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Papa Francesco: “Tacciano le armi, la guerra cancella il futuro”

(Foto ANSA/SIR)

M.Michela Nicolais

“Anche oggi il pensiero va in Palestina, in Israele”. Lo ha detto Papa Francesco, al termine dell’udienza generale di ieri in piazza San Pietro, durante i saluti ai fedeli di lingua italiana. “Le vittime aumentano e la situazione a Gaza è disperata”, l’appello di Francesco: “Si faccia, per favore, tutto il possibile per evitare una catastrofe umanitaria. Inquieta il possibile allargamento del conflitto, mentre nel mondo tanti fronti bellici sono già aperti. Tacciano le armi, si ascolti il grido per la pace dei poveri, della gente, dei bambini. La guerra non risolve alcun problema, semina solo morte e distruzione, aumenta l’odio, moltiplica la vendetta”. Il 27 ottobre, ha annunciato il Santo Padre ai fedeli, “ho deciso di indire una Giornata di digiuno, preghiera e penitenza per implorare la pace nel mondo”.

La guerra cancella il futuro, cancella il futuro. Esorto i credenti a prendere in questo conflitto una sola parte, quella della pace, ma non a parole, ma con la preghiera, con la dedizione totale”.

Continuiamo a pregare per la pace nel mondo, e non dimentichiamo di pregare per la martoriata Ucraina”, l’invito finale: “Adesso non se ne parla, ma il dramma continua”.

“Il primo passo per evangelizzare è aver Gesù al centro del cuore, è perdere la testa per lui”, l’esordio della catechesi, dedicata a san Charles de Foucauld, “un uomo che ha fatto di Gesù e dei fratelli più poveri la passione della sua vita, che “a patire dalla sua intensa esperienza di Dio, ha compiuto un cammino di trasformazione fino a sentirsi fratello di tutti”. “Se ciò non avviene, difficilmente riusciamo a mostrarlo con la vita”, il monito di Francesco: “Rischiamo invece di parlare di noi stessi, del nostro gruppo di appartenenza, di una morale o, peggio ancora, di un insieme di regole, ma non di Gesù, del suo amore, della sua misericordia”. “Questo io lo vedo in qualche nuovo movimento che sta sorgendo”, ha proseguito il Papa a braccio: “parlano della propria visione dell’umanità, della loro spiritualità, e loro si sentono in una strada nuova. Parlano di tante cose, di organismi, di cammini spirituali, ma non sanno parlare di Gesù. Sarebbe bello che si domandino: ‘io ho Gesù al centro del cuore, ho perso un po’ la testa per Lui?’”.

“Tutta la nostra esistenza deve gridare il Vangelo”,

scriveva Charles de Foucauld. “E tante volte la nostra esistenza grida mondanità, grida tante cose stupide, tante cose strane, e lui dice no, tutta nostra esistenza deve gridare il Vangelo”, il monito di Francesco ancora fuori testo. “Abbiamo perso il senso dell’adorazione”, la denuncia a braccio: “dobbiamo riprenderlo, cominciando da noi consacrati, vescovi, sacerdoti, suore: perdere il tempo davanti al tabernacolo, riprendere il senso dell’adorazione”.

“Vicino ai preti ci vogliono dei laici che vedono quello che il prete non vede, che evangelizzano con una vicinanza di carità, con una bontà per tutti, con un affetto sempre pronto a donarsi”.

Con questa frase, Charles de Foucauld “anticipa in questo modo i tempi del Concilio Vaticano II, intuisce l’importanza dei laici e comprende che l’annuncio del Vangelo spetta all’intero popolo di Dio”.

“I laici santi, non arrampicatori”, ha precisato il Papa a braccio: “quelli innamorati di Gesù fanno capire al prete che lui non è un funzionario, è un mediatore”. “Quanto bisogno abbiamo di avere accanto a noi laici che credono sul serio, e con la loro testimonianza ci indicano la strada”,

ha esclamato Francesco, che si è chiesto: “come possiamo accrescere questa partecipazione? Come ha fatto Charles: mettendoci in ginocchio e accogliendo l’azione dello Spirito, che sempre suscita modi nuovi per coinvolgere, incontrare, ascoltare e dialogare, sempre nella collaborazione e nella fiducia, sempre in comunione con la Chiesa e con i pastori”.

”San Charles de Foucauld, figura che è profezia per il nostro tempo, ha testimoniato la bellezza di comunicare il Vangelo attraverso l’apostolato della mitezza”, il ritratto finale del Papa, che ha ribadito a braccio: “Non dimentichiamo che lo stile di Dio sono tre parole: vicinanza, compassione e tenerezza. E la testimonianza cristiana deve andare per questa strada. E lui era così, mite e tenero, desiderava che chiunque lo incontrasse vedesse, attraverso la sua bontà, la bontà di Gesù. Diceva di essere, infatti, servitore di uno che è molto più buono di me. Vivere la bontà di Gesù lo portava a stringere legami fraterni e di amicizia con i poveri, con i Tuareg, con i più lontani dalla sua mentalità. Pian piano questi legami generavano fraternità, inclusione, valorizzazione della cultura dell’altro”. “La bontà è semplice e chiede di essere persone semplici, che non hanno paura di donare un sorriso”, ha concluso Francesco: “Col sorriso, con la sua semplicità, fratel Carlo faceva testimonianza del Vangelo: mai proselitismo, testimonianza! L’evangelizzazione non si fa per proselitismo, ma per testimonianza, per attrazione. Chiediamoci allora infine se portiamo in noi e agli altri la gioia cristiana, la tenerezza cristiana, la compassione cristiana, la vicinanza cristiana”

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