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Il tema della libertà religiosa in Europa e nel Mediterraneo al centro di un rapporto del Ministero degli Esteri

Cristiani perseguitati (Foto: Acs)

Lucandrea Massaro

“La Turchia è il primo paese per numero di violazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, un primato che non riguarda solo il discorso delle minoranze religiose perché contempla anche tutto un problema di repressione o limitazione di ogni opinione eterodossa e di ogni manifestazione identitaria eterodossa”. Lo ha detto Rossella Bottoni, professore associato alla Facoltà di Giurisprudenza di Trento dove insegna “Diritto e Religione” e “Introduzione al diritto islamico” alla presentazione del rapporto “Religious Minorities in the Euro-mediterranean Space” (ReMinEm), legato al progetto “Atlas of Religious or Belief Minorities”, di cui è anche curatrice. Un’iniziativa finanziata dal Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale (Maeci). Un progetto di analisi che ha coinvolto numerosi studiosi italiani e stranieri, inclusi giuristi e sociologi, la cui missione consiste nel mappare e valutare il grado di rispetto e promozione dei diritti delle minoranze nell’Unione europea. Attualmente, il progetto copre circa un terzo dei paesi dell’Ue e affronta diverse aree tematiche. Il report appena uscito, che si concentra sull’analisi di Francia, Croazia, Cipro Algeria e Turchia, affronta tematiche cruciali come libertà di insegnamento e quelle legate al diritto di famiglia nei paesi in esame.

(Foto: Opam)

Dalla ricerca emerge la conferma della difficoltà nella vita di tutti i giorni per le minoranze religiose in un paese tecnicamente candidato all’ingresso in Ue come la Turchia, tristemente nota per numerose violazioni dei diritti umani e, dopo l’uscita della Russia dal Consiglio d’Europa, divenuto un caso particolarmente critico. Nel rapporto attuale, la Francia è inclusa come esempio di paese che fa della laicità la sua religione civile, mentre la Croazia, scelta anch’essa come realtà capace di favorire il confronto, può vantare un modello giuridico avanzato di promozione delle minoranze. Cipro, con la sua particolare storia di divisione su base religiosa offre un contesto particolarmente interessante in cui le residue influenze giuridiche ottomane si riflettono nella Costituzione. E infine l’Algeria assurta a paese di interesse per l’aumento della sua importanza in virtù del suo ruolo di fornitore di gas all’Italia.

Conoscere al meglio i paesi delle due sponde del Mediterraneo, essendo tutti candidati a diventare partner del nostro Paese per ragioni storiche e commerciali, diventa per l’Italia cruciale e questo spiega l’interesse delle istituzioni in questo tipo di approfondimenti. Ma l’estrema diversità di contesti e situazioni spesso sfuggono alla conoscenza reciproca e quindi è bene capire cosa succede in questi paesi. Un esempio per quello che riguarda le difficili condizioni delle minoranze religiose nel paese nordafricano riguardano le questioni inerenti al diritto di famiglia. “C’è un diritto civile modellato sul diritto islamico – prosegue la professoressa Bottoni – per cui ci sono tutta una serie di problemi. Pensiamo a una cosa banalissima come il desiderio di una coppia cattolica di adottare un figlio, quindi non parliamo – almeno dal punto di vista occidentale – di esigenze che possono compromettere la stabilità dell’ordinamento giuridico, ma di un desiderio di genitorialità. Ecco, questo in Algeria non è possibile perché l’adozione, essendo proibita dal diritto islamico, non è disciplinata dal sistema giuridico nazionale. Una cosa che è emersa nel corso di questo progetto è che per lo Stato democratico è molto più facile proteggere le minoranze etniche, culturali e linguistiche che quelle religiose”.

Questo perché “le minoranze religiose fanno affidamento su norme giuridiche percepite come esterne rispetto al legislatore umano, superiori allo Stato, quindi pongono in essere un diritto che mette in discussione o confligge con il diritto statale” spiega ancora la Bottoni “la vera sfida secondo me è non tanto quindi sul fronte del diritto di famiglia quanto su quello della libertà di educazione da un lato e della conoscenza del fatto religioso, perché sempre di più noi saremo una società plurale e bisogna conoscerci l’un l’altro un pochino meglio”, punto cruciale per superare pregiudizi e paure.

Un dibattito – quello sul multiculturalismo – che emerge anche quando si esamina la situazione di Israele leggendo la stampa di quel paese che prima degli attacchi aveva visto una profonda mobilitazione democratica e che da anni discute al proprio interno sul tipo di società che vuole essere, con continue tensioni tra laici e religiosi, e dove al centro dell’agenda politica c’è anche il tema (complesso) dell’identità ebraica e dei suoi risvolti giuridici. Basti pensare al tema della cosiddetta “Legge del Ritorno” che (in teoria) concede automaticamente accesso alla cittadinanza a tutti gli ebrei, non solo di nascita ma anche per conversione. Sfide accentuate dalle evoluzioni storiche come ad esempio dalla diaspora post-sovietica, dalla difficile integrazione dell’ebraismo di origine etiope nella società israeliana, con la volontà degli ebrei più ortodossi – gli haredim – di accentuare il carattere “religioso” dello Stato a svantaggio di una identità nazionale basata sull’essere “israeliano” piuttosto che “ebreo”.

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