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Rubrica mamme: la testimonianza di Monia Poli

SAN BENEDETTO DEL TRONTO – “La vera trasgressione è fare una famiglia e mettere al mondo dei figli. Ci vogliono impegno e coraggio, soprattutto per le donne”. – Così diceva la celebre rockstar italiana Vasco Rossi già più di dieci anni fa. Vogliamo allora ascoltare dalle dirette interessate, ovvero le mamme, se e perché abbia ancora senso oggi puntare sulla famiglia e su una genitorialità fatta di amore, sacrificio e responsabilità.
Dopo aver raccontato la storia di Claudia Lo Guasto, Giusy Cataffo, Federica del Centro Famiglia ed Eva Maria Capriotti, incontriamo oggi Monia Poli, sposata con Gilberto, con il quale ha avuto due figli: Emanuel, salito in Cielo a soli quattro anni e mezzo, e Denis, che ha dieci anni. La sua è la storia di una madre che ha perso un figlio, ma non la fede. Una storia che parla di amore e di dolore, di conversione e di fede.

Quando e come è nata la sua famiglia?
Mio marito è originario di Torino, ma per motivi di lavoro nel 1999 è venuto a Castel di Lama, che è la mia città natale. Ci siamo conosciuti e dopo due anni ci siamo sposati in Comune. All’inizio non abbiamo mai pensato di avere dei figli. Eravamo molto impegnati con i nostri rispettivi lavori, viaggiavamo molto e pensavamo di non avere tempo per formare una famiglia, quindi per molti anni siamo rimasti una coppia. Dopo una conversione avvenuta a Medugorje nel 2008, abbiamo deciso di formare una famiglia. È così che nel 2009 è nato Emanuel, nome che significa “Dio con noi”: ci è sembrato il più appropriato per le nostre scelte di vita. Per noi è stata una grande gioia, anche perché io avevo 38 anni e mio marito 51. Nel 2012 abbiamo ricevuto un altro bellissimo dono: sono rimasta incinta del nostro secondo figlio, Denis, il cui nome è stato scelto dal fratello maggiore!
La nostra vita era veramente perfetta in quel momento: il lavoro stava andando bene, la nostra famiglia si stava formando ed eravamo proprio felici. Almeno fino al 24 settembre del 2012, quando, il giorno dopo il suo terzo compleanno, abbiamo scoperto che il nostro primo figlio aveva un tumore al cervello. Ci hanno detto che necessitava di un’operazione urgente, che pertanto è stata effettuata la notte stessa. Lì è iniziato il nostro Calvario, che è durato circa due anni, fino al 1° marzo 2014, quando Emanuel è salito in Cielo.

Come avete vissuto la malattia di Emanuel?
La nostra vita è cambiata completamente. Un caos totale! Nulla era più al suo posto! Non riuscivo più ad organizzare le mie giornate e le mie nottate, spesso insonni. Ho dovuto abbandonare la mia attività di vetrinista, che era e resta la mia passione più grande. Ho dovuto ripensare completamente ai progetti che avevo pianificato per la mia vita. Dopo un intervento all’Ospedale Salesi di Ancona, siamo partiti per l’Ospedale Gaslini di Genova, dove siamo rimasti per dieci mesi. Una vita completamente stravolta da nuovi ritmi che non eravamo noi a dettare. È come se, da un momento all’altro, fossi stata costretta a viaggiare su una carrozza che fino a pochi giorni prima guidavo con sicurezza e determinazione, tenendo le redini della nostra vita ben salde e che, invece, ora, all’improvviso, veniva trascinata con forza da un cavallo imbizzarrito che mi costringeva a sobbalzi violenti, senza una destinazione precisa. Quando è avvenuto questo cambiamento nella nostra vita, io ero incinta di Denis e non ho potuto essere vicino a Emanuel come avrei desiderato. Non potevo essere vicino a lui fisicamente mentre faceva le sedute di chemioterapia, quindi è stato mio marito a tenergli sempre la mano in quelle circostanze. Abbiamo vissuto momenti molto difficili e, a pensarci ora, non so neanche come abbiamo fatto a superarli. So solo che, ad un certo momento, ci siamo affidati a Dio, completamente. Spesso giravo con il Rosario in mano, tanto che qualcuno mi prendeva anche in giro! Mentre io ero molto credente già da prima, per mio marito questo affidamento non è avvenuto subito ed è stato anche faticoso. Dopo momenti di sconforto, sfiducia, paura del futuro, però, siamo riusciti nei mesi successivi a vivere la malattia di Emanuel come una grazia: abbiamo ricevuto la vicinanza delle comunità parrocchiali da noi frequentate, quelle della Santissima Annunziata e della Sacra Famiglia di Porto d’Ascoli e quella di Villa Lempa, sia a livello spirituale che materiale. Le spese da affrontare erano molte, ma la Provvidenza si è manifestata attraverso tante persone care. È stato solo grazie a loro che siamo riusciti ad accettare anche la morte di Emanuel.

Come la fede l’ha aiutata ad accettare la morte di suo figlio?
La nostra conversione non è avvenuta dall’oggi al domani, bensì attraverso un percorso lento. Già a Medugorje, nel 2008, dopo un discernimento profondo e maturo, avevamo orientato le nostre vite verso una fede più adulta.
Un mese dopo la salita in Cielo di Emanuel, nostro figlio Denis aveva un anno. Abbiamo celebrato, in sua memoria, una Messa che sembrava quasi una festa. Abbiamo addobbato di palloncini la chiesa, abbiamo invitato i clownterapisti che assistono i piccoli malati oncologici ed abbiamo preparato delle torte per un momento di convivialità dopo la celebrazione. Volevamo dare dei messaggi forti a tutti, in primis a noi stessi: non piangere perché Emanuel non c’era più, bensì ringraziare il Signore per la gioia di averlo avuto con noi per quattro anni e mezzo; non disperare per la sua mancanza, bensì pensare a dare una luce di speranza alla nostra vita e a quella di Denis e degli altri bambini; non far vivere la morte come un momento di tragedia in cui la distruzione ha l’ultima parola, bensì come un passaggio ad una vita nuova, fatta di Luce e Amore. Abbiamo detto a Denis che da un mese, in Cielo, c’era un angelo in più a proteggerlo e a custodirlo. Solo il nostro affidamento al Signore ci ha condotto a questa disposizione d’animo. Solo con le nostre forze non ce l’avremmo fatta. Ancora adesso, che sono passati quasi dieci anni, riusciamo a ricordare con tanta dolcezza e tenerezza Emanuel e, allo stesso tempo, a crescere Denis facendogli guardare il futuro con una luce di speranza e fiducia.
La morte di nostro figlio, sebbene in un primo momento ci abbia messo duramente alla prova, tuttavia ci ha unito maggiormente e ha cambiato profondamente il cuore di mio marito. Nel 2017, dopo vari ripensamenti e falliti tentativi, abbiamo deciso di unirci in un matrimonio cristiano. Ci siamo sposati a Villa Lempa con don Stefano Iacono.

Come è oggi la sua vita?
Sono prima di tutto una moglie e una madre soddisfatta. La mia famiglia viene prima di tutto, anche del lavoro. Accompagno mio figlio Denis nella sua crescita con amore e dedizione, ma soprattutto con fiducia. Cerco, insieme a mio marito, di dargli una formazione cristiana adeguata: attraverso la scelta dell’istituto di istruzione e delle associazioni sportive che frequenta, ma anche e soprattutto attraverso la nostra testimonianza di vita, perché credo che l’esempio trascini molto più di qualsiasi discorso.
Vivo in una comunità accogliente, attiva e piena di iniziative, come quella della Santissima Annunziata, guidata da don Alfredo Rosati, e sono circondata dall’affetto di molte persone, anche di altre comunità parrocchiali, come quelle guidate da don Stefano Iacono, don Dino Straccia e don Francesco Ciabattoni. Mi sento parte di una Chiesa in cammino, una Chiesa viva, accogliente, generosa e aperta ai fratelli. Viste le mie capacità come vetrinista, offro qualche servizio nelle parrocchie quando posso, in base alle mie disponibilità, cercando di restituire quello che ho ricevuto: affetto, vicinanza, sostegno.
Non dico che la fede risolva i problemi, ma certamente aiuta ad affrontarli con coraggio, dignità e speranza. Ad oggi ho smesso di fare programmi a lungo termine per la mia vita. Ho imparato che tutto può cambiare da un momento all’altro e che è inutile affannarsi per cose di poco conto. Ho capito che solo Gesù ci salva. A qualcuno questo può sembrare un po’ semplicistico e poco pratico, ma la vita mi ha insegnato che invece tutto possiamo, se Cristo è con noi.