DIOCESI – Lectio delle Sorelle Clarisse del Monastero Santa Speranza di San Benedetto del Tronto.
Dopo le parabole presentateci nelle scorse domeniche, da oggi, il racconto dell’evangelista Matteo ci propone una serie di dispute in cui i farisei, i sadducei e gli erodiani sottopongono a Gesù alcune delle questioni più scottanti del momento.
Sia chiaro: a nessuno di questi interessa il parere di Gesù, vogliono solo trovare il pretesto per puntare il dito contro di Lui.
«Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità. Tu non hai soggezione di alcuno perché non guardi in faccia a nessuno. Dunque, dì a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?».
Gesù, qualunque sia la sua risposta, è perduto: se si pronuncia contro il versamento del tributo, gli erodiani lo denunceranno come pericoloso agitatore di folle; se si dichiara favorevole al pagamento, cesserà di apparire agli occhi del popolo come l’atteso Messia. E’ come se gli chiedessero: Gesù, tu con chi stai? Sei un collaborazionista o sei un sovversivo?
Certo, non si tratta solo di una questione politico-economica, ma si tratta soprattutto di una questione religiosa: riconoscere un altro come signore significa tradire la fede in Dio.
Gesù, però, cambia direzione, dando una risposta che muta il verbo “pagare” utilizzato dai farisei in “restituire”.
Ascoltiamo: «” Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”».
Se avessimo tra le mani quella moneta romana capiremmo molto di più; il profilo dell’imperatore non era un semplice omaggio al “cesare” di turno ma indicava la proprietà; egli era il proprietario di quell’oro e chi l’aveva in mano ne era solo possessore temporaneo. “Questa moneta appartiene a Cesare, non dovete far altro che restituirgliela“, dice Gesù. Ma non termina così la sua risposta.
Se la moneta va restituita a Cesare perché porta la sua immagine, allora l’uomo va restituito a Dio perché è stato creato a immagine di Dio: restituire noi stessi e la nostra vita con tutto quello che abbiamo nel cuore, nella mente, nella volontà, nei desideri.
Cerchiamo di capire meglio: poiché uno solo è il Signore di tutta la terra, non è un problema dare ad altri ciò che spetta loro (tasse, rispetto delle leggi, lavoro…) purché si dia a Dio ciò che, invece, spetta a Lui, anzi, purché tutto ciò che si dà agli altri si dia come servi di Dio: cercando, cioè, la giustizia, prendendosi cura degli altri, rispettando il bene di tutti, testimoniando la bellezza dell’amore fraterno.
Non si tratta di essere impeccabili e inappuntabili, perfetti conoscitori della teologia e di tutte le devozioni: basta guardare, lo leggiamo nella prima lettura, all’esempio di Ciro, re pagano al servizio di Dio senza nemmeno saperlo, quasi a dire che Dio può esercitare il suo regno di vita sul mondo tramite ogni essere umano che viva secondo giustizia e faccia bene ciò che è chiamato a fare, anche se questa persona nemmeno lo conosce il Signore. Ciò che è necessario è lo spendersi amando, portando cioè impressa nel nostro povero vivere quotidiano l’immagine dell’amore di Lui.
Ciò che facciamo ci fa vedere chi serviamo, ce lo conferma la prima lettera di Paolo alla comunità di Tessalonica: che il Vangelo sia stato accolto da questi uomini e da queste donne si vede nell’operosità della loro fede, nel fatto cioè che il loro credere si traduce in opere; si vede nella fatica della loro carità, perché chi crede, ama e amare non è mai una dichiarazione di intenti ma un fattivo spendersi per il bene degli altri; si vede nella fermezza della loro speranza in mezzo alle tante vicissitudini positive e negative della vita.
Siamo uomini e donne di Dio. E Gesù, oggi, ci chiede di non iscrivere appartenenze nel cuore che non siano Lui!