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Sorelle Clarisse: “La vigna del Signore”

DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.

Il profeta Isaia, questa domenica, ci racconta la storia del proprietario di una vigna posta «sopra un fertile colle».

Quest’uomo aveva lavorato la terra con passione, l’aveva dissodata e sgombrata dai sassi, si adoperava cercando di non dimenticare alcun passaggio affinché la vigna potesse dare frutto.

Anche la scelta del tipo di uva era stata molto oculata; ci dice infatti Isaia che «vi aveva piantato viti pregiate». Poi aveva costruito una torre in mezzo alla vigna stessa per custodirla e proteggerla, e un tino per raccogliere il vino che attendeva con trepidazione e speranza.

Ma la vigna «produsse, invece, acini acerbi», acini selvatici, da buttare via.

«Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna che io non abbia fatto?» si domanda quest’uomo.

Ed è la domanda che Dio stesso si pone: per questa vigna, per Israele, per voi uomini e donne, mio popolo, che cosa dovevo e devo fare di più?  Dio non si lamenta con noi e di noi, sue creature, perché non siamo secondo i suoi desideri, secondo le sue aspettative.

E’ la reazione naturale di un Dio appassionato, innamorato della sua vigna, della sua umanità. Così appassionato che sembra quasi minacciare, sembra voler farla finita con la sua vigna dopo tutto il lavoro e il sudore che ha comportato farla crescere senza aver visto alcun risultato.

Infatti leggiamo ancora nella prima lettura: «Ora voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna: toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia».

E’ bello questo Dio perché anche quando sembra minacciarci, gli sfugge sempre quell’aggettivo possessivo “mio o mia” che dice il persistere, nonostante tutta la nostra infedeltà, di un legame, di un attaccamento, di una alleanza che non riesce e non vuole assolutamente spezzare.

Infatti la troviamo ancora in piedi la vigna, lo leggiamo nel Vangelo. C’è ancora il nostro Dio a piantare la vigna, a circondarla con una siepe, a costruirci una torre e un torchio, un Dio che non smette un attimo di prendersi cura di noi.

Una vigna che viene data in affitto a dei contadini ma questi non consegnano al padrone il raccolto anzi, bastonano, lapidano, uccidono i servi del padrone e poi, addirittura, lo stesso figlio. È l’uomo, siamo noi quando vogliamo appropriarci di ciò che Dio vuole darci in dono, quando vogliamo impadronirci della vita ma sappiamo di non essere noi i padroni della vita. Siamo noi quando vediamo Dio come l’esattore venuto a riscuotere ciò che, secondo i nostri ragionamenti, non è suo, è nostro e solo nostro.

«Egli si aspettava giustizia ed ecco spargimento di sangue; attendeva rettitudine ed ecco grida di oppressi», scrive ancora il profeta Isaia. Il frutto che Dio attende dalle nostre vite non è il più pregiato dei vini DOC ma è una storia che non generi più oppressione, ingiustizie, violenza, tradimenti, vendette ma giustizia, pace, cura, tenerezza, frutti di cui tutti possano godere.

«In conclusione – scrive San Paolo – quello che è vero, quello che è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello che è onorato, ciò che è virtù e merita lode, questo sia oggetto dei vostri pensieri», sia, cioè, anima della nostra vita, siano i frutti della vigna che il Signore ci ha affidato. Ma ricordiamocelo sempre, è il Signore che dissoda, pianta, cura…noi assorbiamo e nutriamoci di quanto la Parola ci offre ogni giorno…coscienti di non essere padroni della vita ma sicuri e lieti nel farla fruttificare a beneficio nostro e di tutti!