(Foto ANSA/SIR)

Daniele Rocchi

Ancora una telefonata di Papa Francesco al parroco di Gaza, padre Gabriel Romanelli, per esprimere vicinanza e affetto “a tutta la parrocchia latina della Sacra Famiglia di Gaza”. A rivelarlo al Sir è lo stesso parroco, religioso dell’Istituto Verbo Incarnato (Ive), bloccato a Betlemme a causa della guerra e ansioso di tornare tra i suoi poco più di 100 parrocchiani. I cristiani a Gaza contano poco più di 1000 fedeli, dei quali solo un centinaio sono i cattolici, la maggioranza è greco-ortodossa e fa capo alla parrocchia di san Porfirio. “Il Pontefice mi ha chiamato ieri sera – racconta padre Romanelli – e ancora una volta, come in altre precedenti telefonate, ci ha voluto esprimere tutta la sua vicinanza. Mi ha ribadito che siamo sempre nelle sue preghiere e ha impartito la benedizione a tutti i fedeli. Non ha mancato di esprimere anche la sua preoccupazione per quanto sta avvenendo ma ci ha incoraggiato ad andare avanti, a stare vicino alla comunità e soprattutto – cosa che ripete sempre – a proteggere i bambini. Ci ha invitato ad usare l’unica ‘arma’ nelle nostre mani per promuovere la pace: la preghiera. Pregare e stare sempre in comunione con lui e con la Chiesa”.

Gaza, fedeli in preghiera (foto parrocchia latina)

In gabbia. La parrocchia della Sacra Famiglia di Gaza, l’unica cattolica della Striscia, sin dai primi momenti successivi all’attacco del 7 ottobre e alla conseguente reazione israeliana, ha aperto le proprie porte a chi ha perso casa e lavoro, e soprattutto amici e parenti. Nella parrocchia, aggiunge il parroco, “ci sono oltre 500 persone. Siamo pieni di cristiani. I religiosi e le religiose si danno da fare per aiutare i fedeli più in difficoltà. Molti di loro hanno perso la casa sotto le bombe, non hanno più lavoro. Piangono anche la perdita di parenti e amici. Nel compound ci sono anche anziani, malati e disabili gravi. Sappiamo bene che una volta finita la guerra – speriamo presto – la vita non riprenderà come si vorrebbe. Nella gabbia in cui viviamo siamo circondati da macerie”. Sale insistente, tra i fedeli, la domanda: “Quando tutto sarà finito dove andremo? Ci sono tante famiglie – ricorda il parroco – che hanno bambini, a loro va tutto il nostro aiuto concreto e spirituale. In questo momento la priorità è avere salva la vita. I continui raid e lanci di razzi, la strage all’ospedale anglicano, non fanno che aumentare paura e tensione”.

Parrocchia Sacra Famiglia, Gaza (Foto Parrocchia latina)

Resteremo in parrocchia. Alle parole del parroco fanno eco quelle, direttamente da Gaza, di suor María del Pilar Llerena, dell’Istituto del Verbo Incarnato (Ive) Serve del Signore e della Vergine di Matarà. “Durante la notte si sono registrati sporadici bombardamenti nella nostra zona. Molti di noi sono riusciti a riposare un po’. Grazie a Dio stiamo piuttosto bene”. La religiosa ci tiene a ribadire al Sir che “non abbandoneremo la parrocchia. Non andremo via da qui e non usciremo dalla Chiesa. Sbaglia chi pensa di attaccare la parrocchia una volta che saremo usciti, perché noi resteremo qui, in ginocchio davanti al Santissimo. Questa è la nostra casa e qui ci sentiamo al sicuro”.

Il compound parrocchiale si trova ad al-Zaytoun, uno dei quartieri di Gaza city presi di mira in questi giorni dai raid israeliani. Sarebbero più di 20 le case di civili cristiani distrutte dai bombardamenti, oltre a quelle parzialmente danneggiate. Nonostante questo la comunità cristiana ha scelto di non evacuare verso il sud della Striscia come intimato dall’esercito israeliano. Nella parrocchia greco-ortodossa di san Porfirio, non distante da quella latina, ci sarebbero almeno altri 200 fedeli sfollati.

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