M.Michela Nicolais
Questa mattina è stata presentata ai membri del Sinodo la bozza della relazione di sintesi, che concluderà la prima sessione del Sinodo dei vescovi sulla sinodalità. Lo ha riferito ai giornalisti Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero per la comunicazione della Santa Sede e presidente della Commissione dell’informazione, nel briefing odierno in sala stampa vaticana. I 35 Circoli Minori hanno presentato i “modi” sullo schema della relazione di sintesi, per integrazioni e modifiche del testo, che poi sono stati consegnati alla Segreteria generale. “La Commissione per la relazione del documento di sintesi ha condiviso alcuni criteri di base del documento”, ha riferito Ruffini:
“quello finale sarà sottoposto al Papa nell’ottobre 2024, quello di adesso è invece un documento transitorio, per aiutarci a capire dove siamo, fare memoria di cosa si è detto in queste quattro settimane di discernimento e riavviare un processo circolare che continuerà fino all’anno prossimo”.
La relazione di sintesi che sarà votata sabato pomeriggio “sarà un documento di circa 40 pagine – ha anticipato Ruffini – che certo non potrà contenere ogni dettaglio, ma indicherà i punti dove il discernimento è andato più avanti e quello dove deve andare più in profondità. Il linguaggio sarà discorsivo, per incoraggiare tutto il popolo di Dio, chi è già in cammino e chi vuole intraprendere o continuare questo cammino. Questa esperienza di sinodalità vuole farci comprendere e apprendere come camminare insieme, come cercare soluzioni insieme senza escludere nessuno e senza cedere alla tentazione del clericalismo”. Alla prossima sessione del Sinodo, tra un anno esatto, parteciperanno gli stessi membri.
“La sinodalità ha fatto vedere che esiste un metodo con cui si può progredire non solo nella vita della Chiesa, ma anche sulle questioni delle guerre e dei conflitti mondiali, su tutto quello che umanamente si può evitare in modo pacifico”.
Ne è convinto mons. Stanislaw Gadecki, arcivescovo metropolita di Poznan e presidente della Conferenza episcopale polacca, che si è detto “sorpreso della metodologia adottata, che di fatto ha potuto evitare le discordie”. “Parlando con gli esponenti delle altre denominazioni cristiane e con i non credenti – ha testimoniato – abbiamo capito che si poteva progredire non nel senso dell’aggressione, dell’esposizione dei propri sentimenti, ma su ciò che di buono può scaturire dal processo intrapreso. Anche quando c’erano differenze, i discorsi erano del tutto pacifici: non si cercavano i punti di attacco. Il metodo introdotto durante questo Sinodo ha pacificamente portato qualche esperienza che può essere utile anche per il mondo”. Il processo sinodale, infatti, per Gadecki “è tendenza verso l’unità, rispettando la diversità delle confessioni, degli spiriti, delle culture. Raramente negli incontri umani si evitano discordie tra posizioni differenti, invece ciò che mi ha meravigliato del metodo adoperato è che, non soltanto durante questa assemblea sinodale qui a Roma ma già all’inizio, abbiamo prima potuto esprimere le nostre idee, poi ascoltare le idee degli altri e alla fine, grazie anche ai momenti di preghiera e di silenzio, abbiamo scoperto che esiste un modo di parlare con l’aiuto dello Spirito Santo che può portare discussione pacifiche in questo mondo”.
“Il processo sinodale deve essere ecumenico, e il cammino ecumenico deve essere sinodale”,
ha spiegato il card. Kurt Koch, prefetto del Dicastero per la Promozione dell’Unità dei Cristiani: “c’è una reciprocità tra ecumenismo e sinodalità. Tutti i battezzati sono invitati a testimoniare l’amore per la fede cristiana. L’ecumenismo è nato come movimento missionario nel 1910, con la prima assemblea missionaria ad Edimburgo. Ecumenismo e missione vanno insieme”. Concetto, questo, rafforzato anche da Catherine Clifford, docente di teologia alla Saint Paul University di Ottawa e segretaria della Confederazione mondiale delle Chiese metodiste, che ha fatto notare come “tutto il movimento ecumenico è un movimento di riforma della Chiesa”: “Il nostro lavoro è esaminare noi stessi costantemente e capire cosa va rinnovato nella vita della Chiesa. Papa Francesco, nell’Evangelii gaudium, ci ha chiesto una conversione pastorale missionaria per capire cosa rinnovare nella Chiesa e come portare avanti la sua missione in modo più efficace. È questo che stiamo facendo in questo processo sinodale: guardiamo alle strutture e alle pratiche per capire cosa va rinnovato”. “Sono secoli che nella Chiesa ortodossa la sinodalità è un fatto”, ha ricordato Sua Eminenza Iosif, metropolita ortodosso romeno dell’Europa occidentale e meridionale, mettendo in evidenza “la fraternità che da un secolo si sta costruendo tra i cristiani del mondo intero: siamo passati dai rapporti tesi e dalla ricerca delle divisioni alle relazioni fraterne, dove cerchiamo quello che ci unisce. L’essere stati invitati a questo Sinodo è la dimostrazione che cerchiamo tutti insieme quello che ci unisce, ciò che abbiamo in comune”. L’esempio citato è quello dell’Italia, dove la Chiesa cattolica “accoglie molti ortodossi di Romania e presta più di 300 chiese per le parrocchie, con una vera collaborazione su tutti i piani. L’ecumenismo avviene alla base: ci sono molte famiglie miste che si sono formate in Europa e nel mondo dove protestanti, ortodossi e cattolici formano delle famiglie. Ci invitano ad avere maggiore dialogo e ad andare oltre le divisioni, sviluppando un dialogo che deve essere sempre più intenso tra tutti i cristiani”. Opoku Onyinah, già presidente della Chiesa pentecostale del Ghana, ha definito l’invito al Sinodo come “un atto di umiltà del Papa e della Chiesa cattolica. È stato un processo molto trasparente e aperto, che ha garantito pari opportunità di condividere la propria spiritualità e i propri punti di vista”.
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