DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
La Parola di questa domenica ci parla di un banchetto. E’ un banchetto, ci dice il profeta Isaia nella prima lettura, preparato dal Signore «per tutti i popoli», nessuno escluso, «un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati».
Innanzitutto non un semplice pasto: è un banchetto, parola che Isaia ripete più volte, ovvero un pranzo sontuoso cui, di solito, prendono parte tante persone, in occasione di feste e ricorrenze. Un pranzo sontuoso a cui il Signore invita, infatti «tutti i popoli» e nel quale le vivande non sono ordinarie ma eccellenti, succulente, raffinate.
«I miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi – leggiamo nel Vangelo – e tutto è pronto; venite alle nozze!».
Ma gli invitati, ci dice Gesù, non si curano dell’invito, lo snobbano.
Gli invitati hanno altro da fare: c’è da curare i campi, i propri affari, i propri interessi…come si fa a prendere in considerazione l’invito ad una festa? Ci sono cose più importanti a cui pensare, cose che richiedono tempo, cura, attenzione! Una festa può aspettare!
Questi invitati vivono per le cose, non hanno tempo neppure per la gioia; vivono all’esterno di loro stessi e si fanno vivere da quanto è esterno a loro stessi. E’ la tentazione di sempre: pensare di essere felici attraverso il fare tante cose, come se fossero una conquista, un premio. Siamo sempre stati abituati che le cose, soprattutto quelle importanti, vanno conquistate e meritate. Ma per le cose di Dio non funziona così: tutto è pronto, tutto è già dato, venite solo alle nozze!
L’invito, abbiamo visto, è rifiutato ma il re non si scoraggia, Dio non recede dalla festa: «…andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze».
Chi c’è ai crocicchi delle strade? Ci sono i mendicanti, coloro che tendono la mano in attesa che qualcuno la riempia, coloro che vivono la condizione di non bastare a se stessi, coloro che non possono far altro che affidarsi.
Tendere la mano per ricevere in dono la vita: Dio non attende altro da noi!
«Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali». Dio non fa questioni di morale: al banchetto entrano buoni e cattivi, giusti e sbagliati. La questione, infatti, è entrare, accogliere l’invito, accettare di essere abbracciati dal suo amore.
La parabola è iniziata con una reggia senza canti, senza festa, con una sala vuota. Ora la sala è riempita ma «Il re […] scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale […]. Ordinò ai suoi servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre…”». L’uomo senza vestito di nozze è colui che non ha creduto alla festa, che non ha creduto al suo essere in grado di dare un contributo di bellezza alla festa, che ha risposto ad un invito senza aderirvi in verità e radicalità, senza entrare in un vero dinamismo di cambiamento, senza credere alla sovrabbondante offerta di bene donata dal re.
Paolo, al contrario, nei pochi versetti della sua lettera ai Filippesi che la liturgia, oggi, ci fa gustare, ci testimonia di aver compreso il senso profondo di ogni dono: quello cioè di contemplare, nella bellezza di quanto ci viene donato, l’amore di Dio per noi, per godere della festa della vita che ci unisce a Lui. Facciamo nostre le sue parole, allora potremo cantare con il salmista: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla…».