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Israele e Gaza. Mons. Baturi (Cei): “Sosteniamo lo sforzo dei nostri fratelli cristiani, la Chiesa è disponibile a qualsiasi tentativo di dialogo”

(Foto AFP/SIR)

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(Foto AFP/SIR)
“Quanto avvenuto è inaccettabile, non può essere in alcun modo scusato con qualche ‘se’ o qualche ‘ma’. Certo, bisogna comprendere il contesto ma ciò non può essere una giustificazione”. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla alla vigilia della Giornata di preghiera per la pace e la riconciliazione in Terra Santa.
(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Eccellenza, le Chiese in Italia hanno un legame profondo con i cristiani di Terra Santa. Come sta vivendo queste ore drammatiche?
Con grande dolore e preoccupazione. Non possiamo e non dobbiamo rassegnarci al male, alla violenza sui bambini e sulle persone più deboli. È fondamentale recuperare la capacità di inorridire e di indignarsi, nel dolore, per quanto sta avvenendo. Senza limitarsi alle sole analisi. C’è un aspetto umano che prevale: l’orrore del dolore per tanta sofferenza, fisica e morale. Pensiamo agli ostaggi, ai loro genitori, alla barbarie che non si ferma nemmeno davanti ai neonati. E, come in Ucraina, non si arresta di fronte agli innocenti e ai prigionieri.

È una condanna per gli oltre 1.300 morti nell’attacco a Israele del 7 ottobre e i circa duecento ostaggi nelle mani di Hamas?
Sono vittime civili cercate casa per casa con la volontà di fare del male.

Quanto avvenuto è inaccettabile, non può essere in alcun modo scusato con qualche “se” o qualche “ma”. Certo, bisogna comprendere il contesto ma ciò non può essere una giustificazione.

Come hanno ricordato il Santo Padre e il cardinale Parolin: bisogna lavorare con convinzione a una pace “costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità”.

Teme il rischio di un allagamento del conflitto con il coinvolgimento di altri Paesi arabi, ma anche di attori interessati a beneficiare della guerra?
La preoccupazione è grandissima perché vediamo all’opera le forze degli Stati. Piuttosto che mobilitarsi in funzione di una pace giusta, sembrano muoversi secondo logiche di schieramento e di potere.

La memoria storica ci ricorda che i grandissimi drammi mondiali sono iniziati per lo spostamento di equilibri di cui all’inizio non si comprendeva la portata. L’apprensione è forte, tanto più che il tema della proporzionalità della reazione salta nella consapevolezza che siamo nell’era nucleare.

Anche i discorsi circa l’uso della forza proporzionata devono tenere conto delle capacità distruttive delle armi moderne. Non può non preoccuparci constatare che la violenza ha bisogno di menzogna e dell’occultamento della verità.

A Gaza la situazione è drammatica: secondo le autorità sanitarie locali, il bilancio dei morti è di oltre 2.500 persone e circa 10.400 feriti. La parrocchia latina della Sacra Famiglia ospita almeno 500 sfollati, comprese diverse famiglie musulmane. Papa Francesco ha già contattato telefonicamente due volte il parroco e la suora che dirige la Scuola delle Suore del Rosario per esprimere vicinanza e partecipazione…
Vogliamo sostenere lo sforzo dei nostri fratelli cristiani a poter esprimere prossimità, vicinanza e amore a coloro che sono provati da una grave sofferenza.

La Chiesa, e con essa la Chiesa in Italia, è sempre dalla parte dell’uomo.

Quindi, non può che intervenire per alleviare le sofferenze. Ma dobbiamo chiedere anche che l’amore per il prossimo diventi un amore politico, cioè capace di immaginare scenari futuri. Per questo il Papa, dopo l’Angelus di ieri, ha chiesto la salvaguardia delle vite umane e una soluzione duratura e credibile di pace.
(Foto AFP/SIR)

(Foto ANSA/SIR)

Se la Scuola patriarcale delle Suore del Rosario può contare ancora su un poco di energia elettrica quotidiana, è anche grazie ai pannelli fotovoltaici installati con i fondi dell’8xmille. E la Presidenza della Cei ha deciso di promuovere una Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione.
La Chiesa in Italia ama la Terra Santa e ha riposto all’appello dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, promuovendo domani 17 ottobre un tempo di preghiera corale per consegnare al Signore “la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione”. Abbiamo una responsabilità di vicinanza, di prossimità all’uomo, di svelamento della verità e di continua esortazione al dialogo e alla riconciliazione.

La Chiesa può essere anche un attore nella difficile mediazione politica?
La Chiesa è pronta, lo ha detto il cardinale Parolin, ad esercitare la propria influenza morale, la propria autorevolezza verso i diversi agenti per tentare una mediazione e cercare il dialogo. Fa parte della nostra fede: l’incarico ad essere “beati” e “operatori di pace”, ma per essere operatori di pace bisogna essere beati perché certi della presenza di Dio e desiderosi di stringere amicizie. L’autorevolezza che hanno la Santa Sede e la Chiesa in quegli ambienti e in quei luoghi si traducono nella disponibilità a qualsiasi tentativo di dialogo.

“Quanto avvenuto è inaccettabile, non può essere in alcun modo scusato con qualche ‘se’ o qualche ‘ma’. Certo, bisogna comprendere il contesto ma ciò non può essere una giustificazione”. Mons. Giuseppe Baturi, arcivescovo di Cagliari e segretario generale della Cei, parla alla vigilia della Giornata di preghiera per la pace e la riconciliazione in Terra Santa.

(Foto Siciliani – Gennari/SIR)

Eccellenza, le Chiese in Italia hanno un legame profondo con i cristiani di Terra Santa. Come sta vivendo queste ore drammatiche?
Con grande dolore e preoccupazione. Non possiamo e non dobbiamo rassegnarci al male, alla violenza sui bambini e sulle persone più deboli. È fondamentale recuperare la capacità di inorridire e di indignarsi, nel dolore, per quanto sta avvenendo. Senza limitarsi alle sole analisi. C’è un aspetto umano che prevale: l’orrore del dolore per tanta sofferenza, fisica e morale. Pensiamo agli ostaggi, ai loro genitori, alla barbarie che non si ferma nemmeno davanti ai neonati. E, come in Ucraina, non si arresta di fronte agli innocenti e ai prigionieri.

È una condanna per gli oltre 1.300 morti nell’attacco a Israele del 7 ottobre e i circa duecento ostaggi nelle mani di Hamas?
Sono vittime civili cercate casa per casa con la volontà di fare del male.

Quanto avvenuto è inaccettabile, non può essere in alcun modo scusato con qualche “se” o qualche “ma”. Certo, bisogna comprendere il contesto ma ciò non può essere una giustificazione.

Come hanno ricordato il Santo Padre e il cardinale Parolin: bisogna lavorare con convinzione a una pace “costruita sulla giustizia, sul dialogo e sul coraggio della fraternità”.

Teme il rischio di un allagamento del conflitto con il coinvolgimento di altri Paesi arabi, ma anche di attori interessati a beneficiare della guerra?
La preoccupazione è grandissima perché vediamo all’opera le forze degli Stati. Piuttosto che mobilitarsi in funzione di una pace giusta, sembrano muoversi secondo logiche di schieramento e di potere.

La memoria storica ci ricorda che i grandissimi drammi mondiali sono iniziati per lo spostamento di equilibri di cui all’inizio non si comprendeva la portata. L’apprensione è forte, tanto più che il tema della proporzionalità della reazione salta nella consapevolezza che siamo nell’era nucleare.

Anche i discorsi circa l’uso della forza proporzionata devono tenere conto delle capacità distruttive delle armi moderne. Non può non preoccuparci constatare che la violenza ha bisogno di menzogna e dell’occultamento della verità.

A Gaza la situazione è drammatica: secondo le autorità sanitarie locali, il bilancio dei morti è di oltre 2.500 persone e circa 10.400 feriti. La parrocchia latina della Sacra Famiglia ospita almeno 500 sfollati, comprese diverse famiglie musulmane. Papa Francesco ha già contattato telefonicamente due volte il parroco e la suora che dirige la Scuola delle Suore del Rosario per esprimere vicinanza e partecipazione…
Vogliamo sostenere lo sforzo dei nostri fratelli cristiani a poter esprimere prossimità, vicinanza e amore a coloro che sono provati da una grave sofferenza.

La Chiesa, e con essa la Chiesa in Italia, è sempre dalla parte dell’uomo.

Quindi, non può che intervenire per alleviare le sofferenze. Ma dobbiamo chiedere anche che l’amore per il prossimo diventi un amore politico, cioè capace di immaginare scenari futuri. Per questo il Papa, dopo l’Angelus di ieri, ha chiesto la salvaguardia delle vite umane e una soluzione duratura e credibile di pace.

Se la Scuola patriarcale delle Suore del Rosario può contare ancora su un poco di energia elettrica quotidiana, è anche grazie ai pannelli fotovoltaici installati con i fondi dell’8xmille. E la Presidenza della Cei ha deciso di promuovere una Giornata nazionale di digiuno, preghiera e astinenza per la pace e la riconciliazione.
La Chiesa in Italia ama la Terra Santa e ha riposto all’appello dal cardinale Pierbattista Pizzaballa, patriarca di Gerusalemme dei Latini, promuovendo domani 17 ottobre un tempo di preghiera corale per consegnare al Signore “la nostra sete di pace, di giustizia e di riconciliazione”. Abbiamo una responsabilità di vicinanza, di prossimità all’uomo, di svelamento della verità e di continua esortazione al dialogo e alla riconciliazione.

La Chiesa può essere anche un attore nella difficile mediazione politica?
La Chiesa è pronta, lo ha detto il cardinale Parolin, ad esercitare la propria influenza morale, la propria autorevolezza verso i diversi agenti per tentare una mediazione e cercare il dialogo. Fa parte della nostra fede: l’incarico ad essere “beati” e “operatori di pace”, ma per essere operatori di pace bisogna essere beati perché certi della presenza di Dio e desiderosi di stringere amicizie. L’autorevolezza che hanno la Santa Sede e la Chiesa in quegli ambienti e in quei luoghi si traducono nella disponibilità a qualsiasi tentativo di dialogo.