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Sinodo. Ruffini: “Testo finale sarà a servizio di un processo che continua”

(Foto Vatican Media/SIR)

M.Michela Nicolais

“Sappiamo bene che questo Sinodo sarà valutato sulla base dei cambiamenti percepibili che ne scaturiranno”. Lo ha detto il card. Jean-Claude Hollerich, relatore generale del Sinodo, nella sua relazione alla dodicesima Congregazione generale, in cui è iniziato il quarto modulo dei lavori del Sinodo, l’ultimo dedicato all’esame dei contenuti dell’Instrumentum laboris, relativo alla sezione B3, dedicata alla partecipazione.

“I grandi media, soprattutto quelli più lontani dalla Chiesa, sono interessati a eventuali cambiamenti su un numero molto limitato di temi”,

ha osservato il cardinale: “Ma anche le persone più vicine, i nostri collaboratori, i membri dei consigli pastorali, le persone che si impegnano nelle parrocchie si stanno chiedendo che cosa cambierà per loro, in una Chiesa che risulta ancora poco sinodale, in cui sentono che la loro opinione non conta e che a decidere tutto sono pochi o uno solo”.

“Una relazione di sintesi, relativamente breve e al servizio di un processo che continua”.

Così Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione per l’informazione, ha definito il testo che la Commissione per il documento di sintesi redigerà a conclusione della prima fase del Sinodo sulla sinodalità, in corso in Aula Paolo VI fino al 29 ottobre. “Si tratta di un testo transitorio, basato sull’esperienza di questa assemblea, dove saranno indicati i punti di consenso e quelli dove c’è mancanza di accordo, le domande aperte che necessitano di un approfondimento d carattere teologico, spirituale e pastorale”, ha spiegato Ruffini: “Non è l’Instrumentum laboris della prossima assemblea, il fine è quello di accompagnare le fasi successive”, ha precisato. Oggi intanto i partecipanti al Sinodo hanno approvato a larghissima maggioranza

una lettera-messaggio “per raccontare a tutto popolo di Dio, soprattutto a chi non è stato ancora coinvolto, l’esperienza che i fratelli e le sorelle, vescovi e non vescovi, hanno vissuto al Sinodo”.

I presenti erano 348, i votanti 346, la maggioranza assoluta era di 175.

“La Chiesa è sempre nuova”, ha spiegato padre Timothy Radcliffe nella sua meditazione in Aula Paolo VI: “Oggi il nostro Dio sta già facendo nascere una Chiesa che non è più principalmente occidentale: una Chiesa cattolica orientale, asiatica, africana e latino-americana. È una Chiesa in cui le donne stanno già assumendo responsabilità e stanno rinnovando la nostra teologia e spiritualità. I giovani di tutto il mondo, come abbiamo visto a Lisbona, ci stanno già portando in nuove direzioni, nel continente digitale”. “Mai come oggi – e per oggi intendo questi giorni drammatici, quando la pace sembra sospesa a un filo – l’umanità ha bisogno di una testimonianza forte e convinta di una Chiesa che sia segno e strumento di pace tra i popoli”. Ne è convinto don Dario Vitali, coordinatore degli esperti teologi.

“I popoli indigeni ci aiutano a comprendere la relazione con l’ambiente e la necessità di curare la nostra casa comune. Ci aiutano ad essere una Chiesa attiva, samaritana, presente, misericordiosa”.

E’ l’omaggio del card. Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo di Manaus (Brasile), che durante il briefing odierno sul Sinodo ha raccontato la “lunga esperienza di sinodalità” vissuta dal suo Paese, con una capitale come Manhaus che vanta due milioni di abitanti e la foresta dell’Amazzonia, “che si sprona a curare maggiormente l’ambiente in questa situazione deplorevole in cui si trova”. “Il Sinodo è un processo”, ha proseguito il cardinale facendo un parallelo tra l’esperienza della Chiesa universale e quella della sua Chiesa locale: “Non stiamo cercando soluzioni, ma esercitando la sinodalità. Tutti siamo coinvolti in questo processo, abbiamo la possibilità di parlare, di esprimerci, sempre tenendo in considerazione la missione del gregge. Per noi l’Amazzonia è un incentivo a continuare in questo cammino che cerca di coinvolgere tutti nel processo di evangelizzazione”.

“La tendenza omosessuale come tale non è un peccato, ma è da considerare un peccato se le persone entrano in un rapporto sessuale tra di loro. Ma questo vale non solo per gli omosessuali: per ognuno è un peccato il rapporto sessuale fuori dal matrimonio. Tutti siamo chiamati alla castità, il Catechismo della Chiesa cattolica è molto chiaro”.

Così mons. Zbigņevs Stankevičs, arcivescovo di Riga (Lettonia), ha risposto alle domande dei giornalisti sul tema della benedizione delle coppie gay, nel briefing odierno. “Se arriva un omosessuale come persona individuale, dicendo che vorrebbe vivere nella grazia di Dio, non vedo alcuna controindicazione nel pregare per lui e aiutarlo con una benedizione. Se arrivano due persone omosessuali che dicono di voler vivere nella castità, si può pregare per loro e anche benedirli per aiutarli a vivere in castità. Ma se vengono due persone omosessuali dicendo di convivere come marito e moglie, è un problema: così benediciamo chi vive nel peccato”. “Come dice il Papa, nella Chiesa c’è posto per tutti: la Chiesa non rifiuta nessuno”, ha osservato il vescovo:

“Dobbiamo accogliere queste persone, non giudicarle, rispettare la loro dignità umana e non discriminarli ingiustamente. Li accogliamo con amore, con rispetto, ma il vero amore non è separabile dalla verità, perché se è separato dalla verità non è più amore vero, diventa permissivismo”. 

Anche mons. Pablo Virgilio S. David, vescovo di Kalookan (Filippine), ha stigmatizzato “la tendenza a giudicare le persone omosessuali: nelle Filippine c’è una stessa parola per uomo e donna, siamo tutti figli di Dio. Occorre abbandonare la tendenza a discriminare le persone per il proprio orientamento sessuale”. Al briefing di oggi ha partecipato anche Wyatt Olivas, testimone del processo sinodale in America del Nord, che con i suoi 19 anni è il più giovane partecipante al Sinodo, da lui definito “molto emozionante, una straordinaria esperienza di ascolto di persone provenienti da ogni parte del mondo”.

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