Filippo Passantino
Un lavoro poco dignitoso, con ampie sacche di sfruttamento e a sprazzi irregolare. Il lavoro delle persone migranti a Roma assume questi tratti, secondo la ricerca realizzata dagli studenti della Facoltà di Scienze Sociali inseriti nel programma Strong+ dell’Università Angelicum, sotto la guida di fra’ Roberto Bongianni.
Attraverso una ricerca quantitativa è stata tratteggiata la condizione dell’occupato migrante. La ricerca è durata 10 mesi ed è stata effettuata su un campione di circa 400 lavoratori migranti – per un popolazione di lavoratori migranti nella Capitale pari a circa 219.000 persone – a cui è stato somministrato un questionario di 35 domande. Questionario suddiviso in 5 ambiti di interesse, che declinano il lavoro dignitoso: formazione e crescita (opportunità di carriera), aspetti economici e contrattuali, il rapporto tra vita privata e famiglia; parità e discriminazione e, infine, tutela e sicurezza (contributi previdenziali). Misurando i dati di soddisfazione indicati da chi ha compilato il questionario, emerge un “quadro problematico”, “più problematico di quello degli italiani”. Ogni indicatore ha presentato 5 fasce di valutazione: dignitoso, tollerabile, mediocre, insoddisfacente e indecente.
Così su 100 lavoratori migranti solo il 6.7% raggiunge la soglia di un lavoro dignitoso, mentre il 26.4% la soglia di tollerabilità, il 31.3% per cento la mediocrità, per il 26.4% il lavoro è insoddisfacente e per il 9.1% indecente.
Dimensione etica del lavoro. Lo studio ha avuto l’obiettivo di offrire una misura del “decent work” concetto importante per definire le condizioni del lavoro dignitoso, già presente oggi negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, e nella riflessione del magistero sociale della Chiesa cattolica. Lo studio nasce dalla volontà di fare emergere il sentito dire, e poter esprimere in senso oggettivo una misura di alcuni aspetti – spiega fra’ Roberto Bongianni -. Il lavoro è particolarmente importante perché associato alla dignità della persona, su un ambito problematico anche per gli italiani”.
“Volevamo dare una misura del disagio che vive il lavoro migrante in modo da far uscire questo fenomeno dal sentito dire e far parlare i numeri. Avendo dati oggettivi si possono sollevare i problemi in modo che i responsabili possano adottare politiche adeguate per migliorare la condizione”.
Regolarità e controlli. I dati si soffermano anche su alcuni aspetti che permettono di andare più a fondo per capire la situazione di disagio: più del 48% delle persone intervistate non ha mai ricevuto un corso di formazione. “Purtroppo non si investono risorse nell’ambito della formazione e della crescita sul lavoro migrante. Queste persone non frequentano corsi di questo genere ed è preoccupante, perché ad esempio i corsi di formazione sulla sicurezza sono obbligatori. Emergono quindi diverse irregolarità nel rispetto delle normative sul lavoro”. E, ancora, il 41.7% per cento di lavoratori migranti vive sotto la soglia della povertà che l’Istat indica per Roma, in 1.049 euro. “La povertà oggi è diffusa, ma i dati evidenziano come il problema sia presente anche nel mondo del lavoro, e soprattutto dei lavoratori migranti”. Il 13% per cento di loro lavora più di 50 ore a settimana, il 20% non riesce ad usufruire delle ferie, al 12% non viene riconosciuto il diritto al riposo. Il 29% è pagato sempre e solo in contanti, “altro segno evidente di una chiara condizione di illegalità”.
Dal punto di vista della parità e del rispetto. Emerge il dato significativo di come sia ancora presente un problema di discriminazione razziale che affligge soprattutto coloro che provengono dall’Africa e dall’America Latina. Aree di provenienza che restano relegate a condizioni di lavoro insoddisfacenti in rapporto alla dignità con salari medi orari netti spesso inferiore ai 5 euro l’ora. L’ultimo ambito quella della tutela e sicurezza evidenzia una bassa adesione a partecipare ai sindacati (solo il 14%); mentre nell’ambito previdenziale il 18% non sa nulla della propria posizione contributiva, mentre il 10% è sicuro che il datore di lavoro non ha mai versato contributi previdenziali.
Per concludere dalla ricerca emerge come il contratto tipico, quello a tempo indeterminato (il 50,9% del campione ha un contratto a tempo indeterminato), sia lo strumento migliore, ma non sufficiente, ad assicurare una condizione di dignità, mentre con altre forme contrattuali (contratti in somministrazione, a chiamata, soci in cooperative) la situazione si presenta compromessa. L’occupazione dei lavoratori stranieri a Roma riguarda soprattutto piccole e medie imprese, all’interno delle quali non è prevista una rappresentanza sindacale, e dove è anche difficile e costoso esercitare controlli; per tale ragione è necessario favorire per i migranti che lavorano percorsi di tutela e legalità più accessibili ed efficaci.