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In ricordo di Federico Sciocchetti, Direttore Pompei: Come direbbe Papa Francesco: il Santo della porta accanto

Gruppo Unitalsi San Benedetto

Di Pietro Pompei

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Per un amico così speciale come Federico Sciocchetti , penso, non sia molto scomodare il poeta, padre Turoldo, in questi ultimi mesi del 2023 per ricordare il Centesimo Anniversario della nascita terrena (5/ 10/ 1923) e il Decimo Anniversario della nascita in Paradiso (morte 15/12/2013). Così il poeta: “ Penso che nessun’altra cosa ci conforti tanto come il ricordo di un amico: la memoria di lui, la gioia della sua confidenza e l’immenso sollievo di esserti tu confidato a lui con assoluta fiducia e tranquillità, appunto perché amico e il desiderio di rivederlo quasi per sentirlo vicino e udire la sua voce e continuare… colloqui mai finiti!”.
E l’ultimo colloquio con Federico lo ebbi nove giorni prima della sua morte, quando mi chiamò presso il suo letto per consegnarmi l’ultimo suo libretto su “ L’Eucarestia e il Rosario” che nell’impedimento della mia malattia solo ora sto apprezzando non solo per  la dedica in cui mi è grato per l’impegno di spirituale ricordo, anche per la partecipazione ai vari misteri come quotidiano cibo spirituale.
Qualcuno si chiederà: “ Chi è questo Federico Sciocchetti?”  È vero siamo rimasti pochi del prima e dopo guerra a frequentare la sua casa dove un giovane infermo ci accoglieva sempre con il sorriso felice solo per la nostra presenza, perché sapeva che noi avevamo bisogno di confidarci con lui. La chiamavamo la “succursale” dell’Azione Cattolica «Guido Negri», associazione molto frequentata allora della Parrocchia della Madonna della Marina a cui era stato dato il nome di un giovane dalla vita esemplare e che era morto nella prima guerra mondiale a soli 28 anni alle pendici del Monte Colombara non molto distante da Asiago.
La malattia che cambiò la vita di Federico  la ebbe a 13 anni e come lui raccontava: “  Una forma di poliartrite che mi impediva di muovermi e non mi lasciò concludere neppure il terzo anno di scuola media”.
Ma l’anno in cui la malattia lo immobilizzò definitivamente fu il 1939. Così Sciocchetti lo ricorda : “Avevo 15 anni sei mesi ed un giorno, equivalenti a 5660 giorni. Li ho contati e ricontati per ricordarli come preziosi doni della libertà fisica! Bisogna perdere dei beni gratuitamente ricevuti per poterne rilevare ed apprezzare la preziosità nel momento in cui essi venivano a mancare. Improvvisamente avvertii lancinanti dolori alle articolazioni inferiori: bacino, ginocchia, piedi, così accaniti da impedirmi una regolare respirazione. Le mie condizioni precipitarono immediatamente. Spasimavo, mi contorcevo giorno e notte senza tregua. Tale forma acuta si è protratta per mesi e mesi, ininterrottamente, da ridurmi fisicamente a mò di spirale. Il busto era finito sul comodino alla destra del letto, i piedi, contorti in posizione inversa, a sinistra rispetto l’asse corporeo. Sono rimasto in tale stato di progressiva distruzione per oltre 22 mesi, sino al 17 gennaio del 1941”.
Appena diciottenne si ritrova con quasi tutte le articolazioni, ormai in “ceppi”. Non è ancora rassegnato e come tutti gli adolescenti pensa di potercela fare ancora da solo. Non si fida più dei medici e neppure nell’aiuto soprannaturale e si ribella alla proposta della madre che vorrebbe portarlo a Loreto con il Treno-Bianco.
Ancora un anno e si ritrovò, dal 3 al 5 ottobre 1942, aggregato al primo vero Treno-Bianco Sambenedettese diretto alla “Santa casa di Loreto”. Se cerchiamo il miracolo sul corpo di Federico, non lo troviamo, ma lo troviamo nell’esempio del personale che accompagnava gli ammalati che portavano avanti l’opera del Signore che avevano incontrato nell’Infermo. Così raccontava Federico: “Il PRODIGIO che avevo riportato da Loreto nell’autunno del ‘42 doveva diventare :REALTÁ PER TANTI ALTRI INFERMI che erano nelle mie stesse condizioni” Così aggiunge :”Per questa finalità da condividere con molti, da quel momento, mi sarei battuto”.
Un altro “miracolo” (se così lo vogliamo chiamare) fu quello di vedere aumentata l’affluenza dei giovani nella sua casa a stare insieme a quelli dell’Azione  Cattolica.
Il post-guerra fu il periodo in cui l’UNITALSI e l’AZIONE CATTOLICA si trovarono unite nella difesa dei valori non solo religiosi, ma anche politici e civili e Federico ne fu l’artefice. Vi fu coinvolto anche il padre che tutti chiamavamo “Papà Ventidio”, così scrivemmo sul manifesto “dell’annuncio del suo transito alla «Casa del Padre» “.

Mi piace qui ricordare  che quest’anno si celebra il 120° Anniversario di fondazione dell’UNITALSI. Nel pellegrinaggio annuale dei fedeli italiani dell’associazione a Lourdes che si è concluso il 29 settembre 2023, 4500 sono stati i partecipanti di cui 500 i Marchigiani, 100 i pellegrini della nostra Diocesi accompagnati dal nostro Vescovo Carlo  e dall’assistente diocesano per l’Unitalsi Mons.Vincenzo Catani.
Vorrei aggiungere che nella Diocesi di Ripatransone nel 1937 fu istituita una sottosezione con presidente Don Cesare Palestini. Nell’intervento che Federico fece nella ricorrenza del 65° dell’Unitalsi ebbe a dire: “Così, nella cucina parrocchiale del buon don Cesare, in S:Benedetto del Tronto sbocciò, come lo era stato in passato (1928),il primo nucleo della Gioventù Cattolica interparrocchiale: la gloriosa ”Piergiorgio Frassati”}

A 20 anni Federico aveva dimenticato il suo handicap tanto il da fare, anche se lo accompagnò fino al novantesimo anno quando fu chiamato “ a regolare i conti” (Mt.25,14-30). Si perché da circa il ventesimo anno di età incominciò ad avere tanti e tali “talenti” da diventare indispensabile non solo nella nostra diocesi, ma possiamo dire in molte altre dove non bastava l’eloquenza ma occorreva la testimonianza. Un “talento” che si era valorizzato è stato la sua malattia. Nella “prefazione” al suo libretto “l’Eucarestia e il Rosario” così è stato scritto dal Presidente dell’AURE: “Insieme alla gratitudine per Federico che, ancora una volta, presta la sua sensibilità eucaristica, affinata nel letto, che in apparenza è Calvario, ma che, grazie alla sua docilità alla volontà divina si trasforma in trionfo dell’amore di Dio a beneficio di tutti noi”.
Alla fine degli anni ’60, mentre in treno si rientrava da Lourdes , il Vescovo Mons.Vincenzo Radicioni, anche Lui in pellegrinaggio, lo chiamò per dirgli che lo nominava “insegnante di religione” presso un istituto di Scuola Superiore. Fu il primo laico a ricoprire quel posto.
Sempre in quegli anni fu chiamato a tenere una relazione sul “Mondo degli Infermi e l’Eucarestia dall’Associazione Universale della Riparazione Eucaristica, invito che si è poi ripetuto, finché nel 1981- proprio nell’anno dell’handicappato– fu chiamato a presiedere quella Associazione. Per dieci anni, finché le condizioni di salute glielo hanno permesso, ogni fine settimana lo venivano a prendere per “cantare” (come Lui diceva) “ l’Eucarestia della Vita, soprattutto a chi nella sofferenza poteva, in comunione con Cristo, «riparare il male del mondo». Era in giro per l’Italia da Nord a Sud. Poterli elencare tutti è impossibile, Federico li aveva tutti in mente, e gli occhi gli luccicavano quando parlava di Ruvo in Puglia chiamato dal Vescovo don TONINO BELLO.
Quel pomeriggio del 6 dicembre 2013 mi è rimasto nel cuore. Federico era un fiume in piena di ricordi, io preso dai suoi racconti non mi ero accorto che insieme alla gratitudine per “l’Ancora”, mi era anche grato per l’impegno di spirituale ricordo. Un’eredità  gravosa che spero con il suo aiuto di portare a compimento.
“Federico aiutami”. Sto pregando! Ecco i Santi della porta accanto di Papa Francesco!

Quando nell’ottobre dell’anno scorso parlando della “fama sanctitatis” ebbe a dire: “È il popolo di Dio nelle sue diverse componenti, il protagonista della “fama sanctitatis” cioè dell’opinione comune e diffusa tra i fedeli circa l’integrità di vita di una persona, percepita come testimone di Cristo e delle beatitudini evangeliche”. Ed aveva aggiunto: “ È importante che ogni Chiesa particolare sia attenta a cogliere e valorizzare gli esempi di vita cristiana maturati all’interno del popolo di Dio, che da sempre ha un particolare “fiuto”  per riconoscere questi modelli di santità, testimoni straordinari del Vangelo.
Mi è tornato subito in mente ciò che scrisse il Vescovo Mons. Vincenzo Radicioni nella presentazione del libretto di Federico “I Misteri (Dolorosi)” nel 1981 donato ai malati del Treno per Loreto: “Tutti ne rimaniamo conquistati soprattutto quando quei misteri li caliamo con fede e buona volontà nel travaglio quotidiano. È ciò che è riuscito a fare il caro Federico che, nel condurci quasi per mano in quella strada di sofferenza e di sangue, con la sua spiritualità, intelligente capacità e testimonianza d’ ogni giorno, ci pone di fronte a Gesù appassionato e crocifisso che ha le “braccia allargate per abbracciarci, il cuore  aperto per amarci, il capo chino per baciarci”.
Ed ancora, presentato a San Giovanni Paolo II in udienza come il “presidente nazionale dell’Associazione della Riparazione Eucaristica”, scrive Federico, introducendo “i Misteri della Luce: “Il Papa con la sua piccola corte, si portò vicino a me con entrambe le mani prese le mie, le strinse e, abbassando gli occhi in atteggiamento di profondo raccoglimento e viva immedesimazione disse: “ Riparare, riparare! Ecco ciò che deve essere aspirazione della Chiesa oggi! Ecco il desiderio del Papa: un’azione che diventa preghiera… una preghiera che si fa azione! Questo è ciò che dovrebbe vivere ogni vero cristiano. Grazie, grazie di cuore vi benedico”. Mi abbracciò e scomparve nella grandissima sala delle udienze”.