Di Alberto Campoleoni

Si può pensare che i nostri ragazzi, le generazioni più giovani, gli studenti delle scuole, siano immuni al tema della violenza?
Evidentemente no. Non solo perché soprattutto in questi mesi – con la terribile vicenda della guerra in Ucraina che ormai si trascina senza che si immagini una fine e con la scioccante esplosione di crudeltà, odio e sangue in Israele – la violenza è una ingombrante vicina di casa per tutti, capace di catalizzare l’attenzione e di offuscare gli sguardi dei più. Ma anche perché i modelli culturali che sembrano prevalere nella nostra società fanno di competizione e talvolta di sopraffazione luoghi comuni che finiscono per essere accettati.
Vince il più forte. Conta arrivare primi, non importa come. E’ importante il successo.
Sono temi che spesso dibattono i pedagogisti, che da anni riflettono sulla necessità di potenziare le risorse di inclusività, di dialogo, di collaborazione e condivisione che proprio il mondo della scuola può mettere in campo, non solo per l’obiettivo immediato di “far crescere” i più giovani, ma con la prospettiva di costruire una società migliore, cose evidentemente collegate tra loro.
Tuttavia è innegabile che una tale immersione in contesti difficili possa produrre una cultura diffusa capace di condizionare a fondo le persone e a maggior ragione i più giovani.
Non è una novità il fatto che ci sia un allarme generalizzato su episodi violenti nelle scuole. Comprendono fenomeni di bullismo e cyberbullismo mirati su singoli – talvolta con esiti tragici – ma anche comportamenti generalizzati su cui le cronache sono prodighe di particolari.
Nel Cesenate – giusto per fare qualche esempio – sono emersi incontri clandestini di boxe tra ragazzini, circolati naturalmente su chat di classe, con l’ambiente scolastico pronto a mobilitarsi anche per alcune conseguenze proprio all’interno di un istituto, una scuola media. Attenzione educativa e contatto con le forze dell’ordine, riflessione con docenti e genitori… il mondo scolastico fa quello che può. Ma non è facile sensibilizzare e far cogliere la gravità di comportamenti che sembrano considerati abituali. Quello che preoccupa di più – raccontava la preside dell’istituto coinvolto, a proposito proprio degli episodi violenti a scuola – oltre al comportamento dei protagonisti è quello “degli altri ragazzini” che assistono senza intervenire “e anzi filmando tutto”. Normalità.
Il 27 ottobre, in un istituto superiore del Milanese un altro episodio che evoca scene già viste – con conseguenze di maggiore gravità – magari in scuole americane: una banda di incappucciati fa irruzione nell’istituto, con fumogeni, petardi e pistole giocattolo (ma in grado di terrorizzare tutti). Paura, preoccupazione, aule danneggiate, intervento delle forze dell’ordine. Forse sono stati ex alunni – si ipotizza – mentre le indagini sono in corso.
Trovare i responsabili è certo importante, ma conta anche riflettere sul fatto in generale e ribadire, col preside dell’istituto che la scuola non può accettare simili episodi, perché vuole essere, al contrario, luogo “aperto e inclusivo, capace di accompagnare tutti e ciascuno in un percorso di crescita e di formazione”.
Davvero il mondo scolastico ha questo orizzonte educativo e di positività. Mantenere la direzione, trovare le strade migliori, combattere una cultura generale che spesso “rema contro”: ecco una sfida davvero grande.

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