Del Cardinale Zuppi
“Chiedete pace per Gerusalemme: vivano sicuri quelli che ti amano” (Salmo 122, 6). I Salmi sempre esprimono le domande vere, profonde, drammatiche, esaltanti della nostra vita, di “questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena”, della nostra terra “dolorosa, drammatica e magnifica” (Paolo VI, Testamento) nella quale possiamo sempre vedere il “riflesso della prima e unica Luce” (Paolo VI, Pensiero alla morte). È la richiesta angosciosa espressa dalle vittime: “Eccoli: avanzano, mi circondano, puntano gli occhi per gettarmi a terra, simili a un leone che brama la preda, un leoncello che si apposta in agguato” (Salmo 17, 11-12).
Sono le parole dei nostri fratelli ebrei, sorelle, figli, padri, madri – perché sono nostri fratelli, tutti! –, uccisi da una mano assassina che ha colpito il loro corpo, vigliaccamente, follia omicida, disumana, tradimento di ogni legittima aspirazione, bestemmia della fede. Chiediamo assieme pace per Gerusalemme, uniti dalla fame e dalla sete di pace e giustizia, che Gesù ci indica come via di beatitudine.
Pace! È quello che chiediamo e che diventa impegno e responsabilità, perché non si chiede pace se nel cuore vi sono sentimenti di odio, di violenza, e non si chiede quello che non vogliamo vivere a partire da noi. Tanti “artigiani di pace” aiuteranno gli attuali, troppo pochi, “architetti” di pace, cioè chi costruisce ponti e non muri, alleanze e non conflitti. Cerchiamo pace, perché non c’è futuro con la violenza e con la spada.
Ci accordiamo con i cristiani della Terra Santa, ma nel profondo con tutti i credenti che lì abitano e devono poter abitare assieme. Alziamo le nostre mani e scegliamo di digiunare perché, come ricorda Gesù, certi spiriti si combattono solo con la preghiera e il digiuno.
Con il digiuno e la preghiera prendiamo più coscienza della situazione in cui vivono tanti nostri fratelli. Privandoci di qualcosa mostriamo concretamente che il prossimo in difficoltà è al centro delle nostre preoccupazioni. Se il male appare così pervasivo, distruttivo, terribile, da riempire di sgomento e da togliere il respiro pensando alla fragilità di chi è ostaggio, di chi oggi è in pericolo, non ci lasciamo intimidire e imploriamo con l’insistenza della povera vedova, debolissima, forte solo del suo desiderio di giustizia, la pace per Gerusalemme, per tutta la Terra Santa. La preghiera è sempre una vera ribellione al male e ci aiuta a ritrovare l’umanità. Facciamo nostro il pianto inconsolabile di Rachele che non vuole essere consolata perché i suoi figli non sono più (Ger 31,15). E qualunque madre pianga suo figlio oggi è Rachele. Chiediamo che gli ostaggi siano liberati, che ci sia giustizia per i responsabili di quella barbarie, che si rispettino i civili e sia sempre protetta la vita di innocenti che finiscono doppiamente vittime.
Il grande saggio ebreo rabbi Nachman, nel suo commento a quel passo del Libro di Zaccaria (8,19) che propone un’astinenza capace di tramutarsi in gioia, spiega così questo sorprendente rovesciamento: “Quando non c’è pace ma discordia, allora digiuno, e in virtù del digiuno si compie la pace”.
Il digiuno ci aiuta a pregare con consapevolezza, a concentrarci sull’essenziale. Digiuniamo dalla passività, dall’abitudine alla violenza, dai pregiudizi, da qualsiasi connivenza con i semi mai sconfitti dell’antisemitismo, e scegliamo di essere artigiani di pace. Digiuniamo perché, come dice il profeta Isaia, “allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà” (Is 58,8). E la gloria di Dio sono sempre i fratelli che si ritrovano insieme.
Il testo per la preghiera che la Cei propone a tutti si apre con queste parole: “Fratelli e sorelle carissimi, con il cuore pieno di sgomento per gli orrori dell’odio, della violenza e della guerra che feriscono la Terra Santa, eleviamo la nostra supplica a Dio, Re della pace, affinché israeliani e palestinesi possano trovare la strada del dialogo”. Sentiamo quasi fisicamente il bisogno di stringerci alle sorelle e ai fratelli della Terra Santa perché il Dio della pace ispiri il coraggio di scelte nuove, che sappiano trarre dal colpevole scempio una forza nuova di pace. La preghiera è piangere con chi piange, asciugare con il Signore le lacrime di donne, uomini, anziani e bambini costretti a scappare, a vivere l’orrore dei bombardamenti e della violenza. Rendiamo preghiera le parole del Papa: “Per favore, non si versi altro sangue innocente, né in Terra Santa, né in Ucraina o in qualsiasi altro luogo! Basta! Le guerre sono sempre una sconfitta, sempre!”. La preghiera apre alla vita e, viceversa, questa nutre la preghiera. L’Infinito chiede ospitalità al finito, cioè alla persona con i suoi tratti, dentro la storia, in quei segni dei tempi nei quali il cristiano vive e che deve scorgere e dai quali lasciarsi interrogare per scegliere.
La preghiera, come ha ricordato il Papa domenica, “è la forza mite e santa da opporre alla forza diabolica dell’odio, del terrorismo e della guerra”.
Trova la pace in te e migliaia la troveranno attorno a te, diceva san Serafino di Sarov. Bisogna curare gli animi dall’odio perché questo rende ciechi e genera violenza. La preghiera aiuti a pensare l’impensato e a compiere scelte coraggiose perché un male così grande possa trasformarsi in un impegno per rispondere alle legittime aspirazioni di sicurezza e di pace.
(*) arcivescovo di Bologna e presidente della Conferenza episcopale italiana (pubblicato su Avvenire)