di amicizia, di rapporti caldi e fraterni con le comunità locali. Questo è un punto decisivo:

non esiste una codificazione di un diritto a rimanere, ma è nelle cose, appartiene alle relazioni parentali, culturali, popolari che si intessono lungo il proprio itinerario personale.

In quest’ottica, salvare vite umane vuol dire proteggere la libertà di stare dentro le relazioni, facendo di tutto perché ci sia anche per i migranti una vita felice.

Tutto ciò comporta anche il dovere di interlocuzione e collaborazione con le autorità civili e politiche?
Certamente,  perché è dal dialogo tra la Chiesa e la società che si possono trovare insieme soluzioni concrete a questioni, come quella delle migrazioni, ormai non più emergenziali ma strutturali. Già a Firenze abbiamo sperimentato questa modalità: fa parte della vocazione storica del Mediterraneo poter coinvolgere i responsabili del bene comune.

Occorre sviluppare un dialogo con le autorità civili, altrimenti non è possibile tramutare la crisi migratoria in una opportunità di sviluppo.

Ci vuole un sussulto di umanità e di coscienza per impedire un naufragio di civiltà, l’appello di Francesco al Velodrome. Deve essere questo l’obiettivo della “teologia del Mediterraneo” e della Conferenza dei vescovi del Mediterraneo, già auspicata a Bari e a Firenze?
A Marsiglia il Santo Padre ha esortato a trasformare la commozione per la sorte dei migranti in azione operativa, in un linguaggio di amicizia e sostegno reciproco. Papa Francesco è tornato a chiedere una forma di collegamento permanente tra chiese che vivono situazioni diverse, ma costellate di tante difficoltà, soprattutto nella sponda Sud del Mediterraneo, come vediamo nei Balcani, in Siria e Libano.

L’idea di una teologia del Mediterraneo implica la necessità di un discernimento comunitario su una situazione storica: sta a noi accogliere questo invito, che è un appello alla responsabilità. Solo conoscendoci tra noi all’insegna della fraternità, come è avvenuto a Bari e Firenze, si può condividere la realtà di ciascuno ed interrogarsi sulle forme concrete di un aiuto vicendevole. Siamo alla vigilia del Sinodo della Chiesa universale sulla sinodalità. I tempi sono maturi anche per un Sinodo sul Mediterraneo?
La richiesta del Papa di un’assemblea ecclesiale per il Mediterraneo è un ulteriore invito ad adottare un’ottica sinodale, uno stile di confronto e di discernimento per individuare eventi strutturali capaci di esprimere il convenire e il camminare insieme verso le soluzioni.  Dobbiamo aiutarci a leggere questo appello che lo Spirito rivolge alla nostra libertà. È il soffio di Dio che passa, entra nella nostra storia e continua a passare sulle nostre coste, come i migranti in cerca di salvezza.

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