Cristiana Dobner
L’Altissimo ha promesso. Per Lui promettere significa giurare cioè non recedere mai da quanto ha detto, indefettibilmente. La promessa è benedizione, non un gesto isolato oppure un’invocazione quasi lasciata cadere, benedire significa chiedere all’Altissimo di essere scortati in ogni passo dell’esistenza dalla sua Presenza, attiva e pulsante, perché tutto si volga sempre guardando il bene di ogni singola persona e di tutto il popolo.
Noi siamo tutti benedetti. Si crea fra di noi un’osmosi in cui ci comunichiamo il dono ricevuto e questo, più viene comunicato, più viene condiviso, più paradossalmente cresce e si sviluppa. Ben al contrario di ogni calcolo umano o legato al business.
Non possiamo benedire il volto di ciascuno e ciascuna con cui camminiamo nel nostro pellegrinaggio terreno, ci sfugge. Quelli che ci sono più vicini invece li vediamo.
Ebbene, la forza prorompente della benedizione scardina tutto e ci consente di vedere tutti e ognuno. L’Altissimo ci rende partecipi del suo folle amore.
Ognuno al suo posto, ognuno nel suo ruolo: non conta la preminenza, non il valore dei like o dei followers, conta che ciascuno penda solo da Lui per il bene di tutti.
Allora quella corrente trinitaria che, almeno a sprazzi, si fa percepire, può dilagare e raggiungere ognuno in quel posto che Egli stesso gli ha assegnato.
Francesco si è visto assegnare un posto e un ruolo a cui nessuna persona sana di mente desidererebbe ambire, anche perché ben osservato tutto, da un punto di vista umano, c’è di meglio e di più comodo.
Egli ne è ben cosciente perché asserisce: “Per favore, vi chiedo di giudicare con benevolenza. E di pregare perché il Papa – chiunque sia, oggi è il mio turno – riceva l’aiuto dello Spirito Santo, sia docile a questo aiuto”.
Benevolenza non significa chiudere gli occhi ed accettare qualsiasi decisione o proposta a priori perché lo ha detto il Papa, significa entrare in una dinamica di grazia, di comunicazione dell’Amore Trinitario, notoriamente folle e straripante, che ha uno sguardo più ampio e chiede a chi vuole vivere e testimoniare il Vangelo, di guardare al Pastore – di turno! – come a Colui che riceve una benedizione che lo supera.
Se noi tutti, come Chiesa, come popolo in cammino, non perché riteniamo Francesco il vertice della piramide oppure perché assiso su di un trono, ma proprio perché Egli è il Pastore che rischia la sua vita e la spende, istante per istante, invece di starsene comodo a guardare che cosa e come gli altri operano, se noi tutti non ci sentiamo a Lui vicini, ebbene non abbiamo accolto la pienezza della benedizione che risulta scarsa e, forse, anche poco efficace.
Se ci chiede un favore, chiaramente avverte il peso del suo quotidiano e della gravità del suo pensiero e del suo agire che potrebbe non seguire la benedizione se lasciato solo e non percepire la “docilità” che, noi tutti, intercedendo possiamo comunicargli.
Ogni Pastore, incominciando da Pietro, ha avuto scolpito il suo volto dalla sua ascendenza umana ma, più realmente, dallo Spirito Santo.
Certo, di volto in volto, di impresa in impresa, talvolta anche traballante, ma sempre nella grande corrente della benedizione.
Francesco ha il Suo volto, doniamogli benedizione continua perché i suoi tratti siano quelli voluti dallo Spirito. In fin dei conti al povero uomo che si ritiene non resta che un gesto di enorme portata e di sicuro successo, lo ha affermato proprio Lui: C’est la confiance!, seguendo Teresa di Gesù Bambino. Non da solo: con tutti noi all’unisono.
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