GROTTAMMARE – Concludiamo oggi il nostro viaggio per conoscere meglio i Diaconi che operano nella Diocesi di San Benedetto del Tronto – Ripatransone – Montalto, incontrando Lorenzo Capocasa, che svolge il servizio diaconale presso la Parrocchia Gran Madre di Dio in Grottammare.
Come è nata la sua vocazione?
Sono nato a Grottammare nel 1948 in una famiglia molto cristiana. Mio padre commerciava con gli ortaggi e mia madre faceva la casalinga. Dopo sei anni è nata mia sorella Lucia. Ricordo che da bambino quasi ogni sera si diceva il Rosario, in modo particolare nel mese di Maggio dedicato alla Madonna. Nel periodo di Natale avevamo in casa un camino molto grande e profondo: mio padre accendeva il ceppo di Natale e io, già a tre/quattro anni, mi sedevo vicino a questo ceppo, all’interno del camino, per pregare, mentre osservavo al calduccio mia madre, mio padre e mia nonna che pregavano con me. Per me quei momenti sono stati molto formativi a livello umano e spirituale.
La domenica e nelle feste di precetto, per andare a Messa, dovevo camminare per circa un chilometro sul lungomare, tanta era la strada da casa nostra fino alla chiesa. Lo facevo insieme a mio padre, mia madre e mia nonna. Mio nonno non c’era già più, perché era morto in un incidente stradale l’anno prima che io nascessi. Quando qualche anno dopo è nata mia sorella, mia madre portava anche lei, seppur molto piccola. Quando chiesi che senso avesse portare una neonata in chiesa, visto che non poteva comprendere quello che facevamo, mia madre mi rispose: “Anche se non capisce, lasciamole respirare quest’aria!”.
Da adolescente continuai a seguire questa strada, fino alla maggiore età. Poi, un po’ a causa delle compagnie, un po’ perché attraversai un momento di ricerca e discernimento, mi allontanai dalla Chiesa per un po’, fino ai 22 anni. Quando però si vivono momenti di fede intensi e forti fin da piccoli, nel cuore resta un ricordo indelebile che, prima o poi, magari in un’occasione inaspettata, riaffiora e si prende spazio. Così fu per me. Intorno ai 22 anni ripresi la mia partecipazione alla vita cristiana comunitaria e non mi allontanai mai più, anzi mi impegnai in servizi diversi a seconda della necessità.
Intorno ai 28 anni, a casa di amici, conobbi Marisa, una giovane ragazza di 21 anni che, dopo due anni, divenne mia moglie. All’epoca mia moglie era docente presso l’Istituto Fazzini, mentre io ero un funzionario dell’Enel al Centro Nazionale Studi e Progetti di Roma, ma dopo cinque anni decisi di rientrare in zona, visto che nel frattempo era nato Luca, il nostro primogenito che oggi ha 42 anni, è sposato con Elisabetta e ha un figlio di sei anni, Giacomo. Dopo otto anni, il Signore ci fece un secondo dono, nostra figlia Lucia, che oggi ha 33 anni e che a maggio del prossimo anno si sposerà con Guido.
Da qui in poi la vita non mi ha risparmiato dolori. Prima di tutto ci fu la morte di mia sorella Lucia che venne a mancare prematuramente a 33 anni. Poi a mia figlia Lucia fu riscontrato un serio problema all’anca. Un luminare dell’Ospedale Salesi di Ancona ci disse che la piccola avrebbe dovuto subire diversi interventi per sistemare l’anca e che, nel migliore dei casi, sarebbe comunque rimasta zoppa. Ricordo il grande dolore che quella notizia ci procurò, tanto che io e mia moglie, che eravamo già soliti andare a Loreto a piedi in pellegrinaggio, decidemmo di farlo una volta di più, chiedendo alla Madonna di aiutare nostra figlia. Dopo l’affidamento a Maria, il risultato fu miracoloso: senza neanche un intervento, ma solo seguendo la terapia indicata dal medico, l’anca di Lucia guarì.. Confrontando la prima lastra con l’ultima, il medico che la seguiva, gridò: “Non è possibile! È perfetta! Come se non avesse mai avuto un problema! Questa è la miracolata del Salesi! In letteratura medica non esiste un caso che parta da questa gravità e arrivi a guarigione completa”. Ad oggi posso dire che i miracoli esistono.
Di fronte a quelle meraviglie che il Signore ha operato nella mia vita, non ho potuto fare altro che esserGli grato, rendendomi disponibile a qualsiasi servizio venissi chiamato. Per circa trent’anni, dai trenta ai sessant’anni, ho prestato servizio nella parrocchia San Pio V in Grottammare, prima come lettore, poi come animatore liturgico ed infine come responsabile dell’Azione Cattolica Adulti, un incarico che mi onorava molto, visto che mio padre era stato iscritto all’Azione Cattolica e io fin da piccolo ero rimasto affascinato da quello che mio padre mi aveva raccontato. Durante gli incontri, facevo una lectio divina, in genere spiegando le letture della Domenica, e poi lasciavo ai presenti la possibilità di fare degli interventi.
Nel frattempo, don Giovanni Flammini chiese a me e ad Alessandro Girolami di fare l’accesso al diaconato permanente. Subito pensai: “Probabilmente il Signore mi ha chiesto di mettermi al servizio della Chiesa per ringraziarlo del miracolo ricevuto”. Chiaramente, dopo le meraviglie che il Signore aveva fatto nella mia vita, il mio sì è stato immediato. Ero già in pensione ed avevo del tempo libero, quindi non ci sarebbe stata una ragione per dire di no. Ma, al di là della mia ampia o ristretta disponibilità di tempo, avrei detto comunque sì, avrei comunque trovato il tempo da dedicare a quel Dio che mi aveva donato così tanto. Avrei dato la vita per Lui allora e la darei anche adesso, tanta è la gratitudine per quello che ha compiuto nella mia vita.
Quando è stato ordinato diacono permanente e quali servizi ha svolto in questi anni?
Sono stato ordinato il 20 gennaio del 2011 per mano del Vescovo Gervasio Gestori, insieme ad altri cinque amici: Vittorio Annibali, Pietro Tomaso Ciboddo, Alessandro Girolami, Pierluigi Grilli e Pietro Mazzocchi. Purtroppo Vittorio e Alessandro ci hanno lasciato prematuramente, ma, insieme agli altri Diaconi, li ricordiamo nella preghiera.
Fin da subito il vescovo Gervasio mi ha destinato alla parrocchia Gran Madre di Dio, dove ho collaborato per sette anni con don Andrea Spinozzi e in questi ultimi sei anni con don Roberto Antonio Melone.
All’inizio affiancavo il sacerdote nella celebrazione eucaristica con quei servizi che il mio mistero mi permetteva. Inoltre, siccome don Andrea spesso aveva degli impegni che lo portavano lontano dalla Parrocchia, veniva sostituito da alcuni sacerdoti di origini africane, che però non parlavano l’italiano e quindi venivo chiamato io a fare le omelie. Andavo infine anche nelle famiglie in diverse occasioni: ogni quindici giorni portavo la Comunione ai malati e agli infermi e nel periodo pasquale andavo a benedire le famiglie.
Poi, con l’avvicendamento dei parroci alla guida della Parrocchia, potendo contare su una presenza maggiore e continuativa di don Roberto, il mio servizio è cambiato: oltre a visitare le famiglie sia per benedirle sia per portare la Comunione agli infermi, come facevo anche prima, ora dedico molto tempo anche all’ascolto. Ogni Domenica, infatti, vengono tante persone in cappellina ad espormi le loro sofferenze: problemi di salute, difficoltà nella trasmissione della fede ai figli, criticità nel lavoro e quindi anche problemi di natura economica, … Ci tengo a sottolineare che non si tratta di casi sporadici, bensì della prassi. E negli anni mi sono reso conto che l’ascolto ed il consiglio sono fondamentali in questi tempi difficili. Prego il Signore di illuminarmi nel dare consigli, perché mi rendo conto della grossa responsabilità che grava sul mio servizio e quanto possano essere significative le mie parole.
A proposito di parole, vorrei dire che mi piace molto anche ascoltare le parole di don Roberto: le sue omelie non sono mai scontate e si impara tanto. Credo infatti che, nonostante l’età non più giovanissima, non si finisca mai di imparare!
C’è infine un altro aspetto del mio diaconato che mi piace molto. Non si tratta di un servizio, però credo valga la pena di essere menzionato. Ogni sera, insieme ad altri diaconi con cui sono stato ordinato, facciamo la preghiera comunitaria dei Vespri. Prima ci vedevamo di persona; ultimamente, invece, un po’ per via della pandemia, un po’ perché mi sono operato di cataratta e di sera non guido bene, abbiamo deciso di pregare collegandoci a distanza tramite videochiamata. Mi piace molto il rapporto di amicizia che c’è con alcuni diaconi e credo sia molto bello vivere questa intima comunione quotidiana nella preghiera.
Qual è oggi la sfida maggiore del diaconato permanente?
La figura del diacono sarà sempre più centrale nel prossimo futuro, perché la carenza vocazionale renderà necessario questo cambiamento. Già a Roma ci sono numerose parrocchie affidate ai diaconi e pian piano avverrà anche nelle nostre comunità. I vescovi si stanno già preparando a questo. Succederà sempre più spesso che i diaconi si occuperanno della liturgia domenicale, in particolare della liturgia della Parola, quindi facendo anche le omelie. Noi diaconi, infatti, della Messa possiamo fare tutto, ad eccezione della consacrazione. Inoltre non possiamo dare l’assoluzione dopo la Confessione, ma possiamo ascoltare. Anzi deve essere nostra premura e nostro dovere farlo. Ricordo con grande piacere e commozione che più volte, nei periodi di Pasqua, in cui i sacerdoti non erano sufficienti ad assolvere il Sacramento della Riconciliazione, il cardinale Carlo Maria Martini aveva delegato i diaconi all’ascolto dei peccati, affinché valutassero se fosse meglio per i fedeli essere indirizzati ad un sacerdote oppure partecipare all’Eucaristia e creare successivamente le condizioni per una Confessione. La sfida maggiore del diaconato permanente perciò sarà quella di far comprendere, accogliere e sostenere a tutta la Chiesa – clero e laici – il nostro ruolo, che è quello di servire la comunità, attraverso la nostra testimonianza personale e comunitaria, come del resto richiama l’etimologia del termine. Quando questo avverrà, la Chiesa avrà ritrovato l’autenticità e lo zelo delle prime comunità cristiane.
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