Gigliola Alfaro
La diocesi di Pompei si avvia alla conclusione dell’Anno giubilare longhiano (1° ottobre 2022 – 31 ottobre 2023), dedicato alla memoria del secolo e mezzo dall’inizio dell’opera di Dio a Pompei, a partire da quell’ottobre del 1872 quando il fondatore del santuario e delle opere di carità pompeiane, il beato Bartolo Longo, ebbe un’illuminazione interiore in Località Arpaia. “Il giovane avvocato, aggirandosi tra le campagne desolate di questa Valle, era preoccupato per la sua salvezza eterna a causa del passato allontanamento da Dio. La Vergine parlò al suo cuore: ‘Se cerchi salvezza, propaga il Rosario’. E decise di non muoversi più da questa Valle, comprese la sua vocazione e rispose: ‘Io mi salverò, perché, non uscirò da questa terra di Pompei senza aver qui propagato il tuo Rosario’”, scrive l’arcivescovo di Pompei, mons. Tommaso Caputo, nella lettera alla città e ai fedeli, intitolata “Pompei, modello di fede e di carità. La profezia compiuta di un laico innamorato di Maria”, consegnata giovedì 26 ottobre, alla fine della messa che è stata presieduta dal presule, nel santuario mariano, in occasione della cerimonia di chiusura dell’Anno giubilare longhiano, indetto dalla prelatura in occasione del 150° anniversario dell’arrivo di Bartolo Longo a Valle di Pompei.
La storia della Nuova Pompei, fa notare mons. Caputo nella lettera, è “fondata su due capitoli essenziali, tra loro intrecciati, il santuario della fede con il flusso continuo di pellegrini e il santuario della carità con le opere sociali in favore della gioventù in difficoltà e dei poveri. Al centro di tutto: la preghiera del Rosario”.
L’Anno giubilare vissuto, osserva il presule, “ci ha fatto volgere lo sguardo all’indietro per aiutarci a capire meglio il futuro”. “Nella Nuova Pompei ha operato la fede, che ha trovato in Bartolo Longo, un laico innamorato di Maria, il braccio e l’abbraccio di una carità senza limiti: quella che tuttora, nelle nostre opere caritative, è sotto gli occhi e nel cuore di tutti. Senza i poveri da servire non si può comprendere Pompei, nel cui Dna sono inscritte queste lapidarie parole di Gesù: ‘In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me’ (Mt 25, 40).
La nostra è una comunità con uno statuto speciale: ha ricevuto la vocazione di coltivare la speranza e di renderla viva per sé e per gli altri, offrendo fede e carità”.
L’arcivescovo di Pompei evidenzia: “L’Anno giubilare longhiano, che sta per concludersi, è stato un autentico tempo di rinascita spirituale. I pellegrinaggi in santuario sono stati così numerosi che è difficile ‘misurare’ gli afflussi. Abbiamo vissuto una profonda esperienza di fede condivisa da molte diocesi della Campania e di altre regioni italiane, guidate dai loro pastori; da intere comunità religiose, maschili e femminili, e poi da gruppi, associazioni e movimenti ecclesiali. E ancora da migliaia di pellegrini provenienti dall’Europa e dal mondo intero”. Ma i numeri non bastano:“Il bilancio dell’Anno giubilare sarà davvero positivo se i pellegrini, giunti a Pompei, abiteranno nel mondo, nei luoghi dove vivono la loro esistenza, da autentici convertiti annunciando il Vangelo dai tetti, ma ancora di più attraverso la propria testimonianza coerente, più potente delle parole”.
Il “Cammino giubilare longhiano”, sottolinea mons. Caputo, “ci ha portato anche a conoscere meglio le nostre radici, la nostra storia e, allo stesso tempo, ci ha indicato chiaramente il percorso che dobbiamo intraprendere nel nostro futuro”, nella consapevolezza che “nell’illuminazione interiore” del beato “in Via Arpaia c’è già tutto il messaggio di Pompei”: “Siamo parte di una realtà amata da Dio in modo particolare e impreziosita dalla presenza viva e vitale della Vergine Maria, che proprio qui ha voluto che le fosse edificata una casa, il nostro splendido santuario, dove ogni anno accorrono milioni di fedeli e pellegrini, e che sorgessero numerose opere di carità dedicate ai poveri e agli emarginati”. Ma non solo.
“La missione religiosa di Valle di Pompei è la pace fra l’uomo e Dio”, affermava Bartolo Longo.
“Ripensare a queste parole al termine dell’Anno longhiano è come richiamare idealmente il beato a guida di questi nostri giorni così difficili e inquieti”, afferma il presule, per il quale “la guerra, ancora tragicamente presente” in Ucraina, “dopo quasi due anni di aspri e sanguinosi combattimenti, richiama per Pompei la profezia della pace, quella pace che è elemento fondativo della nascita della città di Maria alla cui intercessione affidiamo i popoli della Terra Santa, martoriata in questi giorni da un nuovo e cruento conflitto”. “Non possiamo non associare l’insegnamento di Bartolo Longo a quello dei Papi degli ultimi tre secoli, da Pio IX a Francesco, incessanti predicatori di una riconciliazione sempre difficile da ottenere. È sul tema della pace che, proprio con i Papi della modernità, Bartolo Longo ha introdotto un elemento di congiunzione così forte e significativo da porsi a sua volta come fondamento della Nuova Pompei: il Rosario – ricorda l’arcivescovo -. È inimmaginabile pensare a Bartolo Longo senza la corona del Rosario tra le mani, vero e proprio scettro della sua fede e anima della sua inestinguibile carità.È stato il Rosario a trasformare il beato in apostolo di Cristo e di Maria, sua Madre, e a renderlo primo evangelizzatore della Nuova Pompei. È stata questa preghiera a dargli le forze e il dono della visione per una rinnovata stagione di annuncio e testimonianza del Vangelo”.
Attraverso il Rosario, “il fondatore è entrato nel vivo della realtà di un luogo da riscattare e di una comunità da costruire. Il Rosario gli ha spalancato tutte le strade, ha aperto la sua mente e illuminato il suo cuore in modo che il disegno della Provvidenza potesse compiersi. Neppure lui immaginava di poter andare così lontano e, soprattutto, aprire per l’antica Valle orizzonti ampi e di largo respiro. Nelle mani e nel cuore del beato, il Rosario è stato l’elemento che ha azzerato per sempre i limiti e i confini di una città rimasta piccola solo nel territorio. Oggi Pompei parla al mondo e tutti la riconoscono dal suo alfabeto di base: il Rosario”.
“Il Rosario che trasforma”: “È questo l’insegnamento senza tempo del beato”.
Per mons. Caputo, “il Rosario va prendendo sempre più il carattere di una voce per il mondo, e per il mondo scosso e impaurito di oggi; e forse anche perché è la preghiera che ha attraversato perfino i tempi difficili di una matrice tecnologica e illuminista che tendeva a metterla da parte e a considerarla come ‘oggetto da museo’”.Si comprende così come, proprio a partire da Pompei, “il Rosario possa essere uno strumento privilegiato per la nuova evangelizzazione”.
Oggi “il ‘piccolo gregge’ di Pompei sente tutta l’umiltà, ma anche il privilegio di essere tale e di continuare a indicare la strada che ha reso questa comunità unica al cospetto del mondo: la fede fondamento delle Opere, la carità via della giustizia e strada maestra dell’amore del nostro Signore Gesù Cristo. A noi di Pompei viene richiesto il coraggio e, insieme, l’umiltà di percorrere questo cammino.Bartolo Longo ci ricorda che i veri seguaci di Cristo si lasciano trasfigurare dall’amore creativo e concreto, un amore che trasforma il mondo segretamente là dove i discepoli vivono una carità operosa. È la vocazione di Pompei!”.Essere “concittadini del beato” è una chiamata “alla responsabilità di portarne avanti il carisma, raccogliendone il testimone”: “C’è tanto da fare nella propagazione del Santo Rosario, nel restituire all’umanità quella spiritualità che spesso sembra aver perduto. C’è tanto da fare nel curare le ferite dei nostri fratelli più fragili, resi ancora più deboli dalle tante crisi del nostro tempo”.
La giornata con la cerimonia di chiusura dell’Anno giubilare longhiano (ma fino al 31 ottobre sarà possibile ottenere l’Indulgenza plenaria, visitando il santuario e alle consuete condizioni) ha visto anche la presentazione di un francobollo speciale e l’annullo postale dedicato alla celebrazione dei 150 anni dall’arrivo di Bartolo Longo a Pompei, un ritrovo presso la Stele di Via Arpaia, il luogo “dove tutto ebbe inizio”. Con una Liturgia della Parola, la processione con la statua del beato e una sua reliquia, la benedizione della nuova porta di bronzo di ingresso della navata laterale di destra della basilica mariana, la santa messa presieduta da mons. Caputo.