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Padre Carmelo: una porta aperta alla speranza

Amerigo Vecchiarelli

“Tenete a mente che chi semina con larghezza con larghezza raccoglierà” (2Cor. 9,6). È forse uno dei passi della Scrittura che più di altri descrive la vita e l’opera di padre Carmelo Di Giovanni nei suoi 43 anni vissuti a Londra come parroco della Chiesa italiana di San Pietro a Londra. Punto di riferimento prezioso per gli italiani immigrati, la Saint Peter Church è stata fondata nel 1863 da San Vincenzo Pallotti e ancora oggi accoglie migliaia di nostri connazionali. Per chiunque lo abbia fatto, varcare le porte di quella chiesa è significato sentirsi a “casa” perché per padre Carmelo non c’erano infatti orari né chiusure. Anzi. Come suggerisce il titolo del suo ultimo libro, “Una porta aperta. 4 Back Hill, Londra” (Ancora edizioni), barriere per tenere lontani anche gli indesiderabili non ce ne erano. Il prete, semplicemente il prete. Questo è stato e questo ha fatto padre Carmelo durante i suoi anni di missione a Londra. Un sacerdote attento ai bisogni di tutti e di ciascuno, che per scelta non ha mai voluto fare “vita da sagrestia” scegliendo ogni giorno di essere accanto e non abbandonare, di guidare e sostenere, di ammonire e accogliere, di rischiare e dare fiducia. In una parola di seminare “il bene” e con larghezza appunto. E alla presentazione del suo libro presso la Sala Zuccari del Senato, erano in tanti. Da Davide Serra, manager e Imprenditore a padre Zenon Hanas Rettore generale della Società dell’Apostolato Cattolico, da padre Vittorio Trani, cappellano del carcere romano di regina Coeli a Mons. Paolo Lojudice arcivescovo metropolita di Siena-Colle di Val d’Elsa-Montalcino-Montepulciano-Chiusi-Pienza. Manager di successo, deputati, ex terroristi, artisti di successo, padri e madri di famiglia. Uomini e donne però tutti segnati dall’incontro, allora come oggi, con questo vulcanico sacerdote e dal suo desiderio di dare luce e speranza a chiunque fosse nel buio e nella tristezza. Frutti e allo stesso tempo testimoni di questa splendida e generosa semina, desiderosi di raccontare la quotidianità di un prete capace di vivere l’ordinario in maniera straordinaria. Nel testo, così come nelle testimonianze ascoltate, sono stati ripercorsi gli anni più duri della missione inglese del religioso. Anni segnati dalle difficoltà e dai mali del tempo. Padre Carmelo sbarca a Londra nel settembre del 1971 e con coraggio inizia la sua missione ad gentes che però non si esaurisce nell’ambito della parrocchia. In quel periodo infatti deve confrontarsi col problema della tossicodipendenza, una piaga che non risparmia i giovani immigrati italiani. Dalla tossicodipendenza all’AIDS il passo è breve. Il virus letale che, a partire dagli anni ’80, inizia a diffondersi a macchia d’olio e a mietere vittime in tutto il mondo. Toccherà proprio a lui assistere in un carcere britannico il primo morto di Aids: è un giovane italiano. Sì, il carcere, la sua seconda parrocchia. Vi entra la prima volta su richiesta dell’Istituto di pena di Wormwood Scrubs per seguire un giovane detenuto italiano che aveva tentato il suicidio. A quella prima visita ne seguirono molte altre effettuate nelle carceri di tutto il mondo.
Nella sua vita, padre Carmelo ha incarnato e accolto con speranza e coraggio, l’invito che Papa Francesco fin dall’inizio del suo pontificato non ha mai smesso di ricordare al mondo: essere una chiesa in uscita.
“Una volta usciti dal carcere – racconta – i ragazzi bussavano alla parrocchia. Abbiamo rischiato tanto perché la porta aperta ha condotto anche a dei contenziosi con la polizia. Ma credevo che fosse una parte fondamentale della nostra funzione accogliere tutti. Gesù incontrava la gente per la strada mentre noi abbiamo paura di uscire. Credo però che stia nascendo ora una Chiesa più nuova, più bella”. Altro capitolo della vita di questo religioso dal sorriso solare è quello segnato dal terrorismo. Negli anni di piombo in Italia e poi nelle carceri inglesi, padre Carmelo entra in contatto con tutti: i brigatisti, i Nar, gli appartenenti all’Ira irlandese e poi all’organizzazione basca Eta.
“La sofferenza dei detenuti è grande, ma quella dei detenuti innocenti ha un volto indescrivibile – ha detto don Vittorio Trani cappellano del carcere romano di Regina Coeli – e padre Carmelo ha saputo e sa accoglierla facendola propria condividendo il dolore con la persona colpita. Sa stare accanto alla gente, con semplicità”.
L’esperienza del carcere gli impartisce lezioni dure ma anche un’inesauribile speranza che traduce nel St. Peter’s project, il progetto nato per aiutare i malati, i tossicodipendenti e i detenuti. “È stata un’esperienza varia e ricca – dice padre Carmelo – ed è qui che la parrocchia aveva realmente una porta aperta come il cuore di Cristo. Il rischio c’era. Ma siamo chiamati a rischiare. Gesù non è mieloso. A volte è anche duro, non approva tutto”.
Nella foto scelta per la copertina del libro, il parroco è ritratto di spalle mentre apre la porta di una cella: “È quella del carcere di Londra. Quando andavo a trovare i detenuti, quelli in prigione per terrorismo pensavano che fossi una spia perché avevo tutte le chiavi che il direttore mi metteva a disposizione. Anche quando conducevo con me personalità in visita potevo trasferire i detenuti per gli incontri. Tutti, specie gli italiani, erano stupiti per la fiducia che il sistema inglese di giustizia mi accordava”.
Sono centinaia i ragazzi che padre Carmelo ha seguito in percorsi tortuosi. Alcuni hanno ritrovato la giusta direzione, altri invece si sono interrotti bruscamente.
Oggi padre Carmelo vive a Roma. All’inizio, nel 2013, il ritorno in Italia è stato traumatico: “mi sentivo un pesce fuor d’acqua. Ho trovato difficile adattarmi anche ai mezzi pubblici. Ho ripreso il lavoro a Regina Coeli dove ho incontrato papa Francesco che amo da morire, è l’uomo di Dio. È maltrattato perché purtroppo la Chiesa è piagata dalla ipocrisia”.
Infine, nel libro, oltre ai numerosi ringraziamenti, anche la descrizione degli incontri particolari con persone importanti e famose. Tra tutti spicca quello con Madre Teresa di Calcutta. “Veniva spesso a Londra. Era una donna meravigliosa dall’aspetto fragile che emanava una luce spettacolare. Per me è stato un punto di riferimento forte”.

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