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Imam Pallavicini (Coreis): “Non ci può essere un ‘giorno della rabbia’, siamo uomini di speranza non di tenebra”

(Foto ANSA/SIR)

M. Chiara Biagioni

“Un giorno della rabbia da un punto di vista di chi è veramente religioso e tra questi anche i musulmani, non ci può essere. Noi dobbiamo essere uomini di fede, uomini di speranza, uomini che operano per salvaguardare una visione costruttiva di pace comune”. Va dritto al punto senza tergiversare l’Imam Yahya Pallavicini, vice presidente Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana). Subito dopo il bombardamento dell’ospedale al Ahli a Gaza, Hezbollah ha indetto “un giorno di rabbia senza precedenti” e centinaia di manifestanti hanno risposto alla chiamata in Libano, Giordania, Tunisia, Cisgiordania e Iran manifestando per strada e mirando soprattutto alle ambasciate. Una reazione che ha coinciso in Europa con un picco di allerta che ha coinvolto aeroporti, musei e luoghi di culto, in primis le sinagoghe. Il Sir ha contattato l’imam Pallavicini mentre si trovava a Siviglia per partecipare ad un incontro di imam e rabbini europei per confrontarsi con “i terribili eventi in Medio Oriente” e l’impatto che stanno avendo “in Europa, portando a sfiducia e pregiudizi che possono sfociare nella violenza”. “È tempo per noi di esserci l’uno per l’altro nei momenti difficili. Un attacco contro uno di noi è un attacco contro noi tutti”, si legge nel documento finale che è stato diffuso al termine dell’incontro.

(Foto ANSA/SIR)

Imam, ma cosa si intende esattamente per “giorno di rabbia”?
La rabbia è qualche cosa che fondamentalmente istigano i barbari e i criminali, e persone che vogliono lavare il cervello dei popoli per fare delle rivendicazioni, legittime o illegittime, giustificate o non giustificate. Ma alla fine la rabbia provoca soltanto disordine, e mai porta ad una risoluzione positiva. Si tratta quindi di generare un clima di risentimento che in questo caso andrà solo a aumentare o a scatenare violenza e odio su un clima di violenza e odio.

Le immagini sconvolgenti che stanno trasmettendo da Gaza entrano nelle case e vengono viste dalle masse, anche dalle vostre comunità. C’è il pericolo che quanto sta succedendo possa scatenare un odio antisemita, antioccidentale? Siete preoccupati?
Sì, c’è un rischio soprattutto per quello che le immagini stanno narrando. Sono immagini di distruzione e di morte che provocano sgomento sia perché si abbattono su innocenti sia per la modalità così crudele con cui stanno colpendo la popolazione civile. Ma tutto questo, insieme allo sgomento legittimo, dovrebbe provocare un impegno maggiore a porre fine a qualsiasi tipo di odio e conflitto, fosse anche militare, guerriglia terroristica e ripristinare un processo di dialogo che possa portare ad un piano di comunicazione, civiltà, rispetto e riconoscimento reciproco. La preoccupazione a cui lei faceva riferimento, c’è ed è il motivo per cui rabbini e imam d’Europa si sono riuniti a Siviglia.

C’è la preoccupazione che si possa infiltrare una volontà di conflitto e esportare questa guerriglia persino in Europa.

Quale responsabilità viene consegnata ai leader spirituali e religiosi in questo momento di altissima allerta terrorismo in Europa e in Italia?
La responsabilità che gli imam devono assumersi è ancora più grande rispetto a quella che avevano in tempo di pace. Stiamo purtroppo vivendo un momento di barbarie e di criminalità organizzata su basi terroristiche che distrugge, uccide e rapisce innocenti. A questa barbarie si sta rispondendo con una ritorsione militare da parte dell’esercito dello Stato di Israele. Scopo dei terroristi è strumentalizzare queste situazioni di crisi per mettere gli uni contro gli altri, ebrei contro musulmani. A fronte di questa strumentalizzazione e radicalizzazione, noi dobbiamo invece avere una grande responsabilità di mediazione e garantire a tutti, ai fedeli e ai concittadini, agli ebrei e ai musulmani e ai luoghi di culto degli ebrei e dei musulmani in Europa di vivere in pace.

Ma siete all’altezza di poterlo fare?
Adesso c’è amarezza, c’è sgomento e di conseguenza c’è il rischio che la paura possa generare ritorsioni.

Questo è qualcosa che dal punto di vista religioso, i leader religiosi sanno. Devono pertanto cercare di prevenire, accompagnando verso la luce, non verso le tenebre.

Avete predicato il dialogo per anni e in questi giorni, nel giro di due settimane, sembra essere ritornati al clima di terrore che l’umanità visse dopo l’11 settembre del 2001. Lei come vede questo tempo?
È pericolosissimo rifomentare in tutta la regione della Terra Santa una polarizzazione tra l’identità del popolo israeliano e palestinese e creare un disordine e una ondata a vasto raggio di violenza e di odio. Noi dobbiamo, al contrario, cercare assolutamente di calmare gli animi e prevenire questa deriva. E pregare perché una pace interiore e una luce dell’intelletto possano ancora ispirare le vite dei credenti e dei cittadini tutti insieme.