“La nostra Assemblea si è svolta mentre nel mondo infuriano vecchie e nuove guerre. Il grido dei poveri, di chi è costretto a migrare, di chi subisce violenza o soffre le devastanti conseguenze dei cambiamenti climatici e tutti, abbiamo portato in ogni momento, nel cuore e nella preghiera, chiedendoci in che modo le nostre Chiese possano favorire cammini di riconciliazione, di speranza, di giustizia e di pace”.
Si apre con queste parole la Relazione di Sintesi approvata e pubblicata ieri dalla XVI Assemblea generale del Sinodo sulla sinodalità. Un documento di circa 40 pagine suddiviso in tre parti, che traccia la strada per il lavoro da svolgere nella seconda sessione del 2024 e dalle quali emerge un rinnovato sguardo al mondo e alla Chiesa e alle loro istanze.
Tutto parte dall’arte dell’ascolto, tema centrale del sinodo, che anziché suscitare confusione o preoccupazione, apre alla sinodalità cioè a quella capacità “di essere Chiesa che articola comunione, missione e partecipazione”. Ed è appunto la sinodalità il tema della prima parte del documento, nella quale oltre a descrivere l’esperienza vissuta dai padri sinodali, vengono toccati temi importanti e cruciali per la vita della Chiesa. A cominciare dal servizio al mondo senza limiti di sorta, e poi l’iniziazione cristiana ma soprattutto i poveri.
L’opzione per i poveri e gli scartati è per la Chiesa una “categoria teologica”.
Essi infatti “chiedono alla Chiesa “amore” inteso come “rispetto, accoglienza e riconoscimento”, ribadisce il documento, che identifica come poveri anche migranti, indigeni, vittime di violenza, abuso (in particolare donne), razzismo e tratta, persone con dipendenze, minoranze, anziani abbandonati, lavoratori sfruttati. Il testo si concentra ancora su migranti e rifugiati indicandoli quale “fonte di rinnovamento e arricchimento per le comunità che li accolgono e un’occasione per stabilire un legame diretto con Chiese geograficamente lontane”. Per questo, di fronte agli atteggiamenti sempre più ostili nei loro confronti, il Sinodo invita “a praticare un’accoglienza aperta, ad accompagnarli nella costruzione di un nuovo progetto di vita e a costruire una vera comunione interculturale tra i popoli”. Il tutto nel rispetto “per le tradizioni liturgiche e le pratiche religiose”, come pure per il linguaggio. Ed è in questo contesto che i padri sinodali sottolineano la necessità di combattere razzismo e xenofobia attraverso specifici programmi di formazione pastorale basati “sull’educazione alla cultura del dialogo e dell’incontro”.
Sempre facendo riferimento al tema, il documento si sofferma quindi sui recenti conflitti che hanno causato il flusso di numerosi fedeli dell’Oriente cattolico sull’Est Europa e, “in nome della sinodalità” lancia alle Chiese locali di rito latino l’appello affinché queste “aiutino i fedeli orientali emigrati a preservare la loro identità”, senza subire “processi di assimilazione” (6 c). Sul fronte dell’ecumenismo il testo parla di “processi di pentimento” e “guarigione della memoria” (7 c), e si rilancia la proposta di un martirologio ecumenico (7 o).
Alla sinodalità si affianca la “Missione“, argomento della seconda parte che si sofferma su aspetti più “ad intra” della vita della Chiesa ”. Temi di grande rilievo e importanza e per i quali è necessario che “le comunità cristiane condividano la fraternità con uomini e donne di altre religioni, convinzioni e culture, evitando da una parte il rischio dell’autoreferenzialità e dell’autoconservazione e dall’altra quello della perdita di identità”. Temi che richiedono l’avvento di un nuovo “stile pastorale”, indispensabile, a parere di molti, per rendere “il linguaggio liturgico più accessibile ai fedeli e più incarnato nella diversità delle culture”..
Nel testo si guarda con stupore poi alla ricchezza e alla varietà delle diverse forme di vita consacrata mettendo allo stesso tempo in guardia i figli della Chiesa dal pericolo legato al “perdurare di uno stile autoritario, che non fa spazio al dialogo fraterno” spesso fonte di casi di abuso e violenza e che “richiede interventi decisi e appropriati”. Dai padri sinodali poi la gratitudine ai diaconi “chiamati a vivere il loro servizio al Popolo di Dio in un atteggiamento di vicinanza alle persone, di accoglienza e di ascolto di tutti”, ma anche l’invito a non cadere nel clericalismo che rappresenta la “deformazione del sacerdozio”. Un atteggiamento da contrastare “fin dalle prime fasi della formazione” puntando su “un contatto vivo” con il popolo e i bisognosi. Nel documento si accenna anche all’annoso tema del celibato accompagnato, nel corso dell’assemblea, da valutazioni diverse. Un tema non nuovo – ricorda il testo – di cui “tutti ne apprezzano il valore carico di profezia e la testimonianza di conformazione a Cristo, ma che richiede di essere ulteriormente ripreso”. Ampia infine la la riflessione sulla figura e sul ruolo del vescovo, chiamato a esercitare la “corresponsabilità”, intesa come il coinvolgimento di tutte le altre componenti interne alla diocesi e al clero. Una partecipazione al ministero episcopale che permetta di alleggerire il “sovraccarico di impegni amministrativi e giuridici” che rischiano di limitare la missione del vescovo che “non sempre trova sostegno umano e supporto spirituale” e per questo “non è rara l’esperienza sofferta di una certa solitudine”.
La terza parte punta sulla formazione. “Il Santo Popolo di Dio – si legge nel testo – non è solo oggetto, ma è prima di tutto soggetto corresponsabile della formazione” e “la prima formazione, di fatto, avviene in famiglia”. Ed è probabilmente sulla base di uno stile familiare che i padri sinodali invitano coloro che hanno un ministero nella Chiesa, a svolgerlo “con la sapienza dei semplici in un’alleanza educativa indispensabile alla comunità. È questo il primo segno di una formazione intesa in senso sinodale”. Una formazione che tenga conto in primis delle esigenze dei giovani, in particolare nella necessità di “approfondire il tema dell’educazione affettiva e sessuale, per accompagnarli nel loro cammino di crescita”, ma anche “per sostenere la maturazione affettiva di coloro che sono chiamati al celibato e alla castità consacrata”. Nel documento si chiede anche di approfondire il dialogo con le scienze umane. Una collaborazione che permetta di sviluppare tutte quelle “questioni che risultano controverse anche all’interno della Chiesa”: dall’identità di genere e all’orientamento sessuale al fine vita; dalle situazioni matrimoniali difficili alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale”. Realtà sempre più presenti che pongono alla Chiesa “domande nuove”, per questo, aggiungono i padri sinodali, “è importante prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che rischiano di ferire le persone e il Corpo della Chiesa”. A tal proposito però, ricordano al tempo stesso che “molte indicazioni sono già offerte dal magistero e che attendono solo di essere tradotte in iniziative pastorali appropriate”. Su questi presupposti giunge quindi dall’Assemblea del sinodo l’invito ad un rinnovato ed “autentico” ascolto nei confronti delle “persone che si sentono emarginate o escluse dalla Chiesa, a causa della loro situazione matrimoniale e dell’identità e sessualità”. Persone che “chiedono di essere ascoltate, accompagnate e rispettate, senza temere di sentirsi giudicate” e nei confronti delle quali ” i cristiani non possono mancare di rispetto per la dignità di nessuna persona.
Dai padri sinodali infine un affondo anche sull’attualità e la diffusione della Cultura digitale. Nella Relazione si incoraggia il popolo di Dio a “raggiungere la cultura attuale in tutti gli spazi in cui le persone cercano senso e amore, compresi i loro telefoni cellulari e tablet”. Un monito dai padri anche sui pericoli presenti nel web, perché internet “può anche causare danni e ferite, ad esempio attraverso bullismo, disinformazione, sfruttamento sessuale e dipendenza”. Per questo, secondo l’Assemblea è importante “riflettere su come la comunità cristiana possa sostenere le famiglie nel garantire che lo spazio online sia non solo sicuro, ma anche spiritualmente vivificante”.